LO AMBIENTE SENSORIO-PSICHICO E LE LI\EE DI USA PROFILASSI PSICHICA 111 4MBIEITE SENSORIO - PSICHICO E LE LINEE DI UNA PROFILASSI PSICHICA DEL Bott. EUGENIO F A ZIO NAPOLI Enrico detken, libraio-editore Piazza del Plebiscito 1888 Stab. Tip. dell’Unione A GIOVANNI BOVIO AL LETTORE Il presente volume Ambiente sensorio-psi- chico del Prof. Eugenio Fazio forma Y ultima parte del suo Trattolo d'igiene, e propriamente del secondo libro; Mesologia. La novità e la importanza dell1 argomento, lo sviluppo dato al contenuto, la forma viva, incisiva, colorila, richiamarono P attenzione dei Biologi e dei Sociologi , i quali unanimamenie espressero all’Autore lodi lusinghiere, per avere dato alla letteratura italiana un1 opera di cui non solo appo noi, ma anche all1 estero, se ne sentiva il bisogno, dopo il maraviglioso sviluppo che la Biologia e la Sociologia avevano assegnilo in questi ultimi tempi. Del pari varii esortarono l 1 Autore, nel ri- tornare sull’ argomento, di dare maggiore risalto ad alcune questioni accennate , ed altre nuove , attinenti alla materia, illustrarne. Fra i tanti chiarì pensatori, che sdnteressarono del lavoro del Prof. Fazio basterà ricordare i no- mi di S. Dominasi, Bovio , Angiulli, Lombroso, Mantegazza, Bertani, Moleschott, Albini, Mosso, L. Bodio, Moreau di Tours, Roncati, Yaisson, Pie- trasamà, E. Ferri, Morselli, L. Bianchi, N. Colajan- ni, F. Turati, A, Errerà, Maturi, Del Monte, Parola, E. Rey, Giaxa, Faralli, Margotta, Ghiminelli, G. Gal- li, Maioni, Mayer, C. Anfosso, G. Musatti, M. Tur- chi, Pini, A. Dorella, F. Santini, di Tullio, Mori- tefusco, ecc., i giudizi! dei quali abbiamo raccolto in un opuscolo. VIII L’Autore, invitato da noi, per ottemperare ai desiderai manifestati dai sullodati pensatori ed a quelli che moltissimi nostri associati direttamente ci espressero, con lieto animo ritornò sui diletti studii, ed oggi ci ripresenta un lavoro fatto a nuo- vo, avendo, cioè, rimaneggiata tutta la materia già trattata, e della nuova avendo arricchito questo libro —come potremo dire della questione tanto agitata; II Nervosismo del secolo XIX. Tale de- licato e diffìcile argomento, sebbene fosse a ba- stanza delineato nel Trattato d’igiene, trova nel presente volume il più ampio sviluppo, special- mente nei due capitoli: Il decadimento del prin- cipio di famiglia col relativo istituto del ma- trimonio ed I danni gravissimi che derivano dall eccessivo lavoro intellettuale ai giovanetti nella età di loro sviluppo. Studio questo ulti- mo importantissimo, da ninno trattato in Italia, ed a cui il prof. Fazio ha dedicato le maggiori sue cure. Infine T opera si completa con dei cenni sulla pro- filassi psichica. Noi crediamo che il libro del Prof. Fazio, per la natura della materia che tratta e per il suo valore intrinseco, deve riuscire un libro non pure originale ma utile ed opportuno per tutti coloro che s’interessano dei rapporti fra la Biologia e la Sociologia, come è dei medici, dei pedagoghi, dei sociologi, degli statisti, pei loro molteplici fini edu- cativi e terapici. Ed ora il giudizio ai lettori. Napoli, gennaio, 1888. E. Detken. L’AMBIENTE SENSORIO-PSICHICO Nella introduzione del nostro (Trattato d'igiene Atavismo e Mesolagio) ponemmo il principio che l’uo- mo è il resultato di due fattori, della potenza atavica e dell’ambiente nel quale la medesima si esplica, si adatta, si trasforma, soggiace o trionfa. Movendo dai rapporti primissimi delle unità elementari della nostra organizzazione, che sono le cellule od elementi stami- nali, coi loro spazii intercellulari, procedemmo innanzi nell’analisi dei singoli fattori dell’ambiente esterno in- dagandone il modo particolare di azione. La convergenza di tali fattori nel nostro organismo trova la sua ultima espressione, il suo centro comune, in quella unità che è la nostra 'personalità, la quale per tanto emerge sul mondo minerale , sulle piante, sugli animali inferiori e sul vulgo in quanto può stabilire la esatta equipollenza fra la natura esterna e l’intimo es- sere nostro, resultato dell'atavismo, dell'inneità, e delle condizioni peculiari di ciascun organismo, costituzio- nali od accidentali che sieno. Egli è un fatto incontestabile, confermato dalla espe- rienza subbiettiva, che il nostro lo si aggira in mezzo ad una duplice sfera, vale a dire in una sfera consciente (ambiente esterno) ed in un’altra inconsciente (ambiente intimo), amendue le quali si toccano ed insieme si fon- dono, come possiamo provare ad ogni istante. Quando ci libriamo conscienti sullo ali della nostra imaginazio- ne, vivendo per cosi dire in un mondo fantastico, at- tratti solo da idee e da imagini, sino a quel momento Fazio. 2 ignorate, e che balenano di un tratto nella mente, e, per naturale inclinazione del nostro spirito, a poco a poco siamo trasportati sulla via degli affetti. La potenza che determina la comparsa di questi ultimi, parti da sensa- zioni e da aspirazioni, le quali in una maniera del tutto inavvertita fecero passaggio in quelle che esistevano latenti. Oppure la potenza creatrice della vita psichica consciente si estrinseca con l'idea, che fu rapidamente trovata, o che invece, lungamente cercata invano dalle facoltà conscienti dell’anima, d’improvviso compare spon- tanea alla mente, quale resultato dello interno lavorìo della sfera psichica inconsciente. Queste due sfere di vita psichica sono fra loro intimamente collegate. Il nostro percepire spirituale sta quindi in determi- nati rapporti col mondo delle cose che sono poste fuori di noi. Noi non possiamo sentire a nostro beneplacito, ma siamo costretti a sentire secondo una data norma matematica. Con ciò la funzione elementare della nostra anima, sulla quale in generale si erige il restante della nostra vita spirituale, sta in continuità con i processi generali di movimento dell’universo: noi siamo uno specchio del mondo esterno, diceva Weber. Comincia- mo a reagire coH’anima, quando il trasporto meccanico della sua forza sulle molecole del nostro sistema nervoso, in virtù dello stimolo esterno, ha raggiunto una deter- minata intensità, e noi, nei nostri cangiamenti nel sen- tire, siamo legati strettamente alle eventuali alterazioni di questi rapporti di movimento venutici dal di fuori. I rapporti della nostra anima, di fronte al mondo ester- no, sottostanno quindi alla legge inesorabile del nume- ro, alla matematica: stimolo ed impressione stanno fra loro in rapporto logaritmico (E. Sditile). Lo sviluppo della nostra vita psichica dipende indu- bitabilmente dall’attività dei nostri sensi, di queste « sen- tinelle avanzate , come si esprime Andrea Verga , del microcosmo umano, grandi stazioni telescopiche poste ai confini del nostro organismo, onde il ministero ence- falico sia prontamente avvertito di quanto avviene nel mondo esteriore ». La psicologia positiva adunque con- ferma 1’ aforismo antico: nihil est in intellectu , quod prlus non faerit in sensu. Ciascuna funzione dei sensi 3 dà luogo ad un fatto psichico, il quale, in ultima analisi, siamo costretti a considerare quale reazione di una po- tenza, la cui espressione più semplice è l'attività sensi- bile. Questa facoltà rudimentale, indeterminata, priva di forme nel neonato si espleta soltanto nel dominio del senso tattile e gustativo, che sono i primi a mostrarsi vivi; allo esterno la medesima si estrinseca a mezzo dei moti riflessi, quali le grida quando il bambino è bagnato od ha fame. Il sentire, opina Schiile, incomincia col nostro primo respiro e fors’anco prima ancora, sotto forma di oscu- re sensazioni. Secondo le osservazioni di Kusmaul, fatte sui neonati, la vita uterina ha già con ciò inaugurato il suo primo sviluppo. La ripetizione delle impressioni sensoriali dello sti- molo fisico dà luogo alla percezione, che è il primo pas- so della coscienza. Un numero infinito di tali percezioni influisce sullo sviluppo dello spirito, mediante il contatto degli agenti estrinseci od intimi all’organismo. Alle im- pressioni corporali (cenestesi) si aggiungono tutte le sen- sazioni dei sensi specifici (tatto, gusto, olfatto, udito, vista). Ciascuna di esse, ripetuta migliaia di volte, con- duce appunto ad altrettante percezioni diverse, secondo la natura del meccanismo sensoriale. Quindi il progres- sivo fissarsi delle percezioni, mercè dell’esercizio, pro- cede parallelamente col perfezionamento delle primitive reazioni, che finiscono per costituirsi in vere facoltà dello spirito. Per la formazione delle prime sintesi è di un’influenza decisiva l’ordinamento delle percezioni isolate, che vengono divise, relativamente alle forme generali dello spazio e del tempo, in base alle sensazioni divenute segni locali, all’attività sensibile ed alle per- cezioni continuamente succedentisi. Immenso lavorìo d’o- rientazione, il quale, secondo l’esperienza, involve pa- recchi anni di sviluppo della mente infantile! Da ciò na- scono delle relazioni con forma determinata e delle vere serie d’idee. Le sensazioni sono disposte in serie distinte e graduate; e le percezioni analoghe, che di continuo si ripetono , si fondono insieme; la intuizione, che ha sufficiente estensione ad abbracciare più cose , finisce coll’entrare nel posto di ogni singola sensazione e per- 4 cezione. Da questo momento la futura anima vive in mezzo a serie di intuizioni, ciascuna delle quali èil ri- sultato di un complesso di percezioni isolate. In ragione che l’organismo infantile si sviluppa, non più incontria- mo delle percezioni isolate e povere, sterili, limitate, ma già notiamo delle modalità diverse delle medesime secondo il rapporto contratto nella serie delle idee. Dalla somma di elementi identici si rafforza anche la perce- zione, mentre d’altra parte gli elementi diversi si elidono o si obnubilano tra loro. Questi elementi si mantengono insieme collegati, si associano in un tutto organico. Le idee, insieme congiunte da fattori identici, diventano capaci di vicendevolmente richiamarsi e di riprodursi (memoria, rimembranza). Noi percepiamo un oggetto qua- lunque, ed ecco una sequela di determinate impressioni sensoriali; la serie nuova riproduce in tal guisa la serie primitiva analoga, e quindi tutte le altre parti costitu- tive già assimilate a quella. La memoria dunque è la riproduzione delle serie iden- tiche (d'imagini), ossia collegate insieme da identici fat- tori. Nella memoria integra o piena sta la giusta misura della conservazione o dell’ alterazione degli elementi costituenti l’attività psichica. In cotal guisa passo passo si va evolvendo nel fanciullo quel processo che mette capo alla coscienza. Il manife- starsi di questa segna il principio della vera vita indi- viduale, caratterizzata dalla distinzione fra soggetto ed oggetto, e dalla creazione di un mondo d’imagini poste fuori del nostro 10. In virtù dei processi di associazione la nostra serie dell’ Io va sempre più arricchendosi e rafforzandosi; per mezzo dei crescenti rapporti si fa più potente; per le innumerevoli ripetizioni diventa ognora più chiara, e conciò la coscienza va acquistando propor- zioni sempre maggiori. Dalla fusione delle singole serie, altre serie si formano insieme concatenate in un or- dine più elevato, e dalle intuizioni nascono poi i con- cetti. L'lo, corroborato dall’attività sensibile e dagl’i- stinti, diventa predominante e comprende non solamente le percezioni già esistenti, ma anche quelle nuove, le confonde secondo gli elementi loro equivalenti od oppo- sti. L’ordinamento e la subordinazione delle idee neofor- 5 mate, alla stregua di rapporti generali di più alto ordine, è Vapprensione. L’lo al postutto altro non sarebbe che il gruppo di elevate facoltà costituenti l’intelligenza ap- prensiva, la quale domina tutti i movimenti e gl’istinti, che si estrinsecano procedendo dall’ interno verso lo esterno e che vengono ordinati secondo quelle catego- rie, sotto le quali sta pure il complesso delle cognizioni provenienti dall’esterno. Il suo sviluppo è l’opera di tutta la vita; ogni esperienza novella, venga da fuori o da dentro, agisce modificandolo. L'lo adunque, in ultima analisi, non sarebbe che una concatenazione di reazioni diverse della psiche giunta ad un certo grado di sviluppo. Ma in che cosa consistono queste sensazioni; con quale ordine si sviluppano; quale é il meccanismo della loro azione? Sarebbe fuor di luogo e fuori la natura dei nostri studii di volerci troppo addentrare ed intratte- nere ci limitiamo a ricordare che il senso del corpo (cenestesi), il quale nell’animale infe- riore, nel fanciullo, nel selvaggio e nell’uomo degenerato, è tuttala base della individualità psichica, anche nell’uo- mo sapiens è la prima base, il primo sustrato della per- sonalità. Esso vien costituito danna serie di eccitamenti parziali ed oscuri, che occupano il primo posto, quando le formazioni superiori della vita psichica non si sono pronunziate o sonsi dileguate. Se la prima forma della personalità, che diciamo fìsica, è l’insieme delle sensa- zioni organiche, risultanti dal modo di essere normale od anormale e dai cangiamenti che si effettuano nei di- versi organi o nelle parti del corpo , ne segue che la personalità deve risentire o variare con questi e come questi, e che tali variazioni comportano tutti i gradi possibili, incominciando dal senso di universale benes- sere o dal semplice malessere alla metamorfosi totale dell’individualità. Questi primi sensi, quali gradazioni di un suono che parta dalle vibrazioni della nostra trama nervea, costi- tuiscono gli esponenti delle nostre percezioni ed intui- zioni. In cotal guisa esse si schierano tutte nelle cate- gorie del piacere e del dispiacere, del piacevole e del disgustoso, e forniscono così alla futura coscienza i dati 6 di orientazione del suo svolgersi normale, stabiliscono, cioè, il grado dello stimolo, entro cui diventa possibile la funzione del senso. Ma quando i limiti vengono oltre- passati, rimane abbassatala funzione del senso ed è mi- nacciata la nostra esistenza. Oltre certi limiti queste sensazioni si convertono tutte in dolore, il quale èda considerarsi come il grido psichico di allarme di un’or- ganizzazione nervea minacciata nella sua vitale essenza. Il Prof. A. Angiulli nella sua magistrale critica al libro di Th. Ribot, Les maladies de la Personnalité, a questo riguardo si esprime: « Cominciamo dal notare uno stato appena morboso, conosciuto probabilmente da tutti, e che consiste in un sentimento d’esuberanza o di de- pressione , senza cause note , e che in tutto fisico da prima, dà luogo, propagandosi nell’organizzazione ner- vosa, ad una diversa manifestazione di sentimenti edi atti psichici. Se un tale stato invece di scomparire dopo breve intervallo, ritornando allo stato normale, persiste; se in altri termini le cagioni fisiche che lo suscitano sono permanenti, invece di essere transitorie, si forma una nuova abitudine fisica e mentale, il centro di gravità dell’individuo tende a spostarsi. Uno stato volgare può condurre fino alla metamorfosi compiuta. Le perversioni della personalità per ragioni di disturbi delle sensibilità generale provano come questa sia la base di quella. Un cangiamento profondo dell’ organizzazione nervosa pro- duce il fenomeno della doppia personalità , generando uno spezzamento, una lacuna tra due periodi della vita psichica. Vien meno il sentimento dell’identità, il quale non può risultare che da un’assimilazione lenta, progres- siva e continua degli stati nuovi. Questi non entrano nell’antico me a titolo di parte integrante; la persona- lità antica apparisce come qualcosa che è stato e non è più , e lo stato presente come qualcosa di esteriore e di estraneo. Dalle perturbazioni della sensibilità ge- nerale deriva anche la illusione di alcuni malati o conva- lescenti di credersi doppii, come due individui, due corpi ». Vanno comprese comunemente nella categoria delle Sensazioni della vita organica, secondo la loro sede , I.° le sensazioni organiche dei muscoli: pene muscolari: 7 tagliata, laceratila, lesione del tessuto, pesantezza, cram- po o spasimo, fatica ed eccesso di fatica; senso delle ossa e dei ligamenti. 2.° Nevralgie; senso di benes- sere nervoso, stanchezza e noia. 3.° Piacere dell’e- sistenza plastica o puramente animale , sete , fame. .° Funzione della respirazione: sensazione dell’aria pura e fresca; sentimento di benessere e di riparazione; sen- sazione di aria greve, impura, insufficiente, soffocazione. elettricità propria. 6.° Sensazione del canale alimen- tario; deglutizione; senso di vacuità o di pienezza dello stomaco, di digestione normale o disconcerti digestivi, di nausea, di disgusto, di eccitamento al vomito, di tor- pore odi movimenti intestinali. Sensazione degli stati elettrici atmosferici. Dopo il senso corporale o comune , nella scala pro- gressiva dei sensi superiori, per ordine ai rapporti con l.a psiche, in primo luogo mettiamo i sensi gustativo ed olfattivo, poscia il tattile, ed in ultimo i sensi auditivo e visivo, i quali possono e debbonsi davvero conside- rare come le due porte attraverso cui il mondo esteriore si riflette nel cervello epperò nella psiche, laonde il nome di sensi superiori o della psiche. Mediante il senso del gusto si acquista la nozione dei corpi sapidi od insipidi, le sensazioni piacevoli o disgustose , amare o dolci, acri, alcaline od acide, saline, colloidi, oleose, metalliche , aspre , ardenti ecc. Longet obbiettava che le sensazioni gustative mancavano della proprietà di es- sere ricordate, riflettendo che quando si è soltanto spet- tatori ad un desinare , si veggono le vivande ma non si pregustano. Come pure in certi stati morbosi si ri- svegliano sensazioni gustative che non sono in rap- porto con 1’ agente operante, che rivela la fissata im- pressione. Ma ciò non è perfettamente esatto, perchè quantun- que le sensazioni gustative nell’uomo si trovino in una soglia inferiore, rimpetto alle sensazioni auditiva e vi- siva, pur nondimeno sono suscettibili di essere richia- mate come idee; e quando ne abbiamo bisogno, per ista- bilire delle comparazioni, esse si ravvivano con intensi- tà. Sonvi assaggiatori e buongustai di vivande e di be- 8 vande, che non la cedono, per squisitezza di sentire, ai buongustai dell’eccellente musica e della bella pittura; così pure vi sono persone affatto incapaci di giudicare la bontà di un cibo o di una bevanda in ispecie se non li ab- biano mai gustati od appena qualche volta, in guisa che non si sia avverata la sensazione, oppure questa non si sia fissata nella mente , perchè non ripetuta. Lo stesso potremo dire del senso olfattivo, il quale spiega una parte importante nella distinzione dei corpi materiali, conseguentemente nella direzione delle no- stre azioni e nei progressi delle nostre conoscenze del mondo. Mercè del senso olfattivo si ha la nozione de- gli odori freschi, confinati o soffocanti, fragranti o nau- seosi. piacevoli o cattivi, grati o piccanti, eterei, appe- titosi , aromatici ecc. La sensibilità del nostro odorato, dice G. Bernstein, sorpassa relativamente in alto grado quella di tutti gli al- tri sensi. Non potremmo certamente riconoscere per mezzo del gusto le piccolissime quantità di una so- stanza , che percepiamo con l’odorato ; se fossero so- lide, non le potremmo mai sentire col tatto ; se fos- sero illuminate dalla più forte luce solare non le ve- dremmo. Nessun reagente chimico potrebbe discoprire quelle minime quantità di una sostanza che percepia- mo con l’odorato. La stessa analisi spettrale , che fa riconoscere dei milionesimi di gramma, è sorpassata di molto dalla sensibilità dal nostro odorato. Sensibilità olfattiva che in certi animali (es. cane da caccia) rag- giunge una squisitezza straordinaria (1). Spesso le sensazioni olfattive sono associate a quelle gustative. Al pari di queste sono suscettibili di richia- mo, di maggiore o minore efficacia a seconda la natu- ra, l’intensità ed il modo di agire dello stimolo, e d’al- (1) Basta la minima quantità di una goccia di olio di rosa a produrre la sensazione del buon odore. Una minima quantità di muschio è sufficiente per dare alle vesti per anni V odore ca- ratteristico che appartiene a questa sostanza , senza che possa essere dissipata dalla più forte corrente d’aria. E Valentin ha calcolato che noi possiamo ancora percepire l’odore di 2 milio- nesimi di milligrfimma di muschio. 9 tra parte a seconda le condizioni particolari dei varii apparecchi, il grado di recettibilità, di esercizio e modo di essere attuale dell’ individuo che le deve percepire. L’uso abituale e comune di certi sapori e di certi odori influisce siffattamente sulla psiche dell’ uomo da rendere questo schiavo dei medesimi, e fin dargli un’impronta etnografica particolare. Certe sensazioni olfattive pos- soAo bene spesso destare una serie di sentimenti e d’i- dee che invano cercavamo dentro di noi con l’aiuto di altri sensi. Infatti l’olezzo di una rosa di Gerico può trasportarci ad una scena biblica contornata di luce orientale ; co- me il profumo del fiore d'arancio e di Verbena riem- pirà l’anima di tenerezza presentandoci l’imagine dell’es- sere amato ed i cari ricordi di un amore puro : mentre l’odore di Patchouly potrà forse umiliarci, destandoci alla memoria invereconde imagini di laide e compre sirene, alle cui seduzioni, incanti, prestammo fede, e vuotammo l’orpellata coppa colma di un virus androgi- no, che ci reca ancora ribrezzo!... Invece l’odore di pol- vere farà nobilmente palpitare il cuore al vecchio guer- riero e nitrire il fido cavallo al ricordo delle vinte battaglie. La sensazione tattile, in rapporto alla psiche, occupa un grado superiore alle precennate. La cute, presa co- me l’organo del tatto, può riguardarsi come un sen- sorio che involge tutto il corpo, ed è destinata a ren- dere sensibile ogni punto della superficie di questo alle impressioni varie del mondo esterno, le quali, eccitando in noi particolari attività sensitive , sono inesorabil- mente congiunte con le disposizioni dello spirito. Sva- riate sono le percezioni che soltanto per mezzo dell’ap- parecchio tattile possiamo accogliere ; anche quando difettassero i due sensi superiori (la vista e l’udito), tale sensorio sarebbe sufficiente a darci le nozioni di qualità e di struttura di quelle cose del mondo esterno che fossero fattibili di porsi in diretta , immediata re- lazione col nostro corpo. Acquisteremo in cotal guisa, per mezzo del tatto, specie delle mani, come avremmo fatto con la vista —la cognizione della forma, della grandezza delle dimensioni dei corpi; potremmo benis- simo giudicare della superficie dei medesimi se liscia o scabra, curva 'o piana; e valutarne la consistenza,, se cioè, si tratti di corpi solidi, liquidi, elastici ecc. É a tutti noto a qual punto di squisitezza può giungere nei ciechi, con l’esercizio metodico, la sensazione tat- tile , la quale , per una legge comune alle sensazioni , si acuisce tanto maggiormente quando manchi un’ al- tra sensazione omologa. Gli oggetti naturali, in quanto si distinguono per la loro forma, ci si darebbero, a conoscere per via del tatto in modo sufficiente ad ec- citare l’attività delle facoltà nostre e del nostro spirito. Sarebbe anche possibile che il nostro intelletto traesse da queste sole percezioni materia per concetti astratti, cosi ad es., l’idea di una linea, di un angolo o di un trian- golo ecc. La cute, oltre alla proprietà di sentire il contatto di un corpo di per sè, ha anche l’altra di valutare la pres- sione con la quale avviene il contatto. Pertanto il senso di pressione è così strettamente fuso con il senso mu- scolare , che non è possibile discinderli nella valutazione del peso. Inoltre la cute possiede un’attitudine che le appartiene esclusivamente, di sentire, cioè, le gradazioni della temperatura esteriore. Questa funzione della cute è di massima importanza per la conservazione dell’ or- ganismo, giacché lo preserva dagli estremi del freddo e del caldo. E caratteristico del senso tattile che mentre i vari! ele- menti , i quali lo compongono , sogliono operare quasi sempre associati nel riferire la nozione dell’oggetto ope- rante od in esame, possono discindersi in guisa che noi possiamo fissare o limitare l’attenzione su quella qua- lità dell’oggetto che più c’interessa. A queste sensazioni specifiche della cute fanno seguito le sensazioni emozionali, le quali costituiscono una successione graduata cbe dalla sensazione di dolcezza, che può indurre un contatto moderato (es., di tocca- mente, di calore, di solletico, di elettricità o di ma- gnetismo) pervengono al punto di destare una sensazione generale ingrata, che costituisce la dolorabilità, la quale sorge tosto che ima causa eccitante sorpassi un certo in- dice: il che può effettuarsi per via della pressione, del caldo o del freddo, e di una sostanza chimica irritante. Pertanto non possiamo annoverare il tatto , inteso nello stretto suo significato, fra le sensazioni le quali somministrano l’idea della natura delle cose esterne, sen- za il sussidio dei sensi di pressione, di temperatura e di un senso superiore ( vista ) che l’accompagnano. In- fine la proprietà di precisare il punto locale della pelle è uno dei fattori del senso tattile. Facoltà per altro che si esercita manifestamente dal cervello , ammettendo che nella nostra mente esista una imagine della super- ficie del nostro corpo, in cui noi cerchiamo il luogo nel quale avviene il toccamento e lo indichiamo con mag- giore o minore sicurezza. L'organo dell'udito, come mezzo di comunicazione vocale, dice Hyrtl, è indispensabile e diffìcile ad essere supplito, e sta in rapporti ancora più intimi colla vita intellettuale e coll’educazione spirituale degli uomini che il senso di forma e di colori (la vista ). Mediante il meccanismo auditivo , che trasmette al centro psichico le onde sonore che partono dai varii corpi vibranti, fra’ quali il nostro apparecchio vocale, noi ci mettiamo in rapporto diretto, immediato col mon- do esteriore. Nel suono la sensazione dolce è un piacere semplice, puro, vivissimo e poco voluminoso; natural- mente la vivacità ne è proporzionata dal grado di sen- sibilità dell’apparecchio auditivo , e dalla suscettibilità dello spirito ad essere scosso e messo in attività. Si possono sopportare assai più lungamente i suoni dolci che le sensazioni dolci dei sensi inferiori. Gli è in grazia di questa proprietà (comune alla vi- sta) che noi possiamo riunire una maggior copia di pia- ceri senza sorpassare il medesimo grado di fatica o di esaurimento, e senza arrivare alla sazietà come si av- vera nei sensi inferiori. L’orecchio, soggiungeva Hegel, raccoglie le vibrazioni dei corpi, o suoni, nell’accordo musicale, senza volgersi praticamente verso gli obbietti, e trasmette all’anima il resultato dello interno fremito dei corpi. Laonde il suo- no sarebbe una esteriorità che, annullandosi, divente- rebbe interna subbiettioità. Col suono la musica lascia l’elemento dell’esterna figura e della sua intuibile visibi- lità. L’orecchio, appena l'ha carpita, tace: l'impressione che ha quivi luogo l’interna incontanente. I suoni par- lano al più profondo dell’anima, che viene presa nella sua ideale subbiettività e vien messa in movimento. Da epoche immemorabili si è constatata la potente influenza del canto e della musica sull’uomo. I poeti di tutti i tempi, gli astronomi, i filosofi, i teologi , i na- turalisti non seppero meglio esprimere l’immensità, la grandezza, l’unità, la bellezza dell’universo o della natura vivente, che con la voce; armonia. equivalente all’ac- cordo meraviglioso dei suoni con cui il mondo esterno circonda l’anima (1). Il cinguettio ed i gorgheggi degli uccelli che annunziano la primavera, lo stormire delle foglie , il murmure dei rivi , come il mugghiare delle onde, lo scroscio della folgore , il ruggire delle belve dovettero senza dubbio essere le prime note con cui 1’ uomo avverti il soffio magico della natura , e con le quali ripetè, modificati appena, nei primordiali accenni del linguaggio articolato, le indistinte emozioni, le in- certe aspirazioni , gl’interni gemiti dell'anima sua. Il canto è il linguaggio il più elevato che l’anima pos- siede. Quando i pensieri ed i sentimenti traboccano , e la parola è incapace di esprimerli, sorge spontaneo il canto. Le nature stesse meno sensibili, qualora sono sorprese da un avvenimento inatteso che le impressioni vivamente si,espandono o si costringono, si esprimono, si diffon- dono con delle melodie inarticolate che mormorano. I grandi sentimenti, le grandi gioie, si esalano con grida, esclamazioni, canti spontanei. Del pari i grandi dolori si esprimono col canto: i lunghi gemiti, i profondi so- (l) Pitagora pensava che il movimento regolare dei corpi ce- lesti, attraverso lo spazio, producesse un’armonia (armonia delle sfere) ineffabile. E Klepero cercò di comparare i rapporti delle distanze dei pianeti fra loro agl’intervalli della musica. spiri, i pianti languidi, i singulti strazianti hanno il loro ritmo, la loro misura, la loro melodia. Si dice che il famoso Stabat di Pergolesi fu ispirato dai singulti strazievoli di una madre , piangente presso il patibolo sul quale veniva a spirare suo figlio ! A. de Musset esclamava: Les plus désespérés sont les chants les plus beaux, Et j’en sais d’immortels qui sont de purs sanglots. Nella leggenda greca sono famosi gl’ inni patriottici di Orfeo eseguiti al suono della lira. In quella guisa che Arione a suon di cetra ammansiva i delfìni, ed Anfio- ne costruiva le mura di Tebe, le sirene con i lori canti seducenti attraevano ed ingannavano i malcauti navi- ganti. Famoso è il mito del centauro Chirone, il quale, con i semplici accordi della sua lira, sapeva guarire le malattie e modificare l’indole selvaggia di Achille; co- me David poteva calmare a suon di arpa i furori del vecchio Saul. Si parla di Timoteo di Tebe che con le note del flauto poteva incitare alla guerra ed insieme- mente calmare il bellicoso Alessandro. Plutarco ricorda che i Lacedemoni marciavano contro il nemico ed in- gaggiavano battaglia con arie marziali ; e la nave di Cleopatra era mossa dai remi, il cui movimento era regolato dal ritmo combinato coll’accordo di flauto, lira e cornamusa. La musica infine tanto in Grecia quanto presso gli Egizii fu associata ai riti nuziali e religiosi; tradizione che passò nei costumi romani e cristiani. Sap- piamo di barbari che i canti dei cristiani mutarono di un tratto da nemici in credenti. Alla musica sacra, alla melodia religiosa della Chiesa di Costantinopoli son do- vute le prime conversioni di taluni fra’ popoli slavi (Maz- zini). Si racconta che Filippo Y di Spagna si ridestava dai suoi accessi di malinconia quando il cantante Farinelli gl’ impartiva delle arie dolci e tenere. Lo stesso dicesi di suo figlio e del principe di Grange. Donizzetti era agonizzante : il cantore Robini in- vano cerca di scuotere la intorpidita fibra, ma come in- tuona il pezzo divino della Lucia. . . Chi mi frema in tal momento —il moribondo si scuote , si agita, apre gli occhi, fissa e sorride all’amico, quindi ricade nel- l’oscurità della menta da cui più non usci. Mozart, un momento prima di spirare , volle sentire dalla sua fi- gliuola una delle sue romanze favorite. De Giosa dava qualche segno di vita se gli suonavano un po’ di mu- sica allegra. Per l’infelice wagneriano Re Luigi di Ba- viera, dice la Torre, il teatro doveva essere come un lago di onde sonore, in cui si tuffava per fare un bagno di musica— eda cui usciva co’ nervi un po’ più tranquillo. Anche Faust che , stracco della vita e maledicendo la scienza, gli affetti, la fede, starebbe lì per farla fini- ta con resistenza viene arrestato dal passo fatale appena una soava melodia ed un coro di donzelle gli seducono i sensi, ed il festivo clangore della campana d’oriente, connettendosi all’aurora di feliòità, gli ricor- da gl’istanti gioiti.... Quanti suicidii , quanti delitti , quanti spasimi non ha sventato un’ ondata di melodia, un gorgheggio d'usi- gnuolo, un canto di donna. La musica infine agisce sugli animali, molti dei quali unicamente con questo mezzo possono addomesticarsi e si può far loro eseguire movimenti cadenzati ed uni- formi. Basterà all’uopo consultare T opera di Buffon, quella parte che riguarda l'influenza della musica su- gli animali (1). Generalmente può dirsi che la musica ed il canto agiscono direttamente sui centri psico-motori, determi- nando disposizioni psichiche ed atteggiamenti motorii costanti su di una soglia uniforme e comune a quelli che abbiano la stessa recettibilità, da cui la gioia o la tristezza, il brio o la malinconia, il coraggio e l’ardore o l’abbattimento e la disperazione, la corsa e lo slancio oppure l’inerzia e l’intorpidimento. I maestri dell’arte considerano la musica quale espressione del sentimen- to. In fatti essa è 1’ espressione del sentimento , ma (1) Un esempio l’offrono i cavalli, i quali, specialmente di notte, procedono più animosi quando hanno delle sonagliere al collo. Basta che un montone abbia al collo sospesa una cam- pana chè la mandra sia unita e lo segua. può del pari indicare il numero , la misura , il movi- mento ; può eziandio manifestare certi accenti della natura senza esprimere alcun sentimento. Questo ge- nere di musica non agirebbe direttamante che sull’intel- ligenza, la quale la comprende, e sull’ organismo a cui comunica il movimento. Ecco certe marce militari, certi canti monotoni e cadenzati, monosillabici, spesso delle vere onomatopee , dei marinai, dei rematori, dei carapagnuoli , dei viandanti , dei pastori , degli operai nelle officine, capaci nient’altro che a segnare il ritmo o la misura che conforta e coordina un movimento uniforme, da cui un certo risparmio di forze ed un ac- crescimento di lavoro utile (1). Evidentemente questi canti lasciano completamente tranquillo il sentimento , giacché non sono espressioni del sentimento propriamente detto. Si può per l’oppo- sto fare della musica dottissima, la quale non parla che allo spirito, che non esprime alcun sentimento, e che lascia completamente fredde e senza alcuna emozio- ne le persone le più sensibili alla melodia. In entram- bi i casi quei canti non sono capaci di pis>durre nè di esprimere direttamente dei sentimenti ; e solo in certe circostanze , per legge di associazione, possono destarli. Il tic-tac di un molino, come il rumore di ac- qua cadente, potrà destare in uno Svizzero la nostalgia. Intanto è da tutti riconosciuto che come espressio- ne del sentimento nessun’altra arte può eguagliare la musica, percorrendo essa la scala dalle emozioni le più (1) Quasi tutti gli animali, scrive Mantegazza , riserbano il meglio della loro musica per la feste delle nozze, quando s’i- nebbriano anche della loro voce. La voce di una donna può bastare a farcene innammorare, e molli cantanti fecero stra- ge spietata di cuori femminili colle note della loro laringe: precisamente come molti uccelli s’invitano all’amplesso col loro canto e moltissimi non sanno cantare che nella stagione d’amore. Il canto è il loro inno di gioia, è il messaggiero del loro cuore, e porta sulle ali la seduzione ed il fascino. Il frin- guello maschio , che aspira ad avere una sposa e un nido , sale sulle più alte cime d’un ciriegio e innalza al cielo i suoi trilli potenti ». {Le estasi umane) v. I, pag. 55. lievi alle estasi le più inebbrianti. Ma il maraviglioso, la potenza della musica , non è riposto soltanto nello esprimere i sentimenti, ma nel farli comprendere e con- dividere, nel comunicarli , nel suscitarli negli animi di coloro che l’avvertano con una istantaneità, che ninna altra arte può uguagliare. Come una potenza irresistibile essa commuove, inebbria , affascina, tra- sporta. I. Rambosson , cui spetta principalmente il merito di un primo saggio biologico intorno airinfluenza della musica ed alle possibili sue applicazioni igieniche e tera- peutiche, mentre rileva che l’influenza della musica sul sentimento è incontestata, trova inesatto il dichiarare che la musica sia il linguaggio esclusivamente del sen- timento, potendo la medesima agire altresì sulla sfera esclusivamente motoria o psichica senza partecipazione della sentimentalità, come pure agire contemporanea- mente su tutto il sistema nervoso. Guardate là che passa un reggimento con la musica in testa, che suona una semplice marcia; tutti si scuo- tono, adulti o fanciulli che sieno, ed inconscientemente segnano la misura; i passanti si mettono istintivamen- te al passo, sognatore del tempo, e molti di essi sono trascinati naturalmente al medesimo movimento ed a seguire la truppa. Gli è evidente che tale musica ha dovuto agire sui centri psicomotori. Invece vedete qui una eletta di persone raccolta silente in un santuario d’ artisti a sentire le melodie sentimentali di Mozart, di Haydn, di Beethoven, di Bellini, ecc. Il preludio, come un colpo di verga magica, rapisce tutti, l’emo- zione guadagna; le lagrime, le quali invano sono con- tenute, brillano dagli occhi, e noi avvertiamo a chiare note i sentimenti teneri e profondi, di cui sono coloro invasi. Verosimilmente cotesta musica ha dovuto agire in ispecie sul sentimento , eppcrò sulla sfera emotiva. Tenendo presente ciò che si è detto ed i fenomeni analoghi, al Rambosson pare di poter dedurre che vi è una musica che agisce specialmente sulla intelligenza e sui nervi motori; un’altra sui nervi della sensibilità e sui sentimenti; ed un’altra contemporaneamente sui ner- vi motori, sulla intelligenza e sui sentimenti. Il che è più ordinario (1). in mezzo a cotesti estremi si trove- rebbero le infinite gradazioni intermedie. Quando gli studii al riguardo saranno perfezionati e compiuti, sarà facile di potere con una tal quale sicurez- za utilizzare un genere speciale di musica per scopi educativi, igienici, terapeutici, come l’esperienza sui soggetti eretistici specialmente e sugli alienati in tanti rincontri ha comprovato (2). Applicando nel caso la legge della trasmissione dei movimenti coordinati espressivi (v. in seguito) , noi ci potremo dar ragione non solo degli effetti che un tal genere di musica può spiegare direttamente sopra una sfera nervosa, ma possiamo intendere come una melo- dia possa istantaneamente rivelarsi e comprendersi da quanti sono alla sua portata: donde quell’effetto spon- taneo, universale, uniforme, contemporaneo che invade e trascina tutti nella stessa sfera di pensieri, di sen- timenti, di emozioni, di atteggiamenti. Grazie a detta legge si possono a priori caratterizzare o specificare i diversi effetti di tale o tal’ altra produzione musicale, la natura degli scuotimenti nervosi che ciascun genere deve produrre, l’attività psichica e morale che ne può seguire. Tutte le manifestazioni delle operazioni psichi- che (istinti, sentimenti, pensieri, volizione) si rilevano dapprima con un movimento cerebrale, trasmessale da un cervello ad un altro senza denaturalizzarsi, ser- bando, cioè, la proprietà di riprodurre tutti i fenomeni che sono sotto la sua dipendenza. Quando le facoltà istintive ed intellettuali sono in atto imprimono un movimento al cervello che irradia all’ester- no; movimento il quale, mercè le onde sonore o luminose trasmesse attraverso 1’ ambiente esterno , tende, senza (1) A noi parrebbe più esalto dire che la influenza della musica talvolta può spiegarsi direttamente sulla sfera psicomo- toria, tal’altra esclusivamente sulla sfera emotiva o della senti- mentalità, e tal’altra su entrambe. (2) Cesare Vigna fu il primo che, studiando le diverse in- fluenze della musica sul fisico e sul morale, fece delle utili applica- zioni della musica nella cura degli alienati nel suo Asilo di Venezia. Fazio. denaturalizzarsi, a riprodursi nel cervello degli uditori. Cotesto movimento cerebrale dunque tenderà a ripro- durre ciò che si elabora nella psiche, che gli ha dato nascimento e di cui esso stesso è l’espressione, ed i fatti d’innervazione che gli sono propril. Ammesso la somiglianza o l’analogia delle organizzazioni, l’indisso- lubilità e strettezza nei rapporti fra il movimento ce- rebrale, le operazioni della psiche e l’innervazione, le differenze potranno ridursi appena fra il più od il meno. Un pianista inizia una marcia lenta e grave: il movi- mento cerebro-psichico di lui, trasmesso al cervello degli uditori, determina in questi atteggiamenti e pose uni- formi; ma come la marcia si accelera, immediatamente cotesto movimento si comunicherà agli uditori. Co- testo stesso artista e cotesto medesimo istrumento, che avevano sollevato l’animo degli uditori alla gioia ed allo entusiasmo, mutate le note, trasportano alla tri- stezza, allo scoraggiamento. Nella sala di un teatro quando questa è satura di vibrazioni sonore, elettrizzanti , che in spire vertigi- nose sollevandosi da ogni parte, abbracciandoci e solle- ticandoci, c’inebbriano colla voluttà d’un profumo, spes- so ogn’altra sensazione tace (La Torre). Quanto al piacere od alla pena che un tal genere di musica può imprimere su di un organismo, tutto è re- lativo al modo di essere di colui o di coloro che ne restano influenzati. Quando si ha bisogno di riposo tutto ciò che esige attività, esercizio, movimento, dispiace e affatica: T espressione musicale, che è contagiosa come lo sbadiglio, il riso ecc. , qualora esigesse in co- testa circostanza del movimento o dell’attenzione, riu- scirebbe dispiacevole e molesta , mentre nelle condi- zioni normali sarebbe riuscita d’incitamento e di sollie- vo. Dopo le esercitazioni militari del campo invano pro- veremo delle più seducenti arie bellicose, per incitare gli estenuati soldati, i quali riposeranno meglio su mo- tivi dolci e carezzevoli.... Il grave pensatore, affranto dal lavoro cerebrale, più che alle note austere del Me- fistofele di Boito o del Lohengrin di Wagner, preferirà le musichette od i vaudeville^, sui quali potrà posare lo spirito. Forster , parlando dei nervini, ne paragona 1’ azione alla sferzata data al cavallo —or se l’animale è affranto invano il cavaliere darà scudisciate. Se il sensorio è esausto le vibrazioni sonore non avranno eco sulla psiche. A questo proposito dobbiamo riflettere che gli effetti della musica possono subire delle modalità a seconda la recettibilità delle persone. Infatti sonvi di quelle in- capaci a trasformare le onde sonore in movimento fisio- logico, come i sordi, ed altre che le trasformano incom- piutamente. La facoltà musicale di queste si limita ap- pena a percepire dei suoni slegati o dei rumori: le me- lodie più soavi, più commoventi non parlano punto al- l’anima loro. Altre, e sono le più, invece trasformano benissimo le onde sonore in movimento fisio-psicologico ma sono incapaci del movimento di ritorno. Costoro in- tendono le onde sonore e ne comprendono la espressione; pertanto sono incapaci di apprezzare il tesoro della mu- sica, e di esprimersi nel linguaggio di questa. Altre infine trasformano il movimento meccanico delle onde in mo- vimento fisiologico, questo in movimento psichico e reciprocamente. Costoro sono i veri artisti, che compren- dono il linguaggio musicale e lo possono esprimere. Fra colui che ha le maggiori disposizioni naturali o delle facilitazioni acquisite, per esprimere i suoi pen- sieri ed i suoi sentimenti con l’accento e la melodia, e colui che le ha meno, vi è un’infinità di gradazioni.Ram- bosson giustamente riflette che vi sono delle persone più atte a comprendere la musica esprimente semplice- mente movimento e misura, anziché quella sentimentale e viceversa. Gli effetti delia musica adunque varieranno a seconda la recettibilità individuale, che può espri- mere anche delle condizioni patologiche. Il dott. Felice La Torre, nel trattare degli Effetti pa- iologicidella musica, solleva la questione molto delicata; Quale sarà lamusica dell' avvenir e? Alni pare di scorger- vi dentro quasi una questione di razza, da cui certe dispo- sizioni particolari per il genere musicale. Le composi- zioni musicali semplici, elementari, melodiche,riescono meglio gradite: la loro azione sul sistema nervoso eser- citandosi con tenui e normali eccitazioni, l’effetto n’è normale, piacevole, risvegliando quei sentimenti e quelle sensazioni die sono dovute alla quantità o qualità dello stimolo. La composizione sinfonica, invece, di una tes- situra complicata, le cui note sono unite nel modo più discordante che mai, non può darci delle impressioni dolci e grate, e 1’ effetto è sovente morboso. La prima volta che laMalibran al Conservatorio di Parigi intese la sinfonia in ut minore di Beethoven, fu presa da con- vulsoni. La musica è il gran linguaggio universale in- teso e parlato da tutti gli esseri animati, e come il lin- guaggio essa è più gradita e salutare quanto è più sem- plice, dolce e sonora. Come il linguaggio, la musica deve essere semplice, armoniosa, sobria, e deve com’esso esprimere i concetti più sublimi, deve produrre gii ef- fetti più gradevoli... Nella musica di Bellini emi- nentemente melodica la tessitura è semplice, le com- binazioni elementari e i suoni si succedono con certa affinità di effetto e connessione logica d’estetica. Sta precisamente in questa grande semplicità di mezzi, in questa combinazione elementare di suoni, per produrre i più dolci effetti musicali, il segreto dell’incanto e dei sentimenti che suscita la composizione melodica. 11 sen- timento artistico nel Bellini è spontaneo, umano, giac- ché esso sgorga dalle passioni, parte dal cuore e parla al cuore, e sarà preferito finché vi sarà un cuore che batte sotto l’impero di una passione. Wagner, il sommo scienziato tedesco, è sinfonico. Le studiate combinazioni musicali non semplici, non elementari costituiscono una composizione delle più astruse a comprendersi ed a ri- tenersi. L’orchestrazione formata dai suoni più dispa- rati, non legati insieme con nesso logico, per rapporto all’effetto non proporzionato alla tolleranza nervosa, si basa sopra un principio col quale s’impiega il massimo numero di suoni di tutte le gradazioni.,. Le impres- sioni molteplici e simultanee che si ricevono non stimo- lano il cervello in quella data misura ed intensità come uno stimolo normale ; ma affaticano ed eccitano oltre misura e trasmettono al sensorio le impressioni punto ordinate e meno coordinate. Nasce perciò una confu- sione d’impressioni di cui non si ha una percezione chia- ra e su cui non può portarsi un giudizio. (La Torré). Ascoltando un pezzo di Bellini lo stimolo in giusta misura non affatica il cervello , e le impressioni sono grate, si ritengono, sono trasmesse alla coscienza e si giudicano; un pezzo di Wagner, per contro, disturba il più delle volte l’organo centrale dei sensi e finisce per affaticarlo, eccitarlo e sovraeccitarlo, per cui l’impossi- bilità più o meno assoluta a ritenere le impressioni e trasmetterle distintamente al sensorio, quindi non per- cezioni chiare e mancanza assoluta di giudizio. In Bel- lini è il sentimento che comanda la formazione della frase da cui devesi ottenere un dato effetto, in Wa- gner è la combinazione che s’impone all’ effetto. Una frase di Wagner fatta bene, quale resultato dello studio freddo, calcolatore, riesce assai sovente d’un effetto ec- citante, nocivo:—una frase di Bellini giammai, poiché l’effetto dei suoni egli lo misura alla stregua del suo sentire delicatissimo allora quando un sentimento inef- fabile gli attraversa la coscienza. Bellini sentiva l’ef- fetto della sua musica, Wagner forse non l’ha sentita. Wagner, conclude La Torre, tedesco, scrisse per i te- deschi, non per noi italiani. GL Mazzini , fin dal 1836, intravedeva 1’ accentuarsi delle due correnti, rispondenti alle tendenze psicologi- che dei due popoli. « La musica italiana, melodica in sommo grado, corrisponderebbe a quello spirito d'indi- vldualità, elemento dei tempi di mezzo, che in Italia più che altrove ebbe in tutte cose espressione profon- damente sentita ed energica. L'io v’è re; re despota e solo, S’ abbandona a tutti i capricci ; segue 1’ arbitrio d’una volontà che non ha contrasto: va come può e dove spronano i desiderii. Norma razionale e perpetua, vita progressiva unitaria, ordinata pensatamente a un in- tento non v’è. V’è sensazione prepotente, sfogo rapido e violento. La musica italiana si colloca in mezzo agli oggetti, riceve le sensazioni che vengono da questi e poi ne rimanda l’espressione abbellita, divinizzata. Li- rica fino al delirio, appassionata sino all’ebbrezza, vul- canica come il terreno ove nacque,scintillante come il sole che splende su quel terreno, modula rapida, non cura—o poco— dei mezzi e delle transizioni, balza di cosa in cosa, d’ affetto in affetto, di pensiero in pen- siero, dalla gioia estatica al dolore senza conforto, dal riso al pianto, dall’ira all’amore, dal cielo all'inferno— e sempre potente, sempre commossa, sempre concitata ad un modo, ha vita doppia delle altre vite: un cuore che batte a febbre. La sua è ispirazione di tripode , al- tamente artistica, non religiosa. Prega talora e quando intravede un raggio del cielo, dell’anima, quando sente un’aura del grande universo e si prostra, e adora, è sublime... ma tu senti che s’ella piega la fronte, la rileverà forse un istante dopo in un concetto d’emanci- pazione e d’indipendenza: tu senti che s'è curvata sotto l’impero di un passaggiero entusiasmo, non sotto l’abi- tudine di un sentimento religioso immedesimato con essa. Varie per l'arte è forinola suprema per la musica italiana «La musica tedesca procede per altra via. V’è Dio senza l’uomo... Vi è tempio, religione, altare e incenso; manca l’adoratore, il sacerdote alla fede. Ar- monica in sommo grado, essa rappresenta il pensiero sociale, il concetto generale, l’idea ma senza l'indivi- dualità che traduca il pensiero in azione, che sviluppi nelle diverse applicazioni il concetto che svolga e sim- boleggi l’idea. L’ io è smarrito. L’anima vive, ma di una vita che non è della terra. Come nella vita dei so- gni, quando i sensi tacciono, e lo spirito si affaccia a un altro mondo , dove tutto è più lieve e il moto più rapido, e tutte imagini notano nell’infinito, la musica tedesca addormenta gl’istinti e le potenze della materia e leva 1’ anima in alto , per lande vaste e ignote, ma che una rimembranza debole, incerta, t’addita come se- tu le avessi intravedute nelle prime visioni d’infan- zia... È musica sovranamente elegiaca: musica di ricor- di, di desiderii, di melanconiche speranze e tristezze che non possono aver conforto da lalbre umane; mu- sica d’angioli che hanno perduto il cielo , e v’ errano intorno. La sua patria è l’infinito e v’ anela. Come la poesia del Nord, quando almeno non è sviata da in- fluenza di scuole straniere e serba l’indole primitiva , la musica germanica passeggia leve leve sui campi ter- restri , e sfiora il creato ; ma con gli occhi rivolti al cielo. Diresti non appoggiasse il piè sulla terra che per lanciarsi. Diresti una fanciulla nata al sorriso, ma che non ha trovato un sorriso che risponda al suo, piena 23 l’anima di amore, ma che tra le cose mortali non ha trovato cosa che meritasse di essere amata... E una melodia, breve, timida*, disegnata sfuggevolmente ; o mentre la melodia italiana definisce, esaurisce e t’im- pone un affetto, essa lo affaccia velato, misterioso... L’ una ti trascina a forza fino agli ultimi termini della passione , 1’ altra ti accenna la via e poi ti lascia ». Ultimamente G. Bovio scrivendo su Donizetti, a pro- posito AéWavvenirismo musicale, intorno a cui la moda, corruzione della natura e dell'arte, è riuscita a fare breve rumore, si esprimeva: « La musica dell’avvenire è la più utopistica tra le forme dell’utopia nell’arte, è la più assoluta anarchia nelle combinazioni armoniche, perchè in nome di un avvenire indeterminato, tutto è tentabile, dalla più strana consonanza sino al rumore... Il vero avvenire se lo faranno gli avvenire ; facendo- selo, non potranno superare i termini predistinati dalla propria natura all’evoluzione di ciascuna cosa... Sia quale e quanto si voglia il genio dell’avvenire, non potrà superare mai i termini fìssati a ciascuna cosa dalla natura sua. Vi furono e saranno limiti alle cose oltre i quali finisce la ragione. e comincia il delirio. La musica , come tante altre cose dei nostri tempi, è in istato di crisi, che la rende incerta tra l’antico ed il nuovo, tra il molto che aveva di convenzionale e le più semplici esigenze del presente naturalismo. Non ancora ha trovato assetto tra il parlar de'moderni e il sermon prisco-, e quando vuol dissimulare l’esaurimen- to, gonfia sotto le parvenze dell’ inconsapevole avve- nire. Si noti intanto che ciò che questa cosi detta mu- sica dell’ avvenire ha di veramente bello, sente ancor troppo del passato, troppo di quello spirto melodico che ho esaminato nelle opere di Donizetti... Certo il ritorno puro e semplice a Donizetti ed a Bellini è impossibile, perchè mai e per nessuna cosa si fanno questi ritorni, e perchè quella musica aveva alcun che di convenzio- nale, che faceva talvolta esteriore il ritmo. Intimo vuol essere il ritmo, e questa intimità significa appunto la nuova necessità che incalza la musica verso la fusione più piena e più perfetta delle sue parti costitutive, cioè del lato melodico con l’armonico. Questo fine, verso cui chiara e comune è la tendenza, questo è 1’ avvenire della musica, e sotto questori spetto, ogni tentativo o saggio di questo genere si chiama musica dell’avvenire. Ma si consideri che i tentativi e i saggi esprimono la presente crisi non la fusione ventura; quando la fusione sarà non sovrapposizione nè giustaposizione di parti, come oggi, ma sarà compenetrazione di parti, ordinate tutte ad un’ espressione unica, allora non saranno più saggi e tentativi , allora la tonalità non sarà più di uno o due pezzi, allora sarà veramente quella fusione di tutti i caratteri , di tutte le forze musicali , quella sintesi eufonica e sinfonica che nel presente è un’esi- genza, per 1’ avvenire una legge. Nell’ ultima maniera di Verdi e nel Faust di Gounod s’ incontrano saggi di j questa fusione che, a mio giudizio , superano i tenta- tivi di Wagner, troppo inteso alla preponderanza del- l’armonia sulla melodia », Dopo la lunga digressione fatta sull’indirizzo in genere della musica, sorge la domanda: in qual senso agisce la musica sulla psiche ; qual posto essa occupa fra le belle arti ? La musica di sua natura ha un potere emi- nentemente sintetico : essa rifugge dal penetrare nei particolari più minuziosi, dall’analisi, cioè, delle cose o delle idee nelle kro sfumature le più delicate, le più impercettibili, come fanno le scienze sperimentali, l’ar- chitettura, la scultura , la pittura e fin la letteratura. Essa esprime i segni caratteristici delle categorie, dei gruppi, delle idee e dei sentimenti; in guisa che la me- desima aria può applicarsi a migliaia d’idee e di senti- menti che presentano gli stessi caratteri generali, pur differenziandosi fra loro. Gli è per questo che tutti com- prendono la musica in ciò ch’essa ha di generale, ma ninno si accorda dal momento che vuol precisare la sua espressione, e di farle dire ciò che non è nel suo po- tere. La parola ha degli effetti più precisi della mu- sica , ma essa non ne ha di così potenti: in un batter d'occhio la musica fa percorrere all'anima tutta la scala dei sentimenti. Essa può far passare dalla gioia la più viva alla più profonda tristezza ; dall’ abbatti- mento agli slanci più audaci. Come una maliarda divi- na , essa evoca in un istante tutti i sentimenti, tutte e passioni che covano o riposano inavvertiti in noi me- desimi. La musica nello agire sulla sfera psico-motoria e sen- timentale ha una facoltà eminentissima, che è quella della Reminiscenza (I).-Sovente bastano poche note per ridestarci alla memoria un mondo d’idee e di sentimenti che credevamo assopiti, e che invano avevamo mille volte invocati. Abbiamo veduti vecchi militari cadenti all’udire l’aria marziale di una fanfara, gli squilli vivaci delle trombe od i rulli cupi dei tamburi , essere com- presi da una emozione ineffabile, da un fremito tale, che parevano ringiovanire. Era il ricordo dei begli anni giovanili trascorsi in mezzo ai fragori, ai delirii della guerra ed agli hvrras della vittoria !... La musica possiede al più alto grado il potere di far nascere la Nostalgia; niun linguaggio è capace di svegliare in un modo cosi potente il ricordo di ciò che si è amato. (1) Bovio riconoscendo nella musica il potere della reminiscenza nel parlare di Donizetti si esprime : « Il sovrannaturale a cui si alza la nota di Donizetti non è die un ritorno, cioè un fenomeno psichico, una pura remini- scenza delia più pura delle fantasie giovanili, la reminiscenza del più santo idillio che per un minuto almeno ha allegrato la fantasia di qualunque giovane, del più reietto come del più calcolatore. C’è una nota che i greci chiamavano iperserenia e noi di Napoli possiamo tradurre in ultra partenopea, in quanto quell’ultra viene a significare che mentre quella nota l’invola al presente non ti restituisce a nessun tempo reale, a nessuna data obiettiva nè della storia, nè della biografia, ma ad una semplice e lontana fantasia giovanile, ad un momento idillico che si trova in ogni giovinezza ed in nessun paese , in nes- suna casa, in nessun eremo. A I). tale nota gli si affaccia sempre in un momento di dis- sidio tra un amore immenso ed un presente inesorato. L’ani- ma, disperata del presente, si rifugia in quella reminiscenza e si dissolve in quella nota. ... E tutti ripetono ogni giorno l’insuperabile romanza della Favorita, nella quale questa rimembranza si presenta più di- rettamente: Spirto gentil , Ne’ sogni miei Brillasti un dì Ma ti perdei. Questa nota commosse, invase, e questa ritorna: ma perchè Quando tutto è spento nell'anima questa si desta alle arie che carezzarono i nostri primi vagiti ed ai senti- menti che l’accompagnarono. Il Ranz des vaches (canto patriottico svizzero) esercitava tale fascino sugli Sviz- zeri, lontani dalla patria, che alcuni disertavano per- fino le bandiere .sotto le quali militavano, altri si suici- davano, altri passavano dall’ipocondria alla melanconia, aH’imbecillismo. Si fu costretti d’impedire tale musica. 11 dottor Maynard racconta che trovandosi in un de- serto, stremato dalla fatica e dall’inanizione, fu salvo questa nota di rimembranza, mentre è soave, dolce come arpa eolia, è pur sempre in D, una nota di dolore?—Perchè la dolcezza di quella nota è velata da una lievissima ombra di mestizia che fa languire sul labbro il sorriso a cui la reminiscenza istessa t’invita?... D. è contemporaneo di G. Leopardi:le remini- scenze giovanili si traducono in affanno , e la nota che le ri- conduce, senza sapere, diventa elegiaca. Donizetti sente --il tempo glielo mormora che nella nota del di là, dell’ultra- presente, è una rimembranza, il baleno di un idillio passato senza essere stato mai, passato senza data, senza fissare un giorno nella storia e nella vita, passato come rimembranza non confortata da presentimento Passasti! Non altro , non altro!— Questa è nota sacra, è nota lirica ed è nel medesimo tempo la nota musicale per eccellenza. È sacra, perchè è il solo ultra-presente, il solo di là de’nostri tempi, ed altra nota sacra non v’è... È nota lirica, perchè sebbene questa rimembranza tragga obbiettività dalla sua stessa universalità, è nondimeno essenzialmente subbiettiva, in quanto quel fantasma della no- stra giovanezza, quell’idillio intimo, rimane sempre intimo e non arriva ad estrinsecarsi in nessuna data, in nessuna valle, in nessun paradiso celeste o terreste. La rimembranza in D. è la nota musicale per eccellenza, perchè quella rimembranza non ha colore, non figura propria- mente o disegno, nulla di veramente delineato e determinato. La sua nativa determinazione è l’indeterminatezza istessa, la quale è nell’ indole del suono e può solo dalla musica essere toccata. Una battaglia , una riscossa può vedersi così in un canto omerico come in una pagina di Livio, può delinearsi così in una tela ed in un gruppo, come suonare in un inno di guerra e in una marsigliese; il bacio di Paolo tremante può vedersi nelle parole di Dante come nel disegno di Michelangelo; ma quella rimembranza che si sottrae a disegno, a colore, a parola, quella riappare nell’ indeterminato di poche note ». dalla mortale letargia all’ udire il ritornello popolare ; Je rais reroir ma Normandie\—E tale e tanto il nu- mero delle idee e dei sentimenti associati che risveglia la musica, che, come può rianimarci, può abbatterci per certe reminiscenze del passato. Reminiscenze le quali spesso non sono rapportabili alla natura della musi- ca, ma a certo momento quando alcune note agirono sopra di noi. Tali note in quel momento fissarono, in- carnarono, nella loro idealità, l’atto del nostro spirito, che ora ce lo ripresentano fresco e vivo. E tanto po- tente 1’ effetto della musica che essa—a differenza delle altre arti belle, le quali non influenzano se non rag- giungono l’eccellenza—anche male eseguita o dì medio- cre composizione può riuscire maravigliosamente effi- cace, destando le ricordanze , elevando il diapason di uno spirito abbattuto o in preda alla disperazione, inci- tando all’invenzione ed al lavoro. Dal punto di vista psicologico e morale sì vuol tener conto che una musica che segna la misura, il ritmo, ond’ è capace di sollevare lo spirito ed aiutare il la- voro, riesce utile come un alimento fortificante. Del pari può trasmettere o risvegliare tutti i sentimenti e dar loro la potenza di un fascino spesso irresistibile. Le arie esprimenti il coraggio, la dolcezza, la benevolenza od una passione qualunque, si applicano a tutte le sfuma- ture infinitamente variate di cotesti generi d’idee o di sentimenti. 11 potere di esprimere la generalità le dà una forza che non avrebbe se la sua espressione fosse più determina- tiva. E infatti meravigliosa la potenza della comprensi- bilità universale della musica. Le altre belle arti ed il linguaggio parlato subiscono l’influenza diretta dello am- biente e della razza, in guisa da dare alle produzioni l’impronta particolare e caratteristica all’essere di un luogo o di un popolo. La musica par che tenti di emanciparsi dalla prepoten- za dello ambiente, e quale fluido imponderabile, diffusi- bilissimo, potentissimo si espande dovunque, circonda e comprende, sotto la sua magica potenza, tutto e tutti che sono recettibili per essa. Sotto le fosche nebbie del Nord, come sotto il cielo puro e smagliante dell’Orien- te; nei freddi artici come nella zona equatoriale; nel ri- gido inverno, come nella estate soffocante : il grave ten- tone come l'entusiasta spagnuolo, il mercante inglese come l’artista italiano, lo slavo come il turco—alle note della Lucia, della Favorita, della Norma, del G. Teli, del Bravo, del Faust e ùélYAiata... subiscono l’effetto dello stesso stimolo , dello stesso sentimento emotivo, dell’istessa reminiscenza, giacché quelle note sono l’e- spressione, l’eco fedele di un sentimento universale av- vertito, compreso, condiviso da tutti i popoli, perchè è nella natura dell’essere fisico e morale di essi. La musica italiana , ripetiamo , raggiunge in grado eminente cotesta delicata e profonda intuizione. La mu- sica tedesca cosi eccentrica, così esclusivista, così su- biettivista , non ci pare che possa aspirare a cotesta universalità d’influenza fisio psiologica. La musica eccita il coraggio fin nei pusillanimi, onde fu trovata utile a tener desto l’ardore dei soldati nella mischia. Napoleone I a Wagram e Napoleone 111 a Sol- ferino, Garibaldi al Volturno, quando incerte erano le sorti delle giornate, fecero intuonare la Marseillnise e Vlnno di Garibaldi, alle cui note un fremito , nunzio della vittoria, corse nelle fibre dei militi... e vinsero.— Le note del Guglielmo Teli risveglieranno nel monta- naro della Svizzera l’amore alla patria; come la melo- dia di una musica chiesastica trasporterà gli animi ascetici in sfere mistiche; e le note di un walzer più che alla donna galante , cui neanco la musica arriva ormai ad eccitare gl’infraliti sensi, può far perdere l’e- quilibrio della mente alla casta fanciulla, che si sente trascinata a perdersi in quei gorghi fatali della civet- teria che è la vertigine della danza. Infine quando i co- stumi decadono si può cadere dalla Sonnambola, come disse Bovio in Parlamento, a Donna Juaniia ed a Boc- caccio, cioè dagli amori innocenti e sublimi alla farsa tresca ed alla musica ruffianeggiante.—Breve : la mu- sica eccita il genere delle idee e dei sentimenti nei quali l’anima può cullarsi naturalmente, istintivamente, no- toriamente e per elezione, avendo analogia con il mo- tivo che essa esprime. Quest’arte, diceva E. Baudrillart, senza l’uguale per il bene e per il male, porta al colmo le passioni le più sublimi e gl’istinti i più perversi, tra- sformando l’uomo al punto da rendere bravi i timidi e sanguinarie delle nature abitualmente dolci. Il ritmo e l’armonia, intuì già Platone, hanno in su- premo grado il potere di penetrare nell’anima, imposses- sarsene, infonderle il bello e sottometterla al suo impe- rio, quando però V educazione è stata convenevole; il contrario avviene quando l'educazione è malfatta. La musica è una forza che può acccrescere tutte le nostre potenze, e dipende da noi il farne buono o cattivo uso, come avviene nei nostri teatri e nei saloni, dove spesso la musica serve ad alimentare e a dare impulso alle passioni stravaganti , alle movenze di un plasticisrno snervante. La musica infine riesce, quando ci abbando- niamo al suo impulso, una seconda anima che c’invade e c’impone a volta la sua calma ed il suo ardore, le sue gioie o le sue tristezze. Essa si fa signora di tutto il nostro essere: la circolazione del sangue, i battiti del cuore, i movimenti nervosi finiscono per obbedirle. Essa eccita, calma, affascina come la poesia e l’eloquenza: in mano dell’uomo diviene una spada a due tagli a seconda che l’applica al bene od al male. La scienza dell’educa- zione e la terapeutica sapranno trarre , senza dubbio , grande profitto da questo prezioso fattore mesologico. La musica, scriveva Mazzini, sola favella comune a tutte le nazioni', unica che trasmette esplicito un pre- sentimento dell'umanità, è chiamata certo a più alti destini che non son quelli di trastullare l'ore d' ozio a un piccai numero di scioperati. La Vista è, fra tutti i sensi, il senso intellettuale per eccellenza La percezione del mondo esteriore, funzione dell’attività psichica, sedente nel cervello, è stretta- mente legata all’ integrità dell’ apparecchio visivo , il quale somministra continuamente al sensorio, epperò all’anima, il materiale che riceve da fuori L’occhio, dice Mantegazza, è telegrafo del cuore e osservatorio del pen- siero; sintesi suprema di tutti i sensi e linguaggio per tutti i popoli, sorride o piange al primo soffio di vita dcl bambino, e quando è spento dà alla vita l’ultimo addio. Col calar delle sue cortine impone il silenzio ed il riposo a tutti i sensi, a tutti i pensieri , a tutte le passioni: si desta, e sensi, e pensieri e passioni si risve- gliano con lui. Il carattere speciale delle impressioni visive è la per- sistenza. L’effetto della luce, quantunque potente, è dol- ce ; esso non spossa i nervi tanto rapidamente come i sapori dolci, gli odori piccanti, i suoni rumorosi. Nel raffinamento del piacere è principale condizione l’attitu- dine del piacere di prolungarsi lungamente senza affa- ticarsi nè procurarsi sazietà. 11 qual fatto, che fa della vista il senso superiore per la percezione del mondo esteriore, tiene alla proprietà che la medesima ha di una sensibilità indipendente per i punti tenuti. Il nervo ottico deve necessariamente com- comporsi di un gran numero di fibre indipendenti, che conservano il loro isolamento fino al cervello, e son ca- paci di trasmettere, con delle onde distinte, attraverso tutta la massa cerebrale , ciascuna di quelle migliaia d’impressioni apportanti un effetto differente alla co- noscenza, e creando una volizione. Noi non troveremo giammai, dice Bain , alcun fatto che provi meglio la complessità e nel tempo stesso la disgiunzione dell’azione del sistema cerebrale. Le impressioni visive sono più durevoli e distinte di quelle dei sensi inferiori; e gli è in base di questa qua- lità e di altre ancora, che esse contribuiscono al senti- mento del bello. La luce è eminentemente una sorgente di piacere, che si accresce in proporzione dell’ abbon- danza della emanazione luminosa, però in certi confini. L’influenza serena e dolce del sole o della luce diffusa serve di legame fra gli effetti della luce ed i sentimenti teneri, giacché il piacere voluminoso e non acuto (es., la luce artificiale) vince generalmente l’eccitazione at- tiva del sistema nervoso, neutralizza la sua tendenza all’azione, e mette lo spirito nello stato più convenevole per i piaceri delle emozioni tenere (A. Bain). I piaceri della luce stimolano la volontà proporzio- natamente al loro grado. Noi fuggiamo i luoghi oscuri e cerchiamo il giorno chiaro od un luogo ben rischia- rato; quando la luce solare è eccessiva e penosa noi ci ritiriamo all’ ombra. Pertanto è a riflettere che bene spesso innanzi ad una luce troppo forte, che fa mole- stia, l’occhio subisce un’ attrazione e resta fiso a con- templarla, senza potersene sottrarre, come la farfalla che, attratta dalla fiamma, tanto la gira finché ne ri- mane presa. Rispetto alla intelligenza la sensazione della vista oc- cupa il primo posto nella scala della sensibilità. I pia- ceri e le sofferenze, ligati alla sensazione della vista, prevalgono sugli altri sensi per la proprietà che hanno di persistere nello spirito e di esservi richiamati; solo l’udito può, eccezionalmente, rivaleggiarli. La superio- rità della vista è ancora più pronunziata nei suoi rap- porti puramente intellettuali , nei materiali che essa somministra alla conoscenza. Le sensazioni hanno, in grado eminente, la facoltà di consentire il paragone, di essere distinte od identificate , e di essere fissate nella memoria come imagini delle cose che intorniano. Il numero delle imagini intellettuali , che l’occhio estrae dalle forme della natura morta , non ha altro limite che quello degli oggetti dell’universo visibile. Le sensazioni degli oggetti della vista servono a distin- guere e ad identificare le cose della natura, ed a prov- vedere lo spirito di conoscenze e di pensieri. L’occhio non cessa di percorrere la scena che lo circonda ; esso segue i contorni, le sinuosità, le sfumature, di ciascun oggetto, in tutti i sensi ; nel tempo stesso i movimenti, che questi esami suscitano, servono spesso a distinguere ciascun oggetto da quelli che gli differiscono per la for- ma, il volume, o la distanza, e ad identificarlo con sé stesso e con quelli che posseggono gli stessi caratteri particolari. La proprietà che possiede il sistema psi- chico di dare della coesione ai movimenti che si sono compiuti successivamente, fissa le serie che corrispon- dono a ciascuno sguardo, e costituisce in un modo per- manente la conoscenza di tutte le forme che sono state presentate all’occhio. Il senso della vista adunque è la porta principalis- sima, per la quale la natura esteriore, riflettendosi nel- l’organo del pensiero, rimane, diremo, fotografata inde- lebilmente sulla soglia delle percezioni, le quali, asso- ciandosi in un modo uniforme fra loro, destano delle inda- gini, suggeriscono delle idee, determinano azioni che sono comuni a tutti coloro che ne rimangono influen- zati; donde le particolari fisonomie determinanti i ca- ratteri psichici comuni a ciascun popolo, specialmente in sullo inizio della sua civiltà. Sicché il meccanismo della vista è il primo fondamento della storia, la quale non si saprebbe concepire in un mondo di orbi. Lo stesso Hegel, parlando del fondamento geografico della s'oria del mondo, affermava: a fronte dell’uni- versalità dell’etico intiero e la sua singola agente in- dividualità, la condizione naturale dello spirito del popolo è un che di esterno. Noi moviamo dal ritenere che nella storia del mondo l’ldea dello spirito apparisce nella realtà come una serie di figure esterne, delle quali cia- scuna si annuncia come un popolo che esiste effettiva- mente. Il lato di codesta esistenza ricade tanto nel tem- po che nello spazio, nella guisa di un Essere naturale; ed il principio speciale, che seco porta ogni popolo nella storia dei mondo, ha insiememente in sé una determi- nazione naturale. Non c’importa conoscere il suolo co- me esterno locale, ma il tipo naturale della località, che si accorda esattamente col tipo e carattere del popolo, figlio di quel suolo. Tale carattere è il modo e la guisa onde i popoli si producono nella storia del mondo, pren- dendovi luogo e posinone. Il sereno fonico cielo cer- tamente ha dovuto contribuire molto alla leggiadra; poesia omerica. L’influenza, l’azione delle circostanze esterne , sog- giunge l’eghelliano A. Vera, è un’azione perenne, con- tinua e che abbraccia tutti i momenti dell'essere di un popolo; ma che spicca sopratutto nei grandi avvenimenti o in ciò che havvi di più saliente nella sua vita. Spo- state Londra e voi non avrete più il Tamigi, non avrete più questa grande arteria che sveglia, che eccita e nu- drisce lo spirito politico e commerciale inglese (1). (1) Altrove rilevammo la spiccata differenza del carattere fiero ed energico del montanaro rimpetto al carattere fiacco ed a- Se indaghiamo, dice l’impareggiabile Buckle, quali sieno gli agenti fìsici che più signoreggiano I’umana razza, troveremo che essi si possono classificare in quat- tro gruppi: Clima, Nutrimento, Suolo ed Aspetto gene- rale della Natura; col quale ultimo s’intendono quel- le apparenze, le quali, quantunque presentate principal- mente alla vista, hanno, mediante questo od altri sensi, diretto 1’ associazione delle idee e dato quindi origine in diverse contrade a diverse abitudini di pensiero na- zionale, Questa classe produce i suoi resultati princi- pali eccitando l'imaginazione e suggerendo quelle su- perstizioni innumerevoli che formano i maggiori osta- coli al progresso del sapere. E poiché, nella infanzia di un popolo, la potenza di simili superstizioni è supre- ma, è accaduto che i varii aspetti della natura hanno cagionato varietà corrispondenti nel carattere naziona- le ed hanno trasfuso nella religione nazionale peculia- rità che, sotto certe circostanze, è impossibile di can- cellare. Buckle considera gli aspetti della natura in quelli più atti ad eccitare l’iraaginazione, ed in quelli che indirizzaci alle mere operazioni logiche della men- te (intelligenza). patico dell’abitatore la pianura— considerando entrambi nella stessa sfera geografica, nello stesso tempo e nella stessa razza; ed appo i quali le diversità erano unicamente determinate dallo aspetto della natura esteriore. Le continue ascensioni svilup- pano verosimilmente nei primi il sistema muscolare e gli or- gani del respiro; di consenso le imagini pittoresche, i siti ca- pricciosi ed inaccessibili, i profondi avvallamenti sottostanti, gli estremi orizzonti variopinti per foreste e praterie verdeg- gianti, imprimono alla loro mobile fantasia un carattere spe- ciale: sicché fra l’arcana e muta eloquenza di quello ambiente e le attitudini psichiche dell’abitatore si stabilisce un ricam- bio di legami indissolubili ed eterni, che si tramanda nelle gio- vani generazioni col ritmo poetico. Invece la passiva unifor mità della pianura rende i suoi abitatori apatici e tapini . La nostalgia infatti coglie a preferenza i montanari, i marini, gl’i- perborei (Lapponi , Groenlandesi ecc.), quando si cerca di ri- muoverli sia pure dalle loro dense nebbie, che essi popolano di miti e di leggende fantastiche. (L’lgiene in rapporto alla Me- dicina ed all’Antropologia, Prolusione, 1878). Fazio Quantunque sia vero che in una mente sviluppata e bene equilibrata l’imaginazione e l'intelligenza rappre- sentino ciascuna la sua parte rispettiva e si aiutino vicendevolmente, è vero altresì che nella maggioranza dei casi l’intelligenza è troppo debole per infrenare l’i- maginazione e restringere la sua licenza pericolosa. La tendenza dell’incivilimento progressivo si è di porvi ri- medio, dando alle facoltà ragionatrici quell’ autorità, che, in un periodo primitivo della società, 1’ imagina- zione esclusivamente possiede (Buckle). E evidente che qualunque cosa inspira sentimento di telrore o di grande meraviglia , e qualunque cosa eccita nella mente un’idea dell’incerto ed imperscruta- bile, hanno tendenza speciale ad infiammare rimaglila- zione ed a ridurre sotto il dominio suo le deliberazioni più lente e più ponderate dell’intelligenza. L’uomo, po- stosi a confronto delle forze e della maestà della natura, sgomento dell’indefinito od indefinibile , e sol conscio penosamente della propria impotenza, è assalito da un senso d’inferiorità. All’opposto dove le opere della na- tura sono piccole, deboli, l’uomo, potendo dominarle, acquista fiducia nel suo potere al punto di generaliz- zare le apparenze della natura, riferendole alle leggi da cui sono governate. Buckle a questo proposito prende in esame due grandi tipi, affatto opposti fra loro, la Grecia e l’lndia, per istabilire l’influenza che hanno i varii aspetti della natura sulle produzioni artistiche e sugli ordinamenti civili e religiosi dei due grandi po- poli, il Greco e l’lndo. Le opere della natura, egli ri- flette, che sono in India di grandezza straordinaria, ap- pariscono nella Grecia più piccine, più deboli e per ogni rispetto meno minacciose all’uomo. Nel gran centro della civiltà asiatica le energie della razza umana sono limitate, per così dire, intimidite dai fenomeni circo- stanti. Oltre i pericoli concomitanti ai climi tropicali (calori estremi, terremoti, tempeste, cicloni, pestilenze, fiere ec.) hannovi quelle enormi montagne, che par che lecchino il cielo con le loro vette, e dai cui fianchi de- volvonsi fiumi poderosi, cui niuna arte può sviare dal loro corso, e cui niun ponte può mai accavalciare. Han- novi foreste impenetrabili, intere contrade coperte de- termina,bili giuncheti, e poi sconfinati, paurosi deserti. Intorno intorno alla immensa Penisola stendonsi vasti mari, travagliati da tempeste terribili, disastrose, e di tale violenza improvvisa che è impossibile di premu- nirsi contro i loro effetti. E come che in quelle regioni ogni cosa combini per paralizzare l’attività dell’uomo, tutta la distesa della costa dalla foce del Gange all’e- stremo mezzodì della Penisola non contiene un approdo sicuro. Tutto ciò esalta la imaginazione ed influisce ad avvilire 1’ uomo che abita la contrada. Per l’opposto in Grecia gli aspetti della natura sono così intieramente diversi che le stesse condizioni dei- resistenza sono mutate. Mentre nella contrada Asiatica tutto è immenso e terribile, nella contrada Europea tutto è piccolo e debole. La Grecia, piccolissima penisola dalla forma di una foglia di quercia, è frastagliata da infiniti seni, che sono tanti approdi sicuri; circondata da centinaia di isole, i suoi flutti si confondono con quelli ripercossi dalle coste dell’Asia minore, dell’Egitto, dell' Italia. Le montagne più alte della Grecia sono meno di un terzo dell’ Imalaja, cotalché in niun luogo arrivano al limite delle nevi perpetue. Del pari rimpetto alle ster- minate correnti fluviali, che scendono furiose dalle mon- tagne asiatiche, piccoli e tranquilli rivi solcano la pe- nisola Ellenica. « Queste notevoli differenze nei fenomeni materiali dei due paesi diedero origine a differenze corrispondenti nelle loro associazioni mentali. Imperoc- ché dovendo tutte le idee originare in parte da ciò che chiamansi operazioni spontanee della mente, e in parte da ciò che vien suggerito alla mente del mondo este- riore, era naturale che una sì grande alterazione in una delle cause producesse un’alterazione negli effetti. La tendenza dei fenomeni circostanti era, nell’ India, d’ispirare terrore—nella Grecia, d’ispirare fiducia. Nel- l’lndia l’uomo era intimorito, nella Grecia incoraggiato. Nell’ India gli ostacoli d’ogni sorta erano cosi numerosi, così allarmanti, ed apparentemente così inesplicabili , che la difficoltà della vita potevasi soltanto risolvere ricorrendo di continuo all’intervento delle cause sopran- naturali, le quali, essendo oltre il dominio dell’ intel- lingenza, le facoltà dell’imaginazione erano incessan- temente occupate a studiarle; l'imaginazione stessa era sopraffatta, soverchiamente eccitata, la sua attività di- veniva pericolosa, invadeva l’intelligenza e l’equilibrio dell’ intiero era distrutto. Nella Grecia circostanze op- poste furono susseguite da opposti resultati. Nella Gre- cia la natura era meno pericolosa, meno intrusiva e meno misteriosa che nell’lndia (1). Nella Grecia perciò lo spirito umano fu meno alterato, meno superstizioso. La natura in India teneva l’uomo schiavo, in Grecia 1’ uomo non pure era emancipato dalla natura, ma la inservi, la rese sua, ne fece oggetto di studio. L’aspetto della medesima così ridente, dolce, amico, inspirò l’uo- mo, onde si stabilì fra entrambi una tale corrente di amorosi sensi da immedesimarli. L’ uomo e la natura s’idealizzarono, rivelandosi con meravigliose ed im- mortali produzioni artistiche ed intellettuali. La mito- logia indiana, come quella di ogni paese tropicale, è basata sul terrore eccentrico. L’ universalità del quale sentimento si rileva nei Libri Sacri degl’indi, nelle loro tradizioni, nella stessa forma ed apparenza delle loro deità. Infatti le deità più popolari sono quelle alle quali le imagini di terrore sono più intimamente associate. In Grecia, nell’infanzia della sua religione, non tro- viamo la menoma traccia di questo sentimento di ter- rore, perchè mancavano le cause. La tendenza della civiltà asiatica era di accrescere la distanza fra gli uo- mini e le deità; invece la tendenza della civiltà greca era per contro di diminuirla. Gli Dei degli Indi erano delle figure mostruose: Yisnù aveva quattro mani, Era- hama cinque teste Le loro gesta si ravviluppavano nel mistero più recondito, nella eccentricità più straordi- naria. Invece le deità greche erano i rappresentanti più fedeli dello spirito e del tipo greco generalizzato, (l)«Oh voi discendenti di Erectea, fortunati fin dall’antichità, « fanciulli diletti agli Dei felici, voi cogliete, nella vostra pa- « tria sacra e giammai conquìsa, la saggezza gloriosa come « un frutto del vostro suolo, e voi procedete costantemente « con una dolce soddisfazione nell’etere irradiante del vostro « cielo, dove le nove Muse, sacre a Pieria, nutriscono Arino- li nia dai ricci d’oro, il vostro fanciullo comune». perfezionato ed individualizzato. Gli Dei greci avevano attributi umani , le virtù come i vizii degli uomini. Essi discendevano dall’ Olimpo in terra, come dalla terra gli uomini, deificati (eroi) , salivano l’Olimpo. Per tal modo in Grecia ogni cosa tendeva ad esaltare la dignità dell’ uomo, mentre nell’ India ogni cosa ten- deva a deprimerla; laonde i Greci avevano più rispetto per le umane potenze, gl’ Indi per le sovrumane. I primi si occupavano più del noto e del vantaggioso, i secondi dello ignoto e del misterioso. E per una parità di ra- gionamento, l’imaginazione che gl’ Indi, oppressi dalla pompe e dalla maestà della natura, non cercarono mai d’infrenare, perdè la sua supremazia nella piccola peni- sola dell’ antica Grecia. In India, come in Cina, lo spirito, oppresso dall’aspetto della natura esteriore, restò strozzato, immobilizzato nelle Caste, sicché quivi il progresso si arrestò ; in Grecia invece lo spirito, emancipatosi dalla natura, si liberò nelle regioni serene delle arti e delle scienze, e là storia vi si svolse libera e rapida. Buckle, chiudendo il felice paragone, rammenta agli storici che la mano della natura da per ogni dove è sopra di noi, e che l'istoria detto spirito umano può soltanto essere compresa connettendola alla istoria ed agli aspetti del materiale universo. Il distacco enorme che noi abbiamo trovato nelle isto- ria di due grandi popoli, per effetto principalmente dello aspetto della natura ambiente, trova riscontro grandis- simo anche fra popoli moderni, appo i quali certi di- stacchi non sono così pronunziati. Nè ciò può riferirsi ad una mera influenza storica, giacché vedremo in al- tri esempii, quanto possa sugli stessi individui un sem- plice cangiamento di scena della natura esteriore; la quale è capace ad ogni istante di apportare un’immensa rapidissima rivoluzione nell’ ordine psicologico. Quanta differenza, riflette E. Castelar, fra il Lido di Venezia, la glauca baia di Napoli e i belli orizzonti di Cadice, dove le acque e i cieli si confondono amorosi in una festa di colori, ed i boschi di elee, ove le palme, agitate dalle brezze marine, compongono melanconica melodia unisona, degna del deserto dalle regioni in- glesi, tante volte descritte dai poeti e mai comprese se non per la esperienza dei proprii occhi. Quivi il suolo è verde, spugnoso, umido; il cielo scuro, bigio, pieno di vapori, ora bianchicci, ora arieggianti il violetto, a traverso le cui masse distilla luce indefinita, pallida, e ove le dense nebbie stendono il loro mistico velo sui rami altissimi dei muti alberi, sulle brune guglie della badia di Westminster e le gotiche torri del Parlamento. Quanto differenti sono gli obbietti del Nord e del Mez- zogiorno! Alla nostra luce una linea s’infiamma e pare un quadro ; a quella luce un edificio svanisce e pare un’ombra. La inglese non è l’atmosfera delle arti pla- stiche. Una figura di marmo, che il sole d’ltalia indora fino a darle il colore e il tocco della carne, colà si con- vertirebbe presto in informe carbone di pietra. Il perchè quando, in breve spazio di tempo, siete passati dalla contemplazione delle statue bianche di Chiaja, occulte fra i boschi d’aranci e di lauri, illuminate da quel sole abbagliante che si duplica nelle celesti acque del Tir- reno, alla contemplazione di quelle negre statue dei passeggi a Londra, potete appena soffermarvi a guar- darle, perchè feriscono la vostra retina c sconcertano tutti i vostri domini sul gusto e sull’ arte. Le statue del mezzogiorno conservano ciò che vi è in loro di eternamente bello, Informa; gli eroi del Nord, invece, nelle loro statue, perdono ciò che vi è in essi di eter- namente grande, T anima. Questi non sono i paesi delle arti plastiche, sono però i paesi della poesia spiritualistica. Qui si possono ri- suscitare gli eroi di altre età, come li risuscitava Gual- tiero Scott; qui si può penetrare fino al fondo degli abissi segreti del nostro essere, fino al fondo del cuore e della scienza, come penetrava quello scrutatore im- mortale degli oceani dell’anima, Shakspeare. Tosto che tocchiate queste spiagge, vi sentite mosso, secondo il temperamento vostro, se siete forte e nerboruto, al la- voro; se intraprendente, al commercio; se filosofo, a pensare; ed a sognare, se poeta. In questi paesi, e in paesi molto somiglianti a questi si sono scritte le creazioni di Swifth, di Hoffmann e di Richter. Sono i paesi nei quali il corpo si perde come un angelo in cieli infiniti e ideali. E desso il paese di Byron. Eppure questo genio irrequieto, che sente scor- rere nelle vene ancora il sangue normanno, cementato in una lega di bronzo ancora rovente coll’inglese, si sente attratto, affascinato da una potenza irresistibile per la terra delle forme artistiche, la terra delle forme perfette, per la Grecia. Quivi, fuggitivo dalle nebbie del Nord, inebriato dal limpido cielo azzurro e dal fascino dell’ eterna luce, irrorante le dolci colline animate tut- tavia dai profumi di lauri, di aranci, di lentischi, ed indorante i marmi, da cui uscivano le statue immortali ed i divini avanzi dei numi: la reminiscenza del passato, ed il clima storico svegliato dall’elemento naturale, de- starono nella fervida fantasia del figlio prediletto del se- colo nostro quei rapimenti sublimi, che gli dovevano creare l’alto seggio nel Parnaso moderno. Mai il genio dell' uomo ha scri/lo pagine così belle come quelle che Byron consacra alla sua peregrinazione per la Grecia ! esclama Castelar. Questo Sentimento della natura, emanante nudo e spontaneo dal suo aspetto esterno, trova nel Petrarca una incarnazione così squisita, fedele e serena, che è maraviglioso come, prima del nostro B. Zumbini, nes- sun critico, per quanto io mi sappia, lo abbia rilevato. Zumbini incomincia dal considerare nel sentimento petrarchesco due grandi forme, quella, cioè, dell’affetto alla natura, il quale procede più o meno da altri affetti o ad essi si accompagna, e quella dell’ affetto alla na- tura per sè medesima. « 11 Petrarca comincia a mostrarsi amante della natura e precursore dei moderni nei suoi continui viaggi... Col vedere continuamente nuovi paesi oltreché sentiva quietarsi quel misterioso fastidio che gl’ingombrava il cuore, prendeva diletto sommo delle varie bellezze fisiche che gli si presentavano allo sguardo. La vista degli alti monti, dei grandi fiumi, delle pro- fonde selve, lo inebriava; e quando egli si rammenta di quelle impressioni, vicine o lontane, ne parla come chi narri di una festa, alla quale abbia partecipato con tutta l’anima... In ogni paese, vedremo il mondo esterno avere sempre destato echi nel cuore di lui, impressio- nabilissimo ad ogni sorta di bellezza... Sarebbe difficile nominare un altro scrittore italiano che alle bellezze naturali della sua patria abbia badato altrettanto. Con quella amorosa attenzione, onde notò tutti i particolari delle lelle membra della sua sua donna, notò anche quelli del bel corpo d’ltalia.. In qualsia luogo vivesse, pensò al puro sereno dell’italico cielo, al nostro sole, ai nostri campi, alla terra materna... Fin nei suoi scritti di filosofìa, dove ei fa tacere il cuore e parla di cose estranee alla patria e alla bellezza, lampeggia talvolta la ridente immagine d’ltalia. Della quale mostrò di amare ogni angolo, ogni monte, ogni marina... Se non sapessimo dove Petrarca avesse avuto i natali, lo crede- remmo nativo di quel luogo, di cui ci troviamo a leg- rere una descrizione sua: parentela mirabile ch’egli contrae con ciò che gli è attorno, e nella quale consi- ste il carattere primissimo del sentimento della natura. A Milano, a Genova, a Parma, a Roma, dovunque, egli vede le cose esteriori fargli spettacolo da ogni banda, perchè nell’intimo di lui vi è ciò che fa sentire il bello fìsico, e che circonda di luce e di armonia quanto con 1’ occhio sì gira... E tale gioia egli mostrò di sentire sempre che gli si offersero «Ila vista cose belle per sé e risvegllatrici insieme di memorie antiche. Le scene della natura, quando gli erano occasione a quei ricordi, gl’ ispiravano sentimenti più alti e più poetici che non la stessa poesia classica... Alla vista della bellezza fisica del suo paese, non pure le memorie dell’ antica gran- dezza, ma si svegliano anche nel poeta quelle dell’an- tica arte nazionale. Ciò che per i monti, le piagge e le marine italiane colpiva i suoi sensi, si associava tosto alle impressioni che ne avevano avuto i padri nostri, e delle quali fanno testimonianza i loro poemi e le loro storie, eh’ egli sapeva tutti a mente... Così vagheggiava la natura fìsica italiana, oltreché con gli occhi suoi proprii, con quelli dei Classici, la sentiva col suo e col loro cuore, l’ammirava in sè e in quelle parole latine, la cui dolcezza gli suonava ognor dentro. Ammirazione e amore stupendi, che non intenderà se non chi sappia penetrare nell’animo del poeta, al quale la vita presente pareva una continuazione immediata della vita antica, e in cui al tempo stesso esercitava una potenza illimi- tata la bellezza vivente sotto qualunque forma... L’a- more petrarchesco per la natura l’abbiam visto sempre congiunto con quello per la patria; ma anche in questi esempi il primo di essi amori ci si mostra così ardente, così costante da farci intendere come il secondo possa piuttosto averlo alimentato ed esserselo associato, che averlo addirittura prodotto. Nella poesia italianaabbiamo molti nobili esempi di amore supremo alla patria no- stra, ed interpretazioni anche felicissime dei dolori e delle speranze di lei, non congiunte però a nulla che si assomigli a questo larghissimo amore petrarchesco che comprende tutto ciò che per ogni rispetto si appar- tiene al bel Paese » Zumbini. il sentimento della natura congiunto con l’a- more della patria; ora lo vedremo congiunto con quel- 1’ altro amore, il nome del poeta divenne mag- giormente famoso. E un amore, codesto che cresce sem- pre più in mezzo ai campi, perchè Laura é una donna, la cui leggiadria e i cui vezzi aumentano di potere al- 1’ aperto spettacolo della natura. Non è in tutta la no- stra poesia una figura feminile che sia , come Laura, cosi continuamente circondata da bellezze naturali, che quasi non ce la sapremmo più raffigurare divisa da quel- le... Certo, nella poesia petrarchesca,! campi sono come la scena, in cui il più delle volte si muove quella dea; e quanto in essi è di più ridente, la circonda come cor- nice. Anche qui l’amore della natura, quantunque possa parere prodotto dall' altro amore, pure è così gagliardo, che spesso dà a questo nuovo vigore, e finalmente gli sopravvive. Non diremo di quella facoltà, per cui il poeta osserva e descrive con delicatezza ed evidenza le cose più leggiadre del mondo esteriore: ricorderemo sol- tanto che nella freschezza delle sue tinte ei non ha pari nella nostra poesia, salvo Dante, e ch’è impossibile im- maginare nulla di più delicato, di più trasparente, di più musicale, che quelle parole con cui egli ritrae gli effetti della luce, le aurore, il rasserenarsi del cielo, il riso delle piagge fiorite, e sopra tutto le blande armonie delle acque correnti ». Infine Zumbini afferma che Pe- trarca nel sentimento della natura per sè stessa, con- siderando cioè il suo amore per essa, scevro da ogni altro affetto estrinseco, è superiore a tutti i poeti del- l’antichità, compresi gli stessi Virgilio, Orazio, Ovidio e Lucrezio. Ora questo Sentimento della natura, che mette ra- dici in Petrarca, trova eco in quasi tutti i poeti poste- riori, portandosi fino a noi e rivelandosi con i dolori del cigno Recanatese, con le speranze di Aleardi e col saluto che Carducci invia all’ . . Umbria, verde, e tu del puro fonte nume Glitumno! Sento in cuor l’antica patria e aleggiarmi su 1’ eccesa fronte gl’ itali iddìi. G. Bovio in una conferenza (La Geologia, dell' Italia meridionale rispetto all' indole degli abitatori), dopo di aver seguito le varie fasi della storia geologica del bel Paese, che ebbe vulcani le Alpi e gli Appennini, i quali mandavano lave di fuoco al mare, e come nel mezzodì il fuoco arse più ostinato che altrove, nei due grandi centri dei Campi ftegrei e del Mongibello, in- daga la influenza che gli avvenimenti naturali potettero spiegare sulla produzione intellettuale, sulle funzioni psichiche, sul genio del popolo. «Ricordate, egli dice, che prima—più di un secolo prima—che Herder e Montesquieu consigliassero di non entrare nello ambiente storico se non attraverso l’ambiente naturale, un vostro poeta aveva cantato che la terra Simile a se gli abitator produce ! Come si è fatto adunque sempre che è occorso investigare l’indole di un popolo nella natura esteriore facciamo questa volta di noi medesimi e non sarà la- voro perduto aver cercato il genio del mezzogiorno d’ltalia nella natura delle nostre terre. La Filosofia da tempi antichissimi è il più naturai prodotto del genio meridionale. Donde che s'an venute, il certo è che la scuola italica e l’eleatica non poterono accasarsi ed espandersi che nel mezzogiorno. E nel mezzogiorno la scolastica trovò in Tommaso d’Aquino la forma più universale e più sillogistica conveniente al suo conte- nuto. E la rinascenza diede nel mezzogiorno ciò che di più ardito, originale, pugnace può avere avuto quel pe- riodo glorioso del pensiero italiano. La strage de’ pita- gorici a Metaponto e gii odii durati tra i pitagorici ed i cilonìani, il sacrifizio eroico di Zenone in Elea contro il tiranno Nearco, la morte immatura di Tommaso prima di giungere al concilio di Lione, e poi nella rinascenza il rogo ed i tormenti, vi significano subito che il primo carattere della nostra filosofia, sotto qualunque forma ed in quantunque tempo, fu la lotta non la contempla- zione. 11 nostro fu pensiero militante : non si adagiò mai sul presente, lo sfidò e vi passò sopra come lava; fu irrequieto come il nostro suolo, bollente come le nostre Terme, irruente come i crateri: fundoque eocw- sluat imo. Il continuo muggito sotterraneo si tradii- ceva in un profondo pensiero, ed alle falde de’vulcani era impossibile una filosofia contemplativa... Tutto il no- stro pensiero filosofico, quanto al contenuto, ha tendenza al naturalismo, che tocca il fastigio nella rinascenza, ed è a ciò determinato dall’ambiente, che richiama di fuori con ogni specie di fenomeni, dal più dolce color d’ orientai zaffiro, che si accoglie nel sereno aspetto dell' aer puro, sino alle più orrende tempeste di cenere e fumo , di lapilli e sassi , ad globos ftammarum sub auros... Quanto alla forma, questa nostra filosofia è spesso oscura, come il fumo che si alza da’ crateri e lungo le lave, come V atra nube furriante di turbine piceo cìie va all’ etere, ed è cupa cerne il lungo tuono sotterraneo che sale dagli avulsa viscera moniis , e poi prorompe in esplosioni liriche come le vampe e le faville che sguizzano e scintillano in mezzo al turbine. Cadente favilla... sidera lambii. Nella fiamma del Vesuvio si esaltò il senno di Bruno che alla intensità del filosofo sopravvennero i furori e gli entusiasmi della Baccante; i furori eroici. Nato e plasmato da queste terre vulcaniche, a queste fiamme veniva ad ispirarsi, come Alfieri ai marmi di Santa Croce, e le guardava immoto, e ne traeva auspicii, e ravvisava in quel divino faro perpetuo la parte immortale di sè, ne’bollori di quel monte sentiva il tumulto dei suoi pensieri, l’esuberanza del suo cuore, la sua origine e il suo desi no. Celebrava l’infinità dell’Universo . ammirava nell’infinita geni- tura le vestigia dell’infinito generante, ma obbediva alla nostalgia che da paesi lontani lo richiamava innanzi al Vulcano, e si avventava nel rogo come Empedocle dentro il cratere etnèo Nec mortem exhorrescimus ipsam ! ». Ambiente psichico. {Ambiente morale, sociale, clima storico). § l.° Dal fin qui detto chiaro emerge che il nostro Io è in una continua ed indissolubile relazione col nostro interno e col di fuori, e questo di fuori è tutta la vita, è l’am- biente materiale e morale, nel quale viviamo. Sono il movimento della natura ed il movimento sociale, che. per diverse vie, influenzano il nostro 10, la nostra co- scienza. Or bene, le nostre idee altro non sono che le relazioni materiali costanti, le quali si stabiliscono tra i centri nervosi percettivi ed intellettuali del nostro cervello ed il mondo esterno: tanto maggiori e più per- fette saranno queste correlazioni tra il nostro Io e l’am- biente , ed altrettanto maggiori estensioni e perfezioni avranno le nostre idee, e di tanto si allargherà il no- stro spirito. Ma in qual guisa si effettuerebbe sul no- stro Io questo duplice movimento fìsio-psicologico, che viene dal di fuori? Due sono le vie, i meccanismi au- ditivo e visivo; due sono gli agenti impressionabili, le onde sonore e luminose. 11 movimento sia che parta dalla natura cosmica, sia che parta dall’umana, si e- strinseca come movimento espressivo, il quale in primo tempo è un movimento cerebrale-psichico, questo si tra- sforma (secondo una legge felicemente forraolata dal Rarabosson e che vedremo meglio appresso) in movi- mento coordinato fisiologico e movimento espressivo, il quale a sua volta diventa movimento fisico, cioè mo- vimento comunicato a mezzo delle onde sonore e audi- tive, le quali trasmettono al sensorio dello spettatore o degli spettatori integralmente , senza denaturarlo, il movimento primo cerebrale. Questa sfera di movimenti espressivi , effetti d’identica causa e causa d’identici effetti, costituisce ciò che si chiama ambiente morale o psichico , il quale, dalla piccola cerchia della famiglia irradiandosi nella sfera sociale, ci dà l’ambiente sociale, e, più ampiamente, l’ambiente storico; ambiente il quale, inviluppando d’ogni intorno i componenti di una società, l’intesse inconsciamente in tale fitta trama da cui in- vano alcuno vorrà, saprà, potrà sottrarsi. E come ope- rando in un senso normale offre gli elementi della pro- duzione artistica e scientifica, operando in senso anor- male dà luogo ai pervertimenti del senso morale ed al degradamento psichico dell’ individuo , del gruppo di una famiglia , di un popolo o di una razza. E come nell’ordine cosmico si avverano delle periodiche esplo- sioni (terremoti , vulcani, abbassamenti ed elevamenti di suoli), rivelatrici del lento lavorio intimo e delle evo- luzioni geologiche, cosi nell’ordine morale si avverano quelle esplosioni che sono le rivoluzioni, rivelatrici del lavorio lento e delle evoluzioni storiche della umanità. Infine come per la prevalenza d’idee nobili (quali il sen- timento della patria e della libertà, il principio dell’u- guaglianza umana, dell’odio alla tirannide ecc.), si de- starono quei generosi entusiasmi per i quali il Romano volenteroso s’immolava sull’ altare della patria; e tor- renti di sangue bagnarono la terra colle Crociate, colla guerra dell’indipendenza di America, colia Rivoluzione francese, e coi titanici sforzi dei nostri padri per il con- seguimento della nostra indipendenza—-così delle idee fu- neste furono causedei delirii e delle epidemie morali nei mezzi tempi, e delle efferate guerre religiose, mettenti capo alle stragi di S. Bartolomeo, ai cruenti spettacoli della Comune di Parigi ec. Per lo passato l’uomo non si seppe dare ragione del suo sottostare non pure alla influenza degli agenti fì- sici , ma degli agenti morali di cui egli era un istru- mento, paziente e operante, effetto e causa a sua volta. Le relazioni delle anime stabilite da movimenti in- visibili e coordinati, che esse stesse imprimono all’am- biente, sono così immediate ed omogenee da rendersi inavvertite dalle medesime. Infatti è stato sempre notato che ciascuno di noi, preso come individuo od ente so- ciale, è sempre in grado di portare un esatto giudizio sulle opere o sulle azioni di altri estranei a noi anziché su noi medesimi; più sopra una società forestiera che sulla nostra; meglio ancora sopra un'epoca passata che sulla presente, avvegnaché noi, influenzati dall’istesso influsso morale o sociale , che ci offre 1’ ambiente nel quale viviamo, manchiamo dei termini di confronto nel che sta il giudizio, oppure siamo sotto l’imperio dell’au- tocontagio delle idee che ne circondano d’ogni intorno e che abbiamo assimilate. Sembra che nella collettività l’individuo perda una parte della propria personalità per risentire, come mem- bro di un corpo vivente, quel senso di forza o di debo- lezza , di energia o di esaurimento , che mentre può essere particolare ad un organo, s’irradia, come senso unico, a tutto l’organismo. L’atmosfera, come si espri- me Sarcay , è in qualche guisa impregnata delle opi- nioni correnti, e l’individuo subisce, senza dubitarne, l’influenza dello ambiente vivente; egli è impressionato della emozione di tutti, avverte la medesima passione, condivide i pregiudizii della folla. Qualunque individuo, messo in un ambiente determi- nato , finirà coll’ esserne inesorabilmente seppure non vi soccomba non essendogli omogeneo. E del clima storico o morale come del clima fisico : si porti il palmizio od il banano in Siberia e questi sec- cheranno; si meni un Australiano od un Esquimale in Europa e questi soccomberanno. Infatti le razze selvag- ge dispariscono più che per effetto del piombo Europeo, sotto l’influsso della civiltà, come si vede giornalmente dei Pelli Rossi e delle razze oceaniche. « En ce moment, toute une race , l’ecèanienne , périt sous nos yeux et nous n’ en cherchons pas mème la cause. Celili qui irait au fond verrait problablement quelque grande rèvolution intérieure dans l’esprit de cette race. N’est pas seulement la -phthisie qui fait toraber la race océanienne dans cette langueur mortelle et lui ole le coeur , au mème moment. Je pense que la distance est trop grande de ces peuples enfants à notre monde adulte qui les investii de tout cotés. Il se fait autour d’eux une atmosphère morale, dans laquelle ils ne peuvent respirer. Aucune de nos pensées actuelles ne s’adapte à leurs pensées. Ils ont le mal du pays au milieu de leur pays ». (E. Quinet, Effets d'un hrusque passage d' un àge du monde à un autre àge dons la mem 'e race La Creation, voi. I°, p. 350, Gap. Mori d'una race humaine. Ognuno potrà provare sperimentalmente sopra sè me- desimo gli effetti sorprendenti del rapido passaggio dal- Tambiente pacifico e patriarcale di un villaggio, in quello di una grande metropoli, centro incessante e ri- bollente di attività intellettuali, artistiche, commerciali ed industriali; atmosfera estremamente tesa di elettricità contrarie ; focolaio meraviglioso delle più disparate pas- sioni umane. Ove, come Bertillon diceva di Parigi, la vita vi è ardente e rapida, carica e sopraccarica di e- raozioni. Ove si lavora febbrilmente , ove si gode e si soffre meglio ancora ; ove non si riposa guari, si ve- glia fuori tempo, si dorme male e si muore presto!. In cotesto ambiente l’uomo subisce un’attrazione fatale, contrae, senza il concorso della sua volontà, abitudini buone o cattive, impronta le sue conoscenze, sviluppa i suoi pensieri, determina le sue azioni , informa i suoi costumi. Per l’ordinario l’uomo che ha un'organiz- zazione cerebrale, atta a ricevere le nozioni che d’ogni intorno gli pervengono , assimila e si nutre di tanti succhi vitali psichici , ed allarga gli orizzonti del suo spirito. Fate invece che un uomo passi bruscamente in un ambiente inferiore, meschino, pettegolo , immanti- nente avvertirà un senso d’intorpidimento psichico , un obnubilamento nella ideazione, sicché le idee spuntano lente, incerte, stentate, scolorite. Di consenso anche la parola è meno pronta e spedita. Breve: 1’ individuo prova un profondo malessere morale , un insolito de- cadimento spirituale. A tal punto egli, che anelava la pace , la serena e pura aura del villaggio, è colpito da una smania insolita , da un irrequieto bisogno , dalla nostalgia che lo attrae irresistibilmente a più spirabil aere, cioè alle sorgenti naturali alimentatrici e stimo- latrici del suo spirito. Chi all’inverso si trovi a passare rapidamente da un ambiente morale ristrettissimo in uno ampio avvertirà l’effetto che provavano gl’infelici fatti passare da Dionigi dal fitto buio alla vivissima luce riflessa : colui soffrirà del pari un abbagliamento ed obnubilamento nelle idee , una vera vertigine , un senso di malessere morale ! Gli ambienti morali, come si esprimeva felicemente Salvatore Tommasi , « mentre sono stimoli del nostro cervello, diventano parti delle sue funzioni; ecco perchè quando questi ambienti, come nelle ère primitive dei popoli, erano ristretti e poveri, la intelligenza umana fu del pari ristretta e povera. Noi non nasciamo imparati, ma portiamo però con noi la impronta di nuovi tipi per- fezionati relativamente degli uomini dai quali nasciamo, e se questi, p. es., erano molto civili, il nostro cervello, nel quale tutto ancora si deve sviluppare , sorge però con tale condizionamento di parti da poter ricevere le impressioni degli ambienti più perfezionati. Notate, mentre gli ambienti morali in origine sono creati dalla comunicazione delle prime idee sviluppatesi nel cervello umano per le esterne impressioni, questi stessi ambienti rappresentano a loro volta gli stimoli per nuove e più perfezionate idee, e così queste rappresentano la condi- zione necessaria al migliorali ento degli stessi ambienti. In tale alternativa di azioni consiste il movimento pro- gressivo della civiltà umana. Niente è preformato, ed anche quello che dovrebbe sembrare preformato è frutto dell’educazione. Le idee a priori non ci sono, le idee innate di Cartesio sono un parto di fantasia; tutto viene dal di fuori, tutto si crea, tutto si sviluppa successiva- mente. Nel nostro cervello non esiste che la potenzialità dell azione, il condizionamento alla possibilità di perfe- zionarsi . cioè ; così come nell’uovo non esiste che in po enza la proprietà di svolgere un novello essere, ma questo non si svolge senza che gli venga trasmesso ma- teriale nutritivo dai mondo esteriore, del pari il nostro spiri o direi mangia , si nutre delle azioni morali che sono fuori di esso e si perfezmna, e perfezionando sè stesso, per comunicazioni sociali perfeziona gli ambienti, e quando sa il suo compito lascia ai successori una ere- dita migliore di quella che ha trovata. Dunque tutto viene dal di fuori, e così si creano per perfezionamenti successivi nuove idee e nuovi centri d’ideazione, ed a misura che l’educazione si perfeziona , questi centri e le loro azioni si perfezionano e si moltiplicano » Naturalmente l’individuo per adattarsi e non soccom- bere nello ambiente morale, deve portare congeniti degli elementi similari per il suo adattamento, e deve trovare nell’ ambiente gli elementi favorevoli per il suo incre- mento. Quanto più, ricca è la provvisione degli elementi che reca seco , e più favorevole è 1’ ambiente che tro- va, tanto più presto e più rigoglioso sarà il suo svi- luppo. spirituale. È cosi immediato, così stretto il rapporto fra l’indi- viduo e l’ambiente, che non è possibile di scinderlo di una linea senza apportare delle dissonanze grandissime fra i termini, senza neutralizzare 1’ azione reciproca. Si frappongano le maggiori barriere contro l’irrom- pere delle idee dell’ epoca , queste , irradiando 1’ am- biente, penetreranno dovunque, come il soffio dell’aria. Invano i Gesuiti si provarono d’isolare i loro scolari sottraendoli dal contatto del mondo civile: le idee ricor- renti raggiunsero i giovanili intelletti a mezzo dei mae- stri istessi, i quali, nel combattere accanitamente l’ini- mico invisibile, lo disvelarono a questi ostinati pecca- tori, figliuoli di Èva, che si volsero al pomo vietato; onde dal claustro mosse prima e potente la ribellione. Prendete, ad es., un’ assemblea , nella quale questi rapporti si avvertono con una immediatezza straordi- naria. .. Il grande oratore scoppia come folgore quando maggiore è la tensione morale dell’ ambiente. L’ oratore non ha nulla di prestabilito, nulla di apparecchiato, una forza irresistibile lo spinge, la sua parola prorompe po- tente, colorita, vivace, ed ingagliardisce in ragione che cresce la tensione dello ambiente. E quella folla irre- quieta, turbolenta, esaltata non solo subisce l’influsso dell’oratore, ma si calma, si raddolcisce, si sente sod- disfatta; e da sua parte lo riscalda, lo soccorre di con- tinuo con la sua approvazione: sicché egli riesce sem- pre più felice , sempre più eloquente, sempre più sim- patico ed efficace. E ciò perchè ? Perchè 1’ oratore seppe raccogliere entro di sè ed immedesimare tutto quel flusso che precorreva dagli animi di tutti, e , di rimando , elaboratolo nella sua psiche e datogli i contorni e la individuazione , lo aveva riflesso sulla massa, la quale si vide fotografata, incarnata, personificata in lui. Per Fazio 50 l’opposto s’imagini che 1’ oratore abbia parlato in con- trosenso dell’ ambiente : la sua eloquenza sarebbe man- cata progressivamente, giacché la forza inibitrice del- 1’ ambiente gli avrebbe, come elettricità contraria, para- lizzato le sorgenti del pensiero , il meccanismo della parola. Quando si dice che oggidì fa difetto la grande elo- quenza , mancano i potenti oratori , noi rispondiamo : dateci degli ambienti come quelli che circondarono De- mostene , Pericle , Cicerone , Mirabeau, Danton, Mario Pagano, Cirillo ecc. e vedreste sorgere gli oratori. Quan- do la vita si riduce ad una morta gora, appena rischia- rata da fioca luce , quali produzioni volete che si svi- luppino oltre le crittogame ed i batterii omicidi ! ? Quanto possa P Epoca o l’ambiente storico influire sull' individuo ce lo disse G. Ferrari, parlando del ge- nio di Vico. Che cosa è il genio ? egli si domanda questa po- tenza, che si eleva al di sopra dei secoli e dell’ umanità, sembra sfidare il tempo e lo spazio, incatenare il genere umano ai suoi capricci. Esso lotta contro le istituzioni, e lo istituzioni cadono; lotta contro gli errori, e gli errori cadono; fonda nuove menzogne, e le menzogne si propa- gano, restano : esso predomina il genere umano ; può spingerlo, trascinarlo, imporre alle nazioni la sua vo- lontà, le sue idee, le sue fantasticherie: arte, scienze, invenzioni, grandi scoperte , grandi istituzioni organiz- zatrici della società, tutto fu creato dal genio ; egli è irresistibile , egli è come un angelo decaduto ; se si vuol combatterlo, si devono raccogliere armate o altri genj : ma il genio non riconosce che il genio, non cede che al genio, non attinge la sua inspirazione che alla sacra sorgente del genio. Gettate qualche migliaio di scoliasti tra il Tasso e Virgilio , qualche migliaio di scolastici tra Aristotile e Descartes; il Tasso va dritto a Virgilio , Descartes ad Aristotile, come se il genere umano non avesse esistito fra di essi. Si considerino i grandi colossi di Carlo Magno, Colombo , Guttemberg; essi sembrano esseri superiori, i quali col caso della loro esistenza abbiano deciso la rovina o la floridezza delle nazioni, le idee, le forze, i destini del genere u- mano. Ecco l'apparenza, ecco tutta l’indipendenza u- mana, gli ultimi limiti della volontà e del potere : ep- pure il genio non è che un automa più elevato, solo si muove con fili più fini ; ma übbidisce alta natura come gl'individui, übbidisce alla storia come gl' indi- vidui. Sì, sono gli uomini, sono le epoche, le società, le nazioni che hanno fatto il genio. Yi sono istanti in cui gT interessi sono offesi , le passioni esaltate , le vecchie idee decrepite , le vecchie organizzazioni in- sufficienti; vi sono istanti in cui le masse implorano cla- morosamente la soluzione di un problema , ne agitano i dati, e allora tra parecchi milioni di uomini vi ha un uomo fatale , tutte le idee sparse nella folla cadono nel suo pensiero, s’ intrecciano nella sua mente, le passioni sparse ne’ popoli si condensano come l’uragano nella sua anima , e allora dopo molti sforzi deve al fine creare ciò che il secolo gli richiede. Notomizzate le epoche, e il genio svanirà come il diamante nell’analisi; schierate, contate tutti i saggi abortiti che hanno preceduto una grande scoperta, e vedrete che il genio nella società non è che un nome con cui si consacra una fase dello spirito eterno dell’ umanità; penetrate bene addentro nell’ uma- nità, e l’uomo sparirà sì completamente, che la genea- logia del genio sembrerà la genealogia di un pensiero unico, di una società unica, delle idee di un sol uomo. 11 genio, qual fu immaginato daH’ammirazione volgare, non esiste... Non vi sono uomini, come I’Ercole della favola , che percorrano soli colla loro vita parecchie epoche della storia, scoprano da soli ciò che la noncu- ranza e la brutalità de’ loro contemporanei ha sempre ignorato, e poi onnipotenti nella loro intelligenza pro- clamino in un giorno il manifesto di una nuova società, e risparmino orribili torture alla massa del genere uma- no, guidandola colla soddisfazione dei bisogni che essa non ha mai immaginati. Non hanno mai esistito neppure uomini privilegiati che gettino lampi di un' ispirazione divina, mentre tutto è tenebre ; che pensino colla lucidezza di una ragione angelica, mentre la folla si svia nella scolastica; che ro- vescino istantaneamente tutte le barriere dell’ errore , mentre la società intristisce nell’ errore ; che cambino con una rivoluzione subitanea le credenze , mentre il volgo va pacificamente a prostrarsi dinanzi agl’ idoli antichi. Bisognerà dunque negare il genio , rovesciare le statue degli uomini grandi, fare scorrere il livello della critica su tutte le sommità del pensiero, abbassare De- scartes fin a Yoet ? No : gl’ istinti delle masse non si ingannano si facilmente nella loro venerazione; non è' a caso che esse si sono inginocchiate dinanzi ad Ercole, dinanzi agli altari , o che esse hanno innalzato statue al genio , ai conquistatori : il radicalismo della storia filosofica si limita a togliere il soprannaturale alla divi- nità del genio , a levare il velo della superstizione al suo culto, a trovare 1’ uomo dove era il Dio, la natura dove era il prodigio. Si tratta di dimostrare che il pen- siero nel genio obbedisce inesorabilmente alla gravita- zione naturale dell’epoca. Senza dubbio, soggiunge Fer- rari , è necessaria una organizzazione potente, una com- binazione fortunata perchè il fenomeno della scoperta si verifichi ; ma non sono necessarii al corso dello spirito eterno dell’ umanità nè Galileo, nè Newton ,nè Coper- nico. Senza di essi gli errori avrebbero dominato per qualche anno di più , le verità sarebbero state ancora latenti nella natura per qualche tempo ; ma infine il movimento uniforme di tante intelligenze contro gli stessi problemi doveva strappare una volta la felice com- binazione della verità agli elementi sparsi nell’ epoca. Che le menti riccamente organizzate di Colombo, di Galileo, di Newton vengano ad imporre il loro nome ad una fase della scienza, è giusto; che il progresso dello spirito umano dipenda dal caso della loro esistenza, sa- rebbe iniquo. I genii non sono che i rappresentanti del pensiero , che l’azzardo sorte dalla gran massa degli eleggibili; la loro potenza non consìste nella forza della loro individualità, ma nella forza delle idee da cui sono spinti ; essi sono grandi perchè nella loro esistenza sta rinchiusa la cifra di parecchi milioni d’ uomini, per- chè sono sostenuti da secoli che hanno silenziosamente preparate le loro scoperte. Egli è per questo che il genio appartiene alla umanità , che l’impero del genio non è la tirannia del caso, che la nazione può inorgo- glirsi dei suoi genii, perchè essi sono i rappresentanti del suo spirito, della sua civilizzazione (Ferrari). Senza il soffio della indipendenza d’America, contem- poranea agli Enciclopedisti, mancherebbero due elementi potentissimi a spiegarci la rivoluzione del 1789, la quale, nell’ acme del suo fermento, va a cercare nell’ ufficiale di artiglieria, che smonta le bocche di fuoco alla Citta- della di Tolone, la sua personificazione. Senza le linee indelebili segnate dal genio di Dante , fecondate nel corso dei secoli dai Machiavelli, dai Michelangiolo, dai Giannone, dagli Alfieri, dai Foscolo, dai Leopardi, dai Mazzini, dai Gioberti, dai Guerrazzi, dai Cataneo, dai d’Azeglio , dai Settembrini, e da tanti altri grandi, che tennero acceso in tutti i tempi la sacra fiaccola della patria, creando così un ambiente nazionale, l’utopia dell’Unità d’ltalia non avrebbe saputo ricercare nell’Uo- mo di Salta, di Montevideo e di Porta S. Pancrazio, il Duce dei Mille. H. Teine, nella PMlosophie de V art, rileva splen- didamente gli stretti rapporti esistenti fra V ambiente e le produzioni artistiche. Ciascun artista, egli dice, ha il suo stile che si trova in tutte le sue opere, e che è l’impronta del suo es- sere morale. Pur nondimeno questo artista, considerato con l’opera d’arte che ha prodotto, non è isolato. Yi ha un insieme nel quale egli è compreso , più grande di lui stesso , che è la scuola o la famiglia di artisti dello stesso paese e del medesimo tempo al quale ap- partiene. Per es., attorno a Shakspeare , il quale , a primo colpo d’occhio, sembra una meraviglia caduta dal cielo , si trovano dei drammaturghi superiori che scrissero nel medesimo stile e spirito di lui. Si notano nelle produzioni di costoro gli stessi personaggi violenti e terribili , i medesimi scioglimenti tragici ed impre- visti , le medesime passioni subitanee e sfrenate, il me- desimo stile disordinato , bizzarro, eccessivo e splen- dido , il medesimo sentimento squisito e poetico della campagna e del paesaggio, gli stessi tipi di donne de- licate e profondamente innamorate. Rubens, che pare un personaggio unico e senza pre- cursori, è preceduto da una schiera di pittori fiammin- ghi, i quali, fra le differenze proprie, serbano sempre un’ aria di famiglia. Così nel dipingere la carne florida e sana , la ricca e fremente palpitazione della vita, la polpa sanguigna e sensibile che sbuccia opulentemente alla superficie dell’essere animato, i tipi reali e spesso brutali , lo slancio e l’abbandono del movimento libero, le sfarzose stoffe smaglianti e gallonate, i riflessi della porpora e della seta , lo sfoggio delle drapperie agitate ed attorcigliate ecc. Non è possibile comprendere Ru- bens , senza lo studio dei suoi contemporanei , di cui egli è la più alta cima, il più illustre rappresentante. Eppure questa stessa famiglia di artisti è compre- sa in una cerchia più vasta, che è il mondo che la cir- conda, il gusto di cui è conforme al suo. Lo stato dei costumi e dello spirito è lo stesso per il pubblico e per gli artisti ; questi non sono degli uomini isolati. E soltanto la loro voce che noi ascoltiamo in questo momento attraverso la distanza dei secoli; ma al disotto di questa voce squillante, che viene vibrante fino a noi discerniamo un mormorio e come un vasto rombo sor- do , la gran voce infinita e multipla del popolo che cantava all’unisono attorno ad essi. Essi non sono stati grandi che per questa armonia. Così Fidia ed Ictino, autori del Partenone e del Giove olimpico, erano dei liberi cittadini, educati alla palestra, che avevano concionato al pubblico , erano nati sotto l’istesso cielo, avevano partecipato alle istesse lotte, a- vevano succhiato le stesse idee, e condiviso lo stesso gusto dei proprii concittadini. Si guardino le tele dei Yelasquez , dei Murillo ecc., si aprano i libri del Lopez de Vega, dei Calderon, dei Cervantes ecc.-illustri pittori e poeti spagnuoli, nati e vissuti nel periodo di massima opulenza e d'ingran- dimento di una nazione dominatrice di quasi tutto il mondo civile , ma schiava di un fatalismo religioso, che ne aveva guasto il cervello ed esaltato lo spirito: tutta quella febbre , tutto quel delirio, tutte quelle al- lucinazioni ed illusioni, che fecero scorrere a torrenti il sangue umano , apportando dovunque 1’ esterminio, li troviamo dipinti a colori vivi. La pittura olandese sbucciò nel momento glorioso quando, a forza di ostinazione e di coraggio, la Olanda, giunta a liberarsi dalla dominazione spagnuola, com- batte T Inghilterra ad armi uguali, diviene la più ricca, la più libera, la più industriosa, la più prospera degli Stati d’Europa; la vediamo decadere al principe del XVIII secolo, quando il benessere e la banca sostitui- scono i grandi ideali, le nobili ambizioni. Quando movendo da un paese meridionale , riflette Taine , voi rimontate verso il nord, vi accorgete che, entrando in una certa zona , incomincia una specie particolare di vegetazione : dapprima 1’ aloe e l’aran- cio , più tardi 1’ ulivo e la vigna, poscia la quercia e la biada, un po’ più lontano l’abete, alla fine il mu- schio ed il lichene. Tutto ciò è in rapporto ad una se- rie di circostanze fisiche uniformi prevalenti nella de- signata zona, analoghe nel loro genere a ciò che noi chiamiamo stato generale dello spirito e dei costumi. Come dunque si ha ima temperatura fisica, la quale, con le sue variazioni , determina l’apparizione di tale o tal’ altra specie di piante , cosi si ha una tempera- tura morale, che, con le sue variazioni, determina l’ap- parizione di tale o tal’ altra specie di arte. Onde av- viene che nel medesimo modo che si studia l’appari- zione di una specie di pianta, bisogna studiare la tem- peratura morale per comprendere l’apparizione di una specie di arte. Le produzioni dello spirito umano, co- me quelle della natura vivente, non si esplicano che per il loro ambiente. L’opera d’arte dunque è determinata da un insieme che è lo stato generale dello spirito e dei costumi che ne circondano. Vi ha una temperatura morale che è lo stato generale dei costumi e degli spiriti. E neces- saria una certa temperatura morale perchè taluni ta- lenti si sviluppino, se essa manca questi abortiscono. Cangia la temperatura e la specie dei talenti cangerà; r>e essa diverrà contraria la specie dei talenti sarà con- traria. In generale si potrà concepire la temperatura morale come fadente una scelta fra le differenti specie di talenti, non lasciando sviluppare chetale o tal’altra specie, escludendo più o meno completamente le altre. Gli è per un meccanismo di questa specie che si veg- gono in certi tempi ed in certi paesi sviluppare nelle scuole ora il sentimento dell’ideale, ora quello del di- segno, ora quello del colore. Vi ha una. direzione re- gnante che è quella del secolo] i talenti che colessero picchiare in un altro senso troverebbero chiusa l'u- scita; la pressione dello spirito pubblico e dei costu- mi circumambienti li comprimerebbe o li devierebbe imponendo loro %ina fioritura determinata. Poniamo, ad es., uno stato dello spirito quando la tristezza è predominante, come avvenne in Europa dal I al X secolo dell’E. C. Gli uomini in siffatto perio- do di decadimento, di spopolamento, d’ invasioni stra- niere , di fame , di peste , di miseria crescente per- dono il coraggio e la speranza, e considerano la vita come un male. Sotto il peso di tali calamità, è impos- sibile che 1’ artista possa sottrarsi all’ inondazione ge- nerale. Sotto la pioggia continua delle miserie perso- nali egli diverrà meno gaio se è gaio, più triste se è triste. Ecco un primo effetto dell’ambiente. D’altra parte l’artista è stato educato fra i contempo- ranei melanconici, le idee, che egli ha ricevuto dalla sua infanzia e quelle che giornalmente riceve, sono altresì melanconiche. La religione dominante, che fomenta il lugubre treno delle cose, gli suggerisce che la terra è un esiglio , il mondo una oscura prigione , la vita un male, e che ogni nostro studio si riduce a poterne usci- re.. La filosofìa, costruendo la morale secondo il lamen- tevole spettacolo della decadenza umana, gli prova che varrebbe meglio di non essere nato. La conversazione corrente non gli apporta che avvenimenti funebri: in- vasione d’una provincia, rovina di un monumento,, oppres- sione dei deboli, guerre civili dei forti. L’osservazione giornaliera non gii presenta che imagini di sconforto e di duolo. Tutte queste impressioni s’immergono in lui dai primi anni della sua vita fino agl’ultimi, ed ag- gravano incessantemente la melanconia che gli viene dai suoi proprii mali. Naturalmente quanto più è squi- sito il sentire dell’ artista tanto più profondamente ri- trae il sentimento universale, e tanto più vivi e neri saranno i colori che darà all’ opera d’ arte. Inoltre l’ar- tista trova già nei prodotti dei suoi contemporanei de- gli elementi similari, eh’ egli assimila e riproduce in- consciamente, e trova nel pubblico, che s’ imbeve del sentimento da lui fedelmente ritratto, il pabulo alla sua ambizione , la soddisfazione al suo genio. Sicché tra pubblico ed artista si stabilisce un ricorso di corrente che ravviva sempre più la temperatura dell’ambiente. È difficile che il genio possa isolarsi e produrre in con- trosenso di tale ambiente, nel qual caso produrrà un’o- pera rachitica , senza espressione , che sarà ripudiata dalla gente. Consideriamo il caso inverso, quando lo stato gene- rale degli spiriti è la gaiezza, come avviene nelle epo- che della rinascenza, quando la sicurtà , la ricchezza, la popolazione, il benessere, la prosperità, le invenzioni belle ed utili vanno accrescendosi. Per P istesso inverso processo evolutivo tutte le opere d’ arte esprimeranno più o meno bene la gaiezza. In conclusione: L'ambiente, o lo stalo generale dei cosinomi e dello spirilo, determina le specie delle opere d'arte, non sopportando che quelle che gli sono con- formi ed eliminando le altre specie, mediante ostacoli interposti ed attacchi rinnovati a ciascun passo del loro sviluppo. Tale legge si verifica precisamente £el corso delle epoche storiche. Taine prende in esame i quattro grandi momenti della civilizzazione europea ; il periodo clas- sico greco-latino; il raedioevale e cristiano; lo monar- chie nobiliari del XYII secolo, e I’odierna democrazia industriale-regia, come la chiama lui. Ciascuno di que- sti periodi ha la sua arte od il suo genere di arte che gli è proprio (scoltura , architettura , teatro, musica), od almeno qualche specie determinata di ciascuna di queste grandi arti; in ogni caso una vegetazione distinta, singolarmente abondante e completa , la quale , nelle sue linee principali, riflette le linee culminanti dell’e- poca e della nazione. Tenendo di mira i diversi terreni vi vedremo volta a volta nascere i differenti fiori. Or sono già 3000 anni , sulle coste e sulle isole del mare Egeo sorgeva una razza bellissima ed intelligen- tissima, la quale ebbe una invenzione propria, la Città, la quale ne produsse di altre, che man mano coprirono le coste del Mar Nero, dell’Asia Minore, dell’ Italia eco. Il greco, servito da uno schiavo, frugalissimo nel vitto, vestito appena di sandali , di nna leggera tunica e di un mantello, ebbe per dimora un modesto tugurio, ca- pace a comprendere un letto e due o tre anfore. Il cit- tadino non sentiva dei bisogni e passava la giornata in piena aria. Non avendo a servire re nè sacerdoti, era libero e sovrano da sua parte nella città. Era lui che sceglieva i suoi magistrati e pontefici , potendo a sua volta essere scelto al sacerdozio e ad altre cariche ; fosse conciapelle o fabbro, poteva giudicare nei tribu- nali i più grandi processi politici e decidere nelle as- semblee i più grandi affari dello Stato. Gli affari pub- blici e la guerra erano il suo obbiettivo; sicché egli era tenuto ad essere politico e soldato, il resto, ai suoi oc- chi, era d’importanza secondaria. Le città, minacciate dalle incursioni dei popoli finitimi, rivali fra di loro , epperò esposte alla legge del vincitore, che equivaleva esterminio e schiavitù, naturalmente furono vigili, poli- tiche e guerriere. Di pari passi al senso di difesa e di conservazione sussegui 1’ altro della ambizione per la preminenza e per la gloria nel volere assoggettare altrui. Per riuscire allo scopo i Greci avevano inventato una disciplina particolare : fare di ogni cittadino un guer- riero, rendendo il corpo di lui il più resistente, forte, agile—insemina un gladiatore della migliore fibra, ca- pace di resistere il più che fosse possibile. A tale ef- fetto Sparta, che verso I’YIH secolo diede l’esempio e la spinta a tutta la Grecia, sebbene posta in mezzo a vinti e nemici, volle avere a sua difesa invece di mu- raglia i petti dei suoi cittadini. Bisognava quindi, per avere dei corpi perfetti, fabbricare delle buone razze. Si eliminavano i fanciulli mal conformati; la legge re- golava l’età dei matrimoni!, sceglieva il momento e le circostanze le più favorevoli per ben generare. Un vec- chio che aveva una moglie giovane, era tenuto a darle un giovane gagliardo per ottenere fanciulli ben costi- tuiti. Unimmo di età ordinaria se aveva un amico, di cui ammirava il carattere e la beltà, poteva prestargli la moglie. Dopo over fabbricata la razza si formava Vinditi- duo. I giovani si esercitavano e vivevano all’aperto, e si alimentavano con impareggiabile frugalità; passavano la maggior parte del tempo nei ginnasi! a lottare, sal- tare, pugilare, correre, lanciare il disco , fortificando cosi ed esercitando i loro muscoli nudi. Yolevasi rendere il corpo il più robusto, il più pronto, il più bello che fosse possibile. Da questi costumi, propri ai Greci, nacquero dalle idee particolari. Il personaggio ideale ai loro occhi fu non lo spirito pensante o l’anima delicatamente sen- sibile, ma il corpo nudo, la buona razza, i belli rampol- li, ben proporzionali, attivi, perfetti in tutti gli eser- cizii. Non solo i giovani si spogliavano dei loro abiti per correre a lottare, ma, in Sparta, ciò facevano an- che le giovani. Le abitudini ginnastiche avevano sop- presso e trasformato il pudore (Taine). Le loro grandi feste nazionali, i giuochi Olimpici, Pitici e Nernei erano la mostra ed il trionfo del corpo nudo. I giovani delle prime famiglie vi convenivano da tutte parti della Grecia e dalle sue Colonie; vi si apparecchiavano da lunga ma- no con regime particolare ed assiduo lavoro; e là, sotto gli occhi e gli applausi di tutta la nazione, lottavano nudi, pugilavano, lanciavano il disco, correvano a piedi o sul carro. Le vittorie, che noi lasciamo oggi a degli Ercoli da fiera , sembravano allora le prime di tutte. L’atleta vincitore nella corsa a piedi dava il suo nome all’ Olimpiade; i più grandi poeti lo celebravano. Quando l’atleta vincitore ritornava nella sua città era ricevuto in trionfo; la sua forza e la sua agilità divenivano l’o- nore della città- Agli occhi dei Greci vedere i proprii figliuoli che avevano i pugni i più robusti e le gambe le più agili della Grecia era il colmo della felicità ter- restre. E non soltanto Frine per salvarsi non ebbe che a mostrare le sue nudità, ma Sofocle, celebre per sua bellezza, dopo Salamina, si denudò per danzare e can- tare il Fean innanzi del trionfo; e Alessandro, passando in Asia Minore, si espose nudo con i suoi compagni a fin di onorare con le corse la tomba di Achille. La perfezione del corpo si considerava come il carattere della divinità. In Omero si trova che gli Dei hanno corpo umano, della carne che le lance possono lacerare, del sangue vermiglio che cola, istinti, collera, piaceri tutti simili ai nostri, a tale punto che gli Eroi di- ventano gli amanti delle Dee, e gii Dei hanno i fanciulli dalle mortali. Fra 1’ Olimpo e la Terra per i Greci vi era un continuo ricambio; soltanto che colà si conse- guiva la immortalità e la perfezione di quanto si bra- mava in terra. La Grecia, dice Taine, ha cosi bene reso del bello animale umano il suo modello, che ne ha fatto il suo idolo, che glorifica in terra e divinizza in cielo. Da questa concezione nacque la statuaria , la quale potette con grande spontaneità e naturalezza riprodurre e compendiare il meglio delle forme e delle pose, rive- latrici del vigore , della salute e dell’ attività , che la greca gioventù aveva esposto a nudo per 400 anni nei ginnasii, nei bagni, nelle danze sacre, nei giuochi pub- blici. Nulla dunque di maraviglioso se i greci pervennero in fine a discoprire il modello ideale del corpo umano, che vollero perfetto nella sua nudità e serena bellezza. Questa organizzazione militare , propria delle città antiche, a lungo andare ebbe per naturale conseguenza la guerra, da cui la preminenza dei popoli più forti. Fra questi emerse Roma, la quale, prodottasi in mezzo a popoli finitimi bellicosi, fieri e potenti, fu provata alle lotte sanguinose, ai sagrificii perduranti, che l’educa- rono alla subordinazione e la temprarono all’ operosità vigile. Doti coteste che fecero di Roma un popolo sa- gace nei negozii, abilissimo nella politica e potente nella guerra, in guisa che dopo 700 anni di sforzi non pure il bacino del Mediterraneo ma tutto il mondo conosciuto caddero sotto la dominazione di Roma. Quali produzioni poteva dare Roma, sottomessa al regime militare, altro che solenni capitani, abilissimi politici, grandi legisla- tori ? E poiché tutto lo svolgimento della vita di Roma in sé stesso fu un’epopea, non si poteva avere che una sola produzione intellettuale: la storia. La esposizione, cioè, della epopea, del gran dramma che Roma aveva rappresentato sulla faccia del mondo. Il grande narra- tore fu Tacito, il quale non scrisse, ma incise a carat- teri indelebili e colla stessa punta di daga del legio- nario, ancora intrisa di sangue, pagine immortali, de- gne di quel popolo sovrano. Prevalso il dispotismo militare e venuto l’lmpero, il mondo che pareva aver trovato l’ordine e la pace, in- vece trovò il decadimento, poiché esaurito era un ciclo storico. Nell’orribile schiacciamento della conquista, il mondo civile, vedovo di uomini liberi, si era anche ve- dovato di abitanti. I cittadini, divenuti suggetti e non avendo altri ideali da conseguire, caddero nell’inerzia e nel lutto. Barbari su barbari invasero l’lmpero, do- vunque menando 1’ esterminio , la miseria, il terrore. A questo si aggiunsero le epidemie (peste, lebbra ecc.). E poiché il ricordo del passato aggravava la miseria presente, le poche teste pensanti, che leggevano ancora l’antica lingua, sentivano oscuramente l’immensità della caduta e tutta la profondità dello abisso nel quale il genere umano s’immergeva da mille anni. Uno stato simile di cose, cosi prolungato e violento, quali sentimenti aveva potuto imprimere sugli animi? L’abbattimento, il disgusto della vita, la nera melan- conia. Il mondo, scriveva uno scrittore del tempo, non era più che un abisso di scellerafezza e a' impudicizia. La vita pareva un inferno anticipato, da cui le persone d’ogni classe e di ogni età si ritiravano; laonde le ani- me nobili preferivano l’isolamento ed il chiostro. Allo avvicinarsi del Mille si credette alla fine del mondo, e molte persone, colpite da spavento, donarono i loro beni alle chiese ed ai conventi. Di consenso que- sto stato di terrore e di scoraggiamento doveva gene- rare I’esaltamento nervoso. Quando gli uomini sono molto infelici divengono eccitabili, come i malati ed i prigionieri; la loro sensibilità si accresce e diventa ere- tismo progressivo. Il loro spirito è irrequieto, mobilis- simo, è in preda allo esaltamento ed alla depressione morbosa. Essi esprimono dei sentimenti medii che appena possono tenere insieme l’azione continua e virile; essi sognano, piangono, s’inginocchiano, divengono incapaci di bastare a sé stessi ; imaginano delle dolcezze , dei trasporti, della tenerezza infinita, vogliono spandere i raffinamenti e gli entusiasmi della loro imaginazione sopraeccitata ed intemperante; hanno la tendenza all’ef- fetto indistinto, labile, fugace, morboso, quale noi ve- diamo oggidì così di frequente presso le donne isteri- che , educate alla vita galante e corrompitrice dei sa- loni, ove esse, pel manco d’ideali e di nobili aspirazioni esercitano il cicisbeismo... Infatti si vide allora svilupparsi, con esagerazione enorme, una passione sconosciuta alla grave e maschia antichità: Vamore cavalleresco e mistico. Si subordinò l’amore calmo e ragionevole, che conviene al coniugio, all’amore estatico e disordinato, che si riscontra fuori il matrimonio , fino a creare corti d’amore presedute da donne. Si sancì che l'amore non poteva esistere fra sposi, che l'amore non poteva nulla, rifiutare all'amorei La donna fu detronizzata e l’uomo si senti largamente compensato pel solo diritto di adorarla e servirla. Si considerò 1’ amore umano come un sentimento celeste che conduceva all’amore divino e si confondeva con esso. La dottrina cristiana rappresentava la terra come una valle di lagrime; la vita presente come una prova; il rapimento in Dio come la felicità suprema; 1’ amore di Dio come il primo dovere. La sensibilità addolorata o fremente trovava il suo alimento nel terrore e nel- l’infinito della speranza, nei dipinti dai gorghi di fiamme e dallo inferno eterno, nella concezione del paradiso raggiante e delle dolci carezze ineffabili. Sicché al tem- pietto, che copriva l'idolo pagano, subentrò il tempio smisurato, vasto, capace di comprendere i fedeli di ogni classe, sesso, età: chiuso, perchè la luce piena non di- straesse lo spirito raccolto, mentre per altro la luce, attraversando i vetri variopinti, perveniva scomposta per rifrangersi contro i colonnati di marmo lucido, i capitelli ed i rilievi splendenti d’ogni intorno, ove delle infinite minuzie e piccolezze dell’arte pagana erano incastonate a simboli nuovi. Inoltre si diede un’altezza smisurata alle arcate. Insemina l’infinito della gran- dezza e l’infinito della piccolezza, cospiranti ad oppri- mere lo spirito con l’enormità della massa e la prolissa abondanzadei particolari. E visibile che si ebbe in mira di destare potentemente le sensazioni del maraviglioso, e dello abbagliamento (1). L’architettura gotica, che si (1) A tutto ciò aggiuntosi il lusso sfolgoreggiante dei sacer- doti, il rituale scenografico, l’incanto dei cori, i concenti del- l’organo, il profumo degl’incensi l’anima era colpita da un prestava al maraviglioso, si spinse al paradossale, fino a compromettere la solidità ; ond’ ecco sorgere i duomi di Milano, di Strasburgo, di Norimberga. L’efflorescenza della decorazione interna e cosi mi- temente complicata , i rilievi hanno così riccamente sparsa la loro vegetazione spinosa e contorta, gli stalli, il pulpito e le inferriate formicolano di un tal lusso d a- rabeschi fantasticamente imbrogliati e sviluppati, che la chiesa non sembra più un monumento, ma un bijou di oreficeria. Ornamenti di donna nervosa e sopraec- citata, simili ai costumi stravaganti dello stesso secolo, di cui la poesia delicata, ma malsana, indica per il suo eccesso i sentimenti estranei, l’ispirazione turbata, 1 a- spirazione violenta ed impotente, propria di un età di monaci e di cavalieri. In guisa che per la sua univer- salità essa esprime ed attesta la grande crisi morale, morbosa e sublime nel tempo istesso, che, durante tutto il medio evo, ha esaltato e scomposto lo spirito uma- no (Taine). Sotto il periodo regio, il barone diviene cortigiano, sicché centro della vita è il Monarca, la sua corte. Il salone del re, essendo il primo del paese, la società piu scelta vi si raccoglie ; il personaggio più ammirato, 1 uo- mo perfetto e che tutto il mondo prende a modello, e il gran signore ammesso alla familiarità del principe. Questo gran signore ha dei sentimenti generosi ; si crede d’una razza superiore, e noblesse oblìge ! Egli è il piu delicato che altri mai sul punto d’ onore, e rischia senza difficoltà la sua vita per il menomo insulto. Sotto Luigi XIII si contarono 4,000 gentiluomini uccisi in duello. Agli occhi di un nobile il disprezzo è il primo dovere di un’ anima ben nata. Questo elegante, questo vanitoso cosi curante dei suoi nastri, tanto occupato della sua parucca, si offre per andare a campeggiare nei fanghi della Fiandra, resta dieci ore di seguito a Neerwinden esaltamento tale che si perdeva nel delizioso sogno di un mi- sticismo eminentemente sensuale, il quale di preferenza colpiva i soggetti più eretistici, specialmente le donne isteriche , che hanno dato in tutti i tempi la maggiore contribuzione ad un certo ascetismo dalle tinte lubriche !. immobile sotto le palle. Quando Lussemburgo annunzia che va ad ingaggiare battaglia Yersaglia si vuota, e tutti i galanti mielati corrono all’ armata come al ballo. Il fiero barone riguarda il monarca come suo capo natu- rale e legittimo , cui offre vita e sostanze pur avver- tendo che egli si dà a lui come altre volte il vassallo si dava ai suoi antenati. Ma, d’altronde, egli è corti- giano, cioè uomo di mondo, ed a questo titolo è per- fettamente cortese. 11 re stesso gliene dà l’esempio. Luigi XIY si scopre il capo anche innanzi ad una ca- meriera. Per la stessa ragione il nostro cortigiano è esperto nella decenza . corretto nel parlare , abile nelle circo- stanze diffìcili, diplomatico, signore di sè, perfetto nel- 1’ arte di celare o di attenuare la verità, di adulare e di guidare altri , di non dispiacere giammai e di pia- cere spesso. Naturalmente tale spirito doveva riverberarsi sulle o- pere d’arte, le quali di rimando raffinavano gli evirati gusti, fino al punto d’improntare, come nella tragedia, i tipi storici dei costumi ricorrenti. Prendendo, ad es., la tragedia, rilevasi dapprima che le linee generali sono tutte dirette a dilettare la gente di corte. Il poeta si studia di attenuare la verità, che di sua natura spesso è cruda ; egli non mette punto morti sul teatro, dissimula le brutalità, scarta le vio- lenze, i colpi di mano, le uccisioni, le grida ed i ran- toli, tutto ciò insomma che può urtare i sensi di uno spettatore abituato alla moderazione ed alle eleganze di un salone. Per l'istessa ragione esclude il disordine ; non si abbandona ai capricci della imaginazione e della fantasia come fa Shakespeare ; il suo quadro é regolare non vi lascia entrare l’incidente imprevisto , la poesia romantica. Combina le scene , spiana gl’ intermezzi , gradua gl’interessi, prepara le peripezie . regola anti- cipatamente e di lontano gli scioglimenti Infine egli spande su tutto il dialogo, come una brillante vernice uniforme, un verseggiare ingegnoso composto di motti scelti e di rime armoniose. Taine assicura che se noi andiamo a cercare nelle incisioni dei tempi i costu- mi del teatro, vi troviamo i suoi eroi e le sue prin- cipesse con i falbalà, i ricami, le stivaline, i pennacchi, la spada e tutto V abbigliamento , greco di nome , ma francese di gusto e di forma, di cui il re, il delfino e le principesse fanno mostra, al suono dei violini, nei bal- letti della corte. Notate inoltre che tutti i suoi perso- naggi sono gente di corte: re, regine, principi e prin- cipesse del sangue, ambasciatori, ministri, capitani delle guardie, giovani compagni del Delfino, confidenti ecc. I famigliaci dei principi non sono qui, come nell’an- tica tragedia greca, delle nutrici, degli schiavi dome- stici, nati sotto il tetto del signore , ma delle princi- pesse, delle dame di compagnia della regina, dei primi cavalieri, dei nobili d’anticamera ecc., i quali si cono- scono dal loro spirito nel conversare, dalla loro abilità nell’adulare, dalla loro educazione perfetta, dalla loro tenuta squisita, dai loro sentimenti monarchici di sog- getti e di vassalli. I loro signori sono come essi : dei signori francesi del XYII secolo, fierissimi e cortesis- simi, eroici in Corneille , nobili in Racine , galanti con le dame, devoti al loro nome ed alla loro razza, capaci di sagrificare per la dignità i loro interessi più forti e le loro affezioni più care , incapaci di permettersi una parola o un gesto che la decenza più severa non permettesse. Ifigenia di Racine, abbandonata ai sagri- ficatori, non rimpiange la vita con delle lagrime di gio- vane come in Euripide ; essa si crede obbligata di ob- bedire senza doglianza a suo padre che è il suo re, e di morire senza piangere perchè è principessa. Achille, che in Omero passa sul corpo di Ettore morente, e non si sente ancora sazio, e, come un leone o come un lupo, vorrebbe mangiare la carne cruda di chi ha vinto, è in Racine un principe di Condé, seducente , brillante, passionato per 1’ onore, premuroso verso le dame, bol- lente senza dubbio ed impetuoso, però con la vivacità contenuta di un giovane ufficiale, il quale, nei suoi più grandi impeti di collera, sa vivere e non sarà mai bru- tale. Tutti questi personaggi parlano con delicatezza per- fetta e mostrano una pratica di mondo che non si smentisce mai. Gl’ innamorati più furiosi od i più selvaggi , Ippo- lito, Britannico , Pirro, Oreste , Sifare sono dei cava- Fazio. lieri perfetti , che compongono dei madrigali e fanno delle riverenze. Per violenta che sia la loro passione, Ermione, Andromeca, Berenice , serbano il tono della migliore società, Mitridate, Fedro, Atala, pronunziano, sospirando, dei periodi corretti. Un principe deve rap- presentare fino alla fine e morire in cerimonia. Si potrebbe affermare che in cotesto momento la Fran- cia fece P educazione dell’ Europa : essa era la culla dei- fi eleganza, della cortesia , del buono stile , delle idee fine, del saper vivere. E quando un Moscovita selvag- gio, un Alemanno rozzo , un Inglese impietrito , un barbaro o mezzo barbaro del Nord, abbandonava la sua pipa, le sue pellicce, la sua vita feudale di cacciatore e di villano, nei saloni francesi e nella letteratura fran- cese andava ad apprendere l’arte di salutare, di sor- ridere e di discorrere. Naturalmente cotesta società non poteva durare, tra per il convenzionalismo goffo della forma e la vuotezza del contenuto, tra per l’accentramento in pochissime mani di tutti i privilegi, su cui emergeva il re parucca o Eoi Soleil, come lo nomavano i buffoni di corte, ed ai quali egli ripeteva: V Etat c'est moti... L’ oppressione della nobiltà da una parte , fi eco ri- percossa dell’ Indipendenza d’ America , le idee sparse dagli Enciclopedisti, riverberandosi sullo spirito della borghesia e del popolo, che si videro esclusi affatto da ogni carica e da ogni ingerenza nello Stato, prepara- rono gli elementi, dai quali trasse genesi quello in- cendio che fu la Rivoluzione francese, che, divampando fi Europa, travolse nelle sue pire tutto quanto il medio- evo. Che cosa ne seguì? Scosse le vecchie credenze non erano trovate le nuove. Si passò dal dispotismo alla libertà, da questa alla reazione, e dalla reazione alla li- bertà per sùbiti avvicendamenti. La rivoluzione ruinava una società decrepita, e sulle ruine di questa levavasi ancora lo spettro dell’evo-medio, colla corona cesarea in fronte, invocando vendette e reclamando conquiste. I popoli in mezzo al ribollimento delle idee ricorrenti univano tutto , mescolavano tutto religione e filoso- fìa, democrazia e aristocrazia, principii antichi di au- torità e costituzioni moderne nel pandemonio dell’ e- clettismo e del dottrinalisrao. Lo spirito miscredente querelavasi altamente della propria sterilità, e ritorce- vasi fra le spire del serpente che è il dubbio. Da un estremo all' altro di Europa, dice Castelar, correva un genio incomprensibile, venuto su dalla plebe aH'lmperio, disseminando una tempesta di guerre, che riusciva ad aumentare le tenebre genio ora oscuro, ora sfolgoreg- giante. Da un lato Robespierre castigando i re coi can- noni e stabilendo dispoticamente il contratto sociale coi popoli ; dall’ altro lato Carlo Magno, unto dal papa, cir- condato da un feudalesimo militare orribile, riedificando i troni e i privilegi, ricomponendo l’antico Sacro Ro- mano imperio, il cielo, che Laplace aveva visto pieno di mondi, ma vuoto di spirito, era ripopolato da Cha- teaubriand con angeli di talco, che portavano sulle lab- bra, non la semplice litania antica, la sentenza di una retorica d’accademia. La libertà inglese ponevasi a ser- vizio della Santa Alleanza. Il becchino della Polonia, tra l’allucinato ed il demente, credevasi il Batista della civiltà universale ; se ne moriva di ambizione e di rab- bia , senza saper dove andare , nè che cosa farne dei suoi cento milioni di schiavi. I despoti invocavano la Santissima Trinità, perchè benedicesse il patibolo d’ Un- gheria, di Venezia, di Napoli, della Grecia, consegnata al Turco come gingillo pel suo Serraglio. I re del Nord promettevano la libertà quando abbisognavano del san- gue de' loro popoli , e tutti obliavano la libertà tosto che quel sangue fecondo aveva prodotto Waterloo ! La letteratura vacillava, come ogni cosa, in quel va- cillamento universale , perchè ella serba la sensibilità per eccellenza, ed è l’espressione più fedele dell’ele- mento sociale. A chi volete che lo spirito conturbato di questa età vada a riferire le proprie angosce fra i sorrisi ed i singhiozzi, fra le preghiere e le bestem- mie, fra gli accenti sublimi e le indecenze da buffone, alcune volte ebbro d’idee, tal’ altro di sangue o di ac- quavite , con i tormenti crudeli che producono le va- cillazioni della incertezza e del dubbio ! ? Scrutate a fondo V anima di Fausto e di Manfredo, fondete insieme Heine e Cooper, Chateaubriand e Balzac, Alfieri e Leopardi, e voi comporrete l’imagine dell’e- poca. Ma non basta : questo malato inquieto ed ardente, colla sensibilità esaltata e raffinata, con le aspirazioni smisurate ed indeterminate aveva bisogno di un mezzo per esprimere le sue querele, di un calmante per tem- perare il suo eretismo, ed insiemernente di uno stimolo che valesse a scuoterlo dall'inerzia, figlia dell’esau- rimento in cui era caduto. Ebbene quest’ alta missione era riposta in un’arte ap- pena conosciuta per lo addiero, la Musica. La quale sor- ge gigante, avvegnaché da una parte essa è costituita dall’imitazione più o meno lontana del grido , che è l’espressione diretta, naturale e completa della passione: dall'altra, agendo su di noi con uno scuotimento corpora- le, risveglia all’istante la nostra simpatia involontaria, in guisa che la delicatezza fremente di tutto l’essere ner- voso trova in essa il suo eccitamento , la sua eco , il suo impiego. D’altra parte essendo fondata sopra rap- porti di suoni che non imitano alcuna forma vivente, e che, sopratutto nella musica strumentale, sembrano ricordi dì un’anima incorporale, essa conviene meglio che ogni altra arte per esprimere i pensieri fluttuanti, i sogni senza forme, i desiderii senza oggetto e senza limite, la confusione dolorosa e grandiosa di un cuore turbato che aspira a tutto e non si attacca a nulla. A guardare indietro non più che al 1860 , rifletteva F. de Santis (Il Bay vinismo nella vita e nell' arte) , noi siamo trasformati. Come la materia in noi si rin- nova, cosi le nostre opinioni, le nostre impressioni non sono più quelle: altro è il nostro modo di sentire e di concepire. E questo corrisponde alla trasformazione del pensiero umano, tirato per altre vie da una nuova forza impellente e dirigente apparsa sull’orizzonte. Que- sta forza si compendia in C. Darwin, il quale, estraneo affatto alle agitazioni politiche del tempo e tutto rac- colto intorno allo studio dei fenomeni della natura, rias- sumendo nel suo genio l’immenso materiale informe dei fatti, che gli offrivano i suoi contemporanei, ed or- dinatolo lo sintetizzò in una unità , da cui dovevano scaturire le leggi supreme dell’evoluzione della natura universale ed in ispecie della natura umana. Sotto questo rispetto Darwin fu e sarà per il suo quarto d’ora una forza dirigente , la cui presenza si avverte in tutti gl’indirizzi. L’importante del Darvini- smo è la sua influenza sulla vita. Vi sono uomini , i quali possono ignorare financo i libri di Darwin, ma, loro malgrado , vivendo nell’ambiente fatto da lui, ne restano influenzati. Una volta il nostro spirito era di- sposto a cercare le idee ed i concetti delle cose {V e- sprit des choses), la filosofìa delle cose, della storia, del linguaggio e del diritto. Oggi prendiamo un vivo in- teresse a studiare le cose in sè stesse, nella loro este- riorità, nella loro natura, nella loro vita. Le basi de- gli studii nostri erano i segni ed i concetti delle cose; oggi le scienze naturali e biologiche, facendo parte della coltura generale, influenzano la scienza, la letteratura, l’arte, la politica. Oggidì non accettiamo nulla che non sia passato per il crogiuolo dello esperimento; noi vogliamo il labora- torio anche nelle discipline sociologiche. In noi ormai prevale il senso del reale ; trasformati sono i nostri studii nella loro materia e nei loro metodi. Diligiamo il metodo intuitivo sperimentale e genetico , la cosa , cioè, guardata nella sua genesi ed evoluzione. Una volta un certo complesso d’idee o dì principii ci avviava alla scienza ; oggi il nostro studio è volto alle forze onde scaturiscono le forme, le trasformazioni. All’ antico mot- to: le idee governano il mondo—è subentrato l’altro: dov°. non è forza non è vita nè reale nè ideale. Nulla di fisso e di assoluto dunque nella natura : la vita è una trasformazione, un’ evoluzione continua. Concepia- mo le cose nel loro divenire, in relazione con le loro origini e con l’ambiente ove sono nate. Laonde il senso del reale, della forza, del relativo è il carattere della nostra evoluzione. Quante dispute intorno alle scuole, ai tipi, alle forme dell’arte, intorno al classicismo ed al romanticismo, che imbavagliavano il genio degli ar- tisti con un convenzionalismo snervante ; invece oggi cerchiamo il fatto elementare nell'arte. Quando l’ima- gine di un oggetto colpisce il nostro cervello noi ne ricaviamo una impressione, la quale vogliamo vederla riflessa genuina nell’opera d’arte. Vi è nel cervello del- l’artista luce e calore, quella forza allegra che produce e che si chiama genialità ? Quel prodotto è figlio di una forza incosciente e geniale ? E cosa viva e che fa vivere noi, destando nel nostro cervello sensazioni, emozioni, movimento? Se sì, il pubblico plaudisce. Se invece la impressiono non è viva, ma è mera abitudine, cieca imitazione, artificio, convenzione; se quella forza non è che uno sforzo, simulazione della forza, confes- sione dell’ impotenza, la produzione artistica somiglierà alle esistenze efiraere. malaticce , destinate a scompa- rire nella lotta dell’esistenza. 11 senso vivo si è tanto sviluppato in noi , che sforza la nostra educazione , i nostri preconcetti , e fin il nostro senso morale. Noi preferiamo l’operetta, la farsa, il bozzetto, la pittura di genere, fin la parola trasformata in gesto o in suono, perchè siamo divenuti impazienti e sopprimiamo la di- stanza e 1’ intermediario, e godiamo di quel subitaneo ed immediato guizzo della vita che si compie nel nostro cervello. Vogliamo non solo il vivo, ma la vita in atto, la vita nella sua continuità. L’artista dunque, messo in tale ambiente, non più fa dell’arte un istrumento per fissare le sue subbiettività, flnanco delle allucinazioni, ma è costretto a rendersi l’interprete fedele del fenomeno, così come l’offre la natura nella sua spontaneità obbiettiva. Da quanto innanzi si è accennato chiaro risulta la grande influenza che spiega l’ambiente sulle produzioni artistiche e sulle azioni umane. L’opera d’arte, come l’organizzazione di una società, come le azioni umane sono determinate da quello insieme che è lo stato ge- nerale dello spirito o dei costumi che ne circondano. In mezzo a questo ambiente, pullulante d’ogni intorno di bisogni, di sentimenti, di attitudini, sorge il perso- naggio regnante, il modello sul quale vanno a conver- gere tutte quelle linee sparse , le quali vogliono assu- mere figura, personalità, e che i contemporanei circon- dano della loro ammirazione e simpatia. Questo forma il tipo da cui muovono oppure al quale s’indirizzano gli artisti nelle loro produzioni d’arte, alimentando sempre più il sentimento universale. Fu notato: perchè si avverino i grandi fatti, e si produ- cano le grandi opere d’arte, è necessaria una comunanza d’idee, di sentimenti, di gusti. È indispensabile la vivacità di un sentimento spontaneo, proprio e perso- nale die si esprime come lo si prova, senza temere al- cun controllo , senza subire alcuna direzione. Infine occorre la presenza di anime simpatiche , 1’ aiuto este- riore ed incessante delle idee vicine , per le quali le idee vaghe , che uno porta in sé stesso , sono covate, nutrite, finite, moltiplicate, animate. Questa verità si applica per le fondazioni religiose, per le intraprese militari, per le opere d’arte e pei piaceri mondani. Alla fine del secolo ultimo , le armate francesi, cosi male organizzate e novizie nell’arte della guerra, erano abbandonate ad ufficiali ignoranti. Quando i soldati si videro in presenza dei battaglioni disciplinati del resto di Europa ciò che li sostenne, ciò che li menò innanzi, ciò che finì per dare loro la vittoria, fu dapprima la fierezza e la forza dell’intima coscienza, mercè cui ciascun sol- dato si considerava superiore a quelli che andava a combattere, perchè sentiva di essere destinato a portare la verità, la ragione, la giustizia , attraverso tutti gli ostacoli, nel cuore di tutte le nazioni. Poscia fu la fra- tellanza generosa, la mutua confidenza, la comunanza delle simpatie e delle aspirazioni, per le quali tutti, il primo come l’ultimo soldato, il capitano come il gene- rale , si sentivano consacrati alla stessa causa : ciascu- no offrendosi volontario ; ciascuno comprendendo la situazione, certi danni , certe necessità ; ciascuno tro- vandosi pronto a riparare gli errori. Formavano tutti un’anima ed una volontà, sorpassando, per 1’ ispirazione naturale come per Veniente involontario, la perfezione del meccanismo che la tradizione, le parate, i colpi di fucile e la gerarchia prussiana avevano fabbricato dalla parte del Reno. Questo esempio trova un riscontro assai più splendido nell’epopea del nostro risorgimento. L’idea nazionale, elaborata da secoli, trovò, nell’ora destinata, la sua incarnazione nell’Eroe leggendario, il quale, facendola sua, la seppe trasfondere in pochi animosi, la sep- pe irradiare fra le popolazioni che insorsero come un sol uomo. 72 In Italia l’oppressione straniera e l’indigena avevano così prostrata la coscienza degl’italiani, che questi ave- vano perduto fin il sentimento della loro forza fisica. Il croato, il cosacco, lo svizzero erano tipi di guerrieri che incutevano soggezione, spavento, rispetto, a segno che quasi si richiedeva la loro guardia a protezione delle nostre sostanze e delle nostre vite. Un uomo solo bastò a risvegliare lo spirito belligero italiano pugnando, con manipoli di prodi, in lontane terre e da noi contro lo straniero. Garibaldi, nei duelli audaci di Salta, di Mon- tevideo, di Luino, di Roma, di Varese, di Calatafirai, del Volturno, di Bezecca, di Mentana e di Dijon mostrò al mondo quanto gagliarda sia la fibra degl’italiani; e seppe rialzare il prestigio delle nostre armi, provandole contro eserciti formidabili. Egli fu indubito meni e eroe e generatore di eroi. Vi ha il contagio dell' eroismo come il contagio della paura, e nessun uomo ebbe tanta possanza di coraggio eroico quanto lui (De Zerbi). Quale corollario trarremo dallo studio che abbiamo fatto sull’ambiente morale ? Riconosciuto il rapporto in- dissolubile di reciprocanza che lega 1’ individuo allo ambiente e viceversa, ne risulta l’immenso peso che grava sulle classi dirigenti e sugli educatori dei popoli. Dal miglioramento morale di questi dipende lo avvenire dell’ umana gente : sono le generazioni presenti che hanno l’obbligo di preparare gli ambienti in mezzo ai quali si deve muovere il cervello dei popoli a venire. Lanciando uno sguardo sul mondo incivilito, vedremo che spesso più del clima fisico e della razza, sui pro- gressi civili della umanità, può il clima sociale o sto- rico, l’ambiente morale. Tutti i paesi influenzati dallo spirito del cattolicesimo sono in decadenza. Quali distanze in fatti non si notano fra la Spagna, la Polonia e T Irlanda dalla Germania e dall’lnghilterra? ; quale abisso non v’ è fra il Canadà e le Repubblichette spagnuole dell’America del Sud dagli Stati Uniti di America? La civiltà rifulse dove prevalse il libero esame, soggiacque dove la ragione fu oppressa dal domma. Il fatto è evidente. Le istesse razze, messe pure in climi fisici identici, presentano delle fisonomie psicologi- che differenti , a seconda che sieno influenzate da un soffio psichico positivo o negativo. Gli Ebrei certamente non si possono ora considerare più una razza, grazie agTincrociamenti subiti negli ultimi anni. Dispersi come sono stati , nel corso di circa 3000 anni, su tutto il globo, perseguitati ferocemente, ripullularono e risorse- ro come l’uccello dell’Arabia in base di un certo spirito positivo, animatore delle leggi mosaiche, a cui furono educati, ed a cui si attennero tenacemente attraverso l’avvicendare dei secoli e dei climi. Ma lasciamo l’argomento alle considerazioni dei So- ciologi. § 3.° Legge delle influenze sensorio-psichiche. Accennammo in principio di questo Capitolo che l’a- nima è il resultato finale della organizzazione delle sensazioni , provenienti dal mondo esterno, e delle di- sposizioni innate, ataviche od accidentali. Queste ulti- me , pur potendo apportare delle modalità sugli effetti delle prime, non riescono mai ad inficiarne il piano d’a- zione generale, omogenea e costante , sulle operazioni della mente. Ma il semplice fatto della fissazione delle sensazioni, da cui la percezione, sarebbe sufficiente a spiegarci quei resultati generali ed uniformiche sono i fenomeni psicologici universali, quali i portati artistici, scientifici, insomma le azioni umane, il fatto storico? J. Rambosson, che si è tanto interessato di questo delicato argomento , formola la legge seguente : un mo- vimento cerebrale si può trasmettere ad altri cervelli senza denaturalizzarsi, cioè, conservando la proprietà di riprodurre tutti i fenomeni che sono sotto la sua dipendenza. Grazie a questo principio, potremo darci ragione della propagazione a distanza o del contagio di tutti i feno- meni, di tutte le affezioni nervose il cui movente sia un movimento cerebrale. Così ci spiegheremo i fenomeni dello sbadiglio, del ridere, dei tic varii, degli attacchi isterici, epilettici, coreici, catalettici, suggestivi, infine di certi fenomeni morali contagiosi, che dalle semplici forme di sentimento e di passione mettono capo al suici- dio, alla delinquenza, alla follia. Fenomeni cotesti che per lo addietro diedero luogo ad interpretazioni astrat- te, stranissime, nebulose, false, da cui gl’ innumerevoli, instabili, vaporosi sistemi metafisici, i labili indirizzi etici ed educativi, mancanti tutti di fondamento posi- tivo, reale, ricalcitranti col buon senso. Questo se non naufragò nell’oceano delle aberrazioni di tante scuole, accanitamente pugnanti nel vuoto , fu in grazia della coscienza popolare, la quale, rimasta ignorante, serbò la verginità del concepire, perchè vivente nei rapporti im- mediati e semplici della natura esteriore ed estranea alle lotte sociali. Guai se in certi tempi matteschi passati la istruzione fosse stata universale, e la stampa, come oggi, fosse stata cotanto diffusa. I contagi morali avrebbero assunto tale una diffusione pandemica da non potersene calcolare le conseguenze, non pure pel fatto stesso del contagio, ma per gli elementi negativi che si sarebbero ammanniti alle succedentisi generazioni. Ricordammo innanzi che 1’ anima si rende conto del mondo esteriore mercè le impressioni comunicatele da- gli organi sensoriali. Pertanto è a riflettere che questo movimento coordinalo è speciale per ciascuna perce- zione, per ciascuna sensazione. Ciascun fenomeno de- termina una coordinazione differente di vibrazioni e di movimenti. Ciascun fenomeno trova la sua espressione naturale, propria, o si distingue da ogni altro in questa coordinazione. Il movimento è comune a tutti i fenomeni , ma la coordinazione è propria, particolare a ciascuno. La percezione non si avvera con dei movimenti occasionali, ma coordinati, sottomessi a leggi, sempre identiche per percezioni identiche. Le cose tanto si conoscono per quanto si conosce la coordinazione dei movimenti che le esprimono. Ad es., si ode un grido di dolore : le onde sonore , che colpiscono il meccanismo acustico, sono tanto coordinate come quelle che produrrebbero un gri- do di gioia. Tutti i rumori della natura, dice Rambos- son, tutte le espressioni sonore hanno per causa una coordinazione di vibrazioni tale, che la coordinazione non può essere modificata senza esprimere altri feno- meni dì quelli che le hanno dapprima dato nascimento. Non si tratta di un fatto puramente meccanico nelle vibrazioni esprimenti tal fenomeno, tale idea ecc., ma è il numero, la misura, il modo, in una parola la coor- dinazione delle vibrazioni. Gli è in base di questa coordinazione che esse esprimono tale più che tal’ altra cosa. Il movimento nervoso che produce o risveglia quel particolare odore , sapore , toccamente ecc. sarà diffe- rente da altri speciali odori, sapori, toccamenti. Se ciò non fosse non vi sarebbe più relazione fra le cause e gli effetti, e viceversa ; nessuna scienza , nessun’ arte sa- rebbe possibile. Così pure a ciascuna idea corrisponde un movimento espressivo proprio, speciale, che la ca- ratterizza, l’individualizza. Naturalmente ciò suppone 1’ integrità degli apparecchi sensoriali e dei centri psi- chici ; le modalità o le anomalie dei medesimi apporte- ranno di conseguenza il pervertimento o 1’ annullamento dei movimenti trasmessi dal di fuori. La percezione esteriore dunque si avvera per effetto della trasmissione e trasformazione dei movimenti coor- dinali, che vanno a mettere capo nel cervello, dove essi si trovano trasformati in un movimento cerebrale, che agisce sull’ Io e fa nascere la percezione. La quale, rapportandosi alle leggi della psiche, suscita dei feno- meni intellettuali, i quali a loro volta producono un mo- vimento cerebrale coordinato, che si estrinseca allo esterno, mediante i nervi ed i muscoli, in movimento espressivo, cioè negli atti della flsonomia, nei gesti, nello sguardo, nel suono della voce e nella traduzione grafi- ca di questa o linguaggio scritto eccr Potrebbe quasi affermarsi che l’anima percepisce e si esprime fatal- mente. Benché la volontà potesse intervenire, essa non può cangiare le condizioni essenziali della percezione e dell’ espressione naturale. L’anima adunque, impreparata, percepisce spante , e comprende l’impressione delle innumerevoli fibre cen- tripete scosse dagli agenti della natura esterna ; pari- mente l’anima, impreparata, si estrinseca spante, met- tendo in azione le innumerevoli fibre centrifughe, le quali irradiano allo esterno, mercè i movimenti espres- sivi coordinati , i fenomeni che si effettuano in essa. Fenomeni espressivi , che si comunicano agli agenti della natura ed impressionano i sensi di coloro che ne sono colpiti, od ai quali rivelano cosi i fenomeni intel- lettuali che loro hanno dato origine. In questo modo, ripetendosi, i fenomeni del mondo esterno ci sono rivelati mediante i movimenti coordi- nati , trasmessi alla psiche dal cervello ; al cervello mediante i nervi sensoriali , ed a questi per l’inter- medio delle onde luminose o sonore dello ambiente este- riore. A loro volta i fenomeni intellettuali, le operazioni della mente, si estrinsecano allo esterno egualmente in- ducendo prima dei movimenti coordinati nel cervello; il cervello li trasmette ai nervi centrifughi, che determi- nano i movimenti espressivi, da cui muovono onde so- nore o luminose, le quali a loro volta sono trasmesse ai sensi degli spettatori. Il movimento cerebrale non resta dunque imprigio- nato nel cervello, ma tende a riprodurre gli stessi feno- meni, elaborati nel primo cervello che li diede origine. Cosi un movimento cerebrale, dietro una sequela di trasmissioni e di trasformazioni, passa da un cer- vello ad un atiro senza denaturalizzarsi. E come il cervello è la sede di tutte le operazioni psichiche, ne segue che tutte le manifestazioni del medesimo possono, colpendo altri cervelli, mercè i movimenti che le espri- mono, rivelarsi e divenire contagiose. • I movimenti fisiologici, che muovono dal cervello e si estrinsecano all’esterno (fisonomia, atteggiamento, gesto ecc.), sono coordinati in un modo speciale, per guisa che ad uno stesso movimento cerebrale corrisponderà sem- pre un movimento esterno. Così ad es., il movimento cerebrale che produce il riso non è lo stesso di quello che determina lo sbadiglio, il movimento cerebrale che rallegra la fisonomia, sotto l’influenza del piacere, non è lo stesso di quello che la contrae sotto l’influenza del dolore. Ad un movimento cerebrale corrisponde uno stesso movimento della fisonomia, giacché il movimento della fisonomia non è che il movimento cerebrale, co- municato ai nervi ed ai muscoli, che si manifesta all’e- sterno. Breve: esso non è che il movimento cerebrale continuato (1). (1) II principio popolare; tendevi alla prima impressione che una Il movimento della fìsonomia, ad es., si comunica alle onde luminose e si propaga nello spazio senza denatu- ralizzarsi. Le onde luminose seguono i cangiamenti e le modificazioni della fìsonomia , come questa segue i cangiamenti e le modificazioni del movimento cerebrale. Ad es., le onde luminose disegnano sulla retina dello spettatore l’imagine della fìsonomia di chi ride o sba- diglia; l’imagine si comunica al cervello dello spettato- re, che, a sua volta, riproduce, per azione riflessa coor- dinata, nella sua fìsonomia il riso e lo sbadiglio. Se il movimento comunicato fosse denaturalizzato non po- trebbe riprodurre gl’ istessi fenomeni. Ciò che si è detto per le onde luminose va ripetuto per le onde sonore. Un ridere ed uno sbadigliare rumo- roso si fanno udire. 11 movimento dell’organo vocale vi- brante, determinato da un movimento cerebrale, comu- nica all’aria le vibrazioni, le quali, sotto forma di onde sonore, pervengono coordinate all’apparecchio auditivo dello spettatore, quindi al cervello di costui, senza mai denaturalizzarsi. Lo spettatore, e per esso il cervello di lui, oltre al percepire il riso e lo sbadiglio tenderà a rifletterli fuori. Un dolore profondo colpisce una persona, un grido strazievole parte del suo petto. In questo grido è com- preso tutto il senso del dolore di chi soffre, che viene ad essere comunicato a quanti Io hanno inteso. Il movi- mento cerebrale, prima espressione di tale dolore, si è comunicato ai nervi, ai muscoli ed all’ apparecchio vocale che si mette in vibrazione. Le vibrazioni deter- minano delle onde sonore , le quali trasmettono fino agli apparecchi acustici, e questi ai cervelli degli ascol- tatori , il movimento partito del primo cervello , espres- persona nuova vi desia —ha un fondo positivo di verità, giacché voi impreparato leggete nella fìsonomia di colui genuinamente, perchè anch’egli è impreparato, l’interno suo movimento psi- chico cerebrale. L’inganno può venire dopo, quando per sug- gerimento viene a prodursi un deviamento al movimento spon- taneo-coordinato. Nonpertanto non tarderà tempo che voi avrete a ritornare sul giudizio fatto nel primo momento della cono- scenza di colui. sione del dolore, che, senza denaturalizzarsi, mette tutti alla stessa soglia di un unico sentimento. L’artista, che voglia esprimere tal sentimento colla melodia, desta nel suo cervello un movimento che è la espressione della sua anima ; il movimento si comunica all'apparecchio vocale , da questo allo ambiente , ove si trasforma , senza denaturalizzarsi , in onde sonore, le quali lo trasmettono fedelmente all’apparecchio au- ditivo e questo al cervello degli uditori. Cosi i cervelli di migliaia di uditori possono provare istantaneamente il medesimo movimento dell’ artista, ed in seguito co- gliere , comprendere i pensieri ed i sentimenti di cui l’artista ha datola prima espressione, e partecipare pure alla sua emozione. Rambosson crede di poter esprimere questa succes- sione di trasmissioni e di trasformazioni del movimento espressivo, completando la formola, cosi: Un movimento cerebrale o psichico può, attraversando diversi mezzi, divenire puramente fisiologico , poscia fisico, quindi di nuovo fisiologico , e infine cerebrale o psichico senza denaturalizzarsi , serbando , cioè , il potere di riprodurre tutti i fenomeni che sono sotto la sua di- pendenza. In fatti il movimento cerebrale o psichico diviene puramente fisiologico trasmettendosi ai nervi ed ai muscoli ; poscia fisico quando questi organi Io tra- smettono alle onde luminose o sonore ; quindi nuova- mente fisiologico quando, mediante queste onde, si tra- smette ai nervi degli spettatori , e , infine cerebrale o psichico quando da questi nervi si trasmette al cervello. In cotal guisa, dopo una serie di trasmissioni e di tra- sformazioni fisiologiche, un movimento cerebrale può comunicarsi a distanza senza denaturalizzarsi. Laonde il movimento espressivo , che è la estrinsecazione del movimento cerebro-psichico, può , attraversando mezzi od ambienti diversi, produrre fenomeni diversi senza denaturalizzarsi, e, ripassando in ambienti identici, ri- produrre fenomeni identici. Il linguaggio naturale deH’uomo e degli animali; come la musica, il disegno e la scoltura, espressioni che rile- vano le idee degli artisti, e che fanno nascere il movi- mento rifesso coordinato, prodotto dalla loro inspira- zione; così pure l'influenza dell’esempio, la propagazione a distanza delle affezioni e dei fenomeni nervosi ecc.— sono tanti esempii che vengono tutti a comprovare la legge della trasmissione del movimento espressivo che passa da un cervello ad un altro senza denaturalizzarsi. Pertanto è a riflettere che la trasmissione del movi- mento espressivo non si avvera con uguale norma in tutti, potendo delle condizioni particolari dz\\'ambiente intimo, inconscienie, indurre delle sensibili modalità. Conosciamo delle persone impressionabilissime, appo le quali un movimento espressivo , coordinato , attra- versa l’organo del pensiero immutato, e tale viene ra- pidamente riflesso fuori e comunicato ad altre. Invece, in certe altre , vuoi per condizioni innate , ataviche, acquisite (per il fatto dell’educazione che ha reso ener- gica la volizione), oppure per condizioni particolari del cervello (malattie , tensioni psichiche), il movimento espressivo può venir snaturato , modificato e fin neu- tralizzato. Cosi ad es., quando un individuo è sotto il peso di gravi pensieri , di una tristezza, rifugge da tutto ciò che esprime trastullo, svago, letizia, giacché tutto ciò gli produrebbe una sensazione penosa. Egli tende ad isolarsi, preferisce meglio le espressioni tristi che sono omogenee al suo stato; e se per un istante può subire l’influenza dello ambiente esteriore egli tenderà subito a sottrarsene, perchè vi è dentro , nel suo centro psi- chico, qualche cosa che arresta il movimento comuni- cato dal di fuori e non lo trasmette. Nelle persone im- pressionabili , appo le quali il potere inibitore dell’ a- nima (volontà) è labile, il movimento espressivo, par- tito dal primo individuo della serie, si continua coor- dinato , immutato , attraversando 1’ ambiente , i loro apparecchi sensoriali ed i centri psico-motori, e genuino si riflette. Ecco perchè la generalità della gente , quali i fanciulli , le donne, il volgo, le persone eretistiche, subiscono facilmente i contagi sensorio-psichici. Invece coloro che hanno un’organizzazione cerebrale e psichica sana, temprata dall’ educazione , offrono maggiore resi- stenza ai movimenti espressivi comunicati da fuori (1). (1) Penso che gli è in base a questo principio che si pos- Pertanto se costoro restano lungamente esposti all’ in- fluenza di una ripetizione frequente, a lungo andare la repugnanza o la resistenza diminuiscono , fino a dispa- rire. Tratterebbesi nel caso di due movimenti lottanti in sensi opposti ; quello che viene dall’ esterno e che tende ad invadere il cervello, ed il movimento intimo, cerebrale o psichico, che gli resiste fino al punto che il più energico prevarrà. § 4.° Contagi sensorio-psichici. Bouchut fu il primo a dare il nome di contagio ne- vropatico e morale alla propagazione in distanza delle affezioni e dei fenomeni nervosi come lo sbadiglio , il riso, lo starnuto, gli spasmi, i fenomeni istero-epilettici e coreici ecc., del pari che la propagazione di psicopatie, di epidemie suicide, di ricorrenze criminose, di perver- timenti del senso morale, degli andamenti o delle incli- nazioni caratteristiche di alcune famiglie ecc. Coteste nevrosi si possono trasmettere da individuo ad individuo, propagandosi a tutti gli abitanti di una casa, di una località, di un paese. Si direbbe quasi che in simili casi esista un’azione fisica diretta dal malato all’uomo sano, per un’emanazione nervosa, l’influenza della quale pro- duce in distanza lo stato nevropatico, giacché è diffìcile di spiegare il fatto con la semplice imitazione, nel senso che la si comprende comunemente. Comunque Bouchut non sia ancora in grado di precisare la natura del prin- cipio contagioso delle nevrosi, non può disconoscere che l’influenza di esso è potentissima ed illimitata, si eser- cita sull’ uomo e sugli animali, in tutte le età, spe- sone spiegare i fenomeni di suggestione, facili ad avverarsi appo le persone nevrotiche; facilissimi poi in quelle che sono eser- citate a ricevere tali influenze (quasi che le vie di conducibilità si trovino spianate , come presso le ipnotizzanti dei teatri o delle accademie) ; difficilissimi invece nelle persone appo le quali 1’ equilibrio della mente è saldo e presenta un indice di resistenza molto alto. cialmente nella giovanezza più sulla donna che sul- 1’ uomo. Esso partecipa del contagio per il modo di agire e dell’imitazione perii suo carattere psichico. P. Despine , Jolly , Ebrand di Niraes , Tommasi , C. Livi, Moreau de Tours, Charcot ed altri vanii riconoscono il fatto del contagio nervoso propagantesi in distanza, e 10 riferiscono chi più chi meno all’ imitazione, che ha 11 suo principio nell’ esempio. Il Rambosson invece trova che la legge della trasmissione e della trasformazione del movimento espressivo spiega perfettamente il con- tagio delle nevrosi e delle psicosi. Il contagio adunque dei fenomeni nervosi e psichici non avrebbe , secondo lui, che una sola causa , la propagazione a distanza del movimento cerebrale che è il principio della loro manifestazione. L’esempio dello sbadiglio può applicarsi ad ogni altro fenomeno nervoso espressivo, compreso il fatto della sug- gestione. Consideriamo lo sbadiglio quale movimento fi- siologico che muove dal cervello e si propaga all’esterno, comunicandosi in altrui, grazie alle onde luminose o sonore, se il movimento è accompagnato da rumore (1). Il movimento cerebrale, il movimento fisiologico ed il movimento fisico sono in una relazione di causalità così intima che senza il primum movens la successione della serie non sarebbe possibile. Parimente le modalità ed i cangiamenti che li modificano sono sempre i medesimi per i medesimi fenomeni. Laonde considerasi che i tre movimenti non sono altro che la manifestazione, la con- tinuazione di un unico movimento che parte dal cervello: in altri termini è il movimento cerebrale o psichico che (1) Un cieco come un sordo-muto possono essere ugualmente contagiati dallo sbadiglio. Se si trattasse di un semplice fatto d’imitazione , per l’alto della percezione dell’imagine, allora il cieco non potrebbe ripetere lo sbadiglio, lo starnuto, il riso, insomma il movimento espressivo ; il che non è quante volte il movimento espressivo è accompagnato anche da rumore o da onde sonore. Dirassi l’opposto del sordo.—Rimane dunque per fermo che in certi casi il movimento espressivo può ripetersi ugualmente attraverso meccanismi visivi ed auditivi; ma è sem- pre un movimento espressivo. Fazio. si continua immutato, coordinato negli ambienti diversi. Esso potrà cangiare di andatura a seconda gli ambienti che attraversa o nei quali si manifesta; ma come ritorna nello stesso ambiente od in uno analogo , riprende la sua p imitiva andatura, e riproduce le stesse od analoghe manifestazioni. Insomma il movimento fisico delle onde ed il movimento fisiologico degli apparecchi sensorii e motorii formano una sola catena, attraverso la quale si trasmette e si trasforma, senza denaturalizzarsi, il movi- mento cerebrale-psichico. Per tal modo questo , rag- giungendo immutato i cervelli degli spettatori,riprodurrà lo stesso movimento : identica la causa identico sarà l’effetto. Ciascuno potrà agevolmente comprovare sopra di sè il fatto che quando il movimento arriva al cervello, questo tende a sua volta a sprigionarlo per ridare na- scimento al fenomeno nervoso che ne dipende, trovando maggiore o minore ostacolo a seconda la costituzione e l’educazione cerebrale di ciascuno. Imaginando una serie lunga e successiva di cervelli e di ambienti iden- tici , un fenomeno psichica potrebbe , riproducendosi , percorrerla immutato indefinitamente, come un segno telegrafico , il quale attraversi una spirale senza mai trovare ostacoli nelle stazioni di fermata. Bisogna in ogni caso, come innanzi si è detto, tener conto, che vi sono delle persone, le quali subiscono con una immensa facilità l’influenza contagiosa delle affe- zioni nervose , mentre altre restano quasi indifferenti. Fra i due estremi vi sono gradazioni intermedie. È a considerare altresì che vi sono alcune persone, le quali resistono perfettamente alle influenze di certi movimenti espressivi, mentre sono colpite da altre. La stessa paura presenta delle modalità negli effetti a se- conda la natura del movimento espressivo. Ho veduto nel disastro di Casamicciola (28 luglio , 1883) dei ma- rinai che avevano affrontato mille volte l’ira del mare, annichiliti, perdere il senno dallo spavento; come pure delle persone , impavide nell’ opera di salvataggio, in mezzo al buio di quella tremenda notte , prostrarsi al solo annunzio del colera. Yi sono persone che per forza inibitoria, sia autonoma che estranea, arrivano ad arrestare il movimento espressivo trasmesso, come provò Boerhaave, il quale arrestava il contagio di at- tacchi istero-epilettici, propagato da una giovane alle altre, con la semplice minaccia di bruciare la pianta dei piedi alla prima che si facesse sorprendere dall’ at- tacco. Egli fece percorrere per la camera un fornello con ferri roventi e l'epidemia cessò. Ciò che si è detto dello sbadiglio può essere applicato per ogni fenomeno nervoso espressivo. Noi sorridiamo, senza averne coscienza, innanzi ad una persona che ci sorride. Il riso può divenire contagioso , malgrado gli sforzi che uno faccia per frenarlo, al punto da determi- nare quel che si dice riso da folle. All’opposto la nostra fisonomia si atteggia a tristezza, noi versiamo lagrime, qualora siamo disposti a risentire l’influenza di chi è tristo o piange (1). Lo stesso avviene delle sensazioni di piacere o di dolore. Noi imitiamo, senz’accorgercene, tutti i movi- menti dell’ infelice che la sofferenza lacera : le nostre mascelle si stringono ; i suoi lamenti fanno contrarre le fattezze del nostro viso; e, non potendo confondere i nostri pianti ai suoi accenti dolorosi, i nostri occhi si bagnano di lagrime, il cuore è compresso. Quest’effetto dell’imitazione è la base di tutte le nostre simpatie in- tellettuali per i piaceri e per le pene degli altri. Lo stesso potremo ripetere del singhiozzo, della tosse, dello starnuto, del vomito, della balbuzie, dell’atto di cadere , di certe movenze ed attitudini caratteristiche di alcune famiglie e di alcune classi, atti a riprodurre, nelle persone predisposte, gli stessi fenomeni. Spesso, a bordo di navi, ho potuto notare che il mal di mare , specie F eccitamento al vomito , finisce col contagiare anche i meno disposti. È impossibile di re- sistere al vomito quando tutti intorno vomitano. Mon- (1) Orazio, neWArle poetica, dice: L’uomo sorride al sorriso. Provocate le lagrime, e sarete forzati a piangere. La natura è cosi ben fatta che noi siamo sempre l’eco fedele di tutte le emozioni, della gioia come della collera. È anche uno dei suoi grandi trionfi dare giustamente il grido che colpisce 1’ orecchio ed il cuore. taigne diceva: la vista delle altrui angosce mi angoscia materialmente; un tossire continuo mi produce un grup- po alla gola. ,È impossibile di sostenere molto tempo il dialogo con un balbuziente senza provare un incaglio nella parola. In Napoli ho notato la balbuzie comunicarsi anche alle persone che frequentano la casa del balbu- ziente: amici, maestri, servitori ecc. Guai se si tratti di un pedagogo , i fanciulli rimarrebbero siffattamente im- pressionati dal vizio che , se essi presto non si allonta- nino da colui, lo scilinguagnolo potrà loro rimanere abi- tuale. Nei bambini la trasmissione e la naturalizzazione del movimento espressivo sono agevolissime. Colombo dell’lsère afferma che una persona, sopratutto se è giova- ne, la quale venisse in rapporto di un ventriloquio, non tarderebbe molto a subirne il contagio. Due individui, i quali vivessero lungo tempo assieme, finirebbero per trovarsi all’unisono quanto al tono ed al timbro della voce. Se in una sala di conversazione odi lettura, in un teatro, in una corsìa d’ospedale, in una chiesa, un primo si mettesse a tossire, quanti non ne trarrebbe die- tro?— Nei travagli del parto, quando la partoriente contrae di tutta forza i muscoli addominali e del tronco per se- condare le contrazioni espulsive dell’utero, le levatrici, le assistenti, che eccitano il coraggio di colei, ne imi- tano i conati (Livi). Burdach osserva che in una sala ostetrica, quando per caso più donne vengono insieme a partorire, le altre, anche se non giunte a termine di gravidanza, son prese da doglie. L'atto di chi è per cadere si riflette e si ripete con tanta istantaneità in chi lo vede , che la coscienza lo avverte dopo che in lui l’atto si si è già compiuto. Cosi dirassi di certi spasmi o di certe andature generali o parziali , di tutta la per- sona o di un punto del corpo, specie della fìsonoraia. La principessa di Galles, dopo una caduta da cavallo, zoppicò per qualche tempo ; le graziose movenze , che ella dava alla elegante persona , riuscirono contagiose, chè tutte le dame di corte claudicarono per qualche pezzetto. Bouley ricorda che se un cavallo prende il tic di serrare convulsivamente la mascella o di scuo- tere la testa, non è infrequente il vedere che i cavalli della stessa scuderia prendano simile tic. I fenomeni di trazione , di cammino , i movimenti rapidi eoe. si co- municano ugualmente per la stessa via. I cavalli si la- sciano trascinare alla corsa; basta che uno acceleri il passo perchè gli altri lo seguano. L’espressione della nostra fisonomia, la nostra cera, l’andamento totale della nostra persona, l’intonazione della voce, fin le frasi tendono ad identificarsi con le espressioni rispettive delle persone che possono influen- zarci, stando noi in relazioni continue ed immediate con esse. Ciò si nota di frequente nei rapporti coniugali e domestici, e costituisce le linee caratteristiche di certe famiglie; si ripete altresì fra maestri e scolari, fra pa- droni e domestici, ed in generale fra capi e subalterni; può avverarsi in una sfera più larga e dare luogo alla costituzione di certe classi e caste sociali (1). Il modo di essere di un nuovo arrivato, per quanta resistenza egli opponga al nuovo ambiente, a lungo andare è influenzato da questo fino al punto che restano fisse le linee caratte- ristiche inerenti alla classe. Si prendano, ad es., varii giovanetti della stessa età e classe sociale, aventi possi- bilmente uguali disposizioni fisio-psicologiche , educati nello stesso ambiente , e si portino in nuovi ambienti speciali, quali la milizia , la marineria, l’avvocatura, l’ingegneria, il sacerdozio ecc. A rivedere cotesti gio- vanetti, dopo dieci anni, nessuno saprà, dall’espressione che presenterà ciascuno , discernere più le linee indi- viduali, prevalendo in essi le acquisite nei nuovi ambien- ti, cioè quelle particolari, comuni e caratteristiche a cia- scuna classe. Delle volte le nuove acquisizioni sonsi in (1) Si legge nei Ricordi dei viaggiatori che nell’lsola della Riunione , prima che la traila dei negri fosse abolita, i grandi proprietarii dettero qualche volta delle feste per gli schiavi, alle quali erano invitati gli schiavi delle abitazioni vicine. Cotesti negri erano spesso dei servi devoti, che da padre in figlio erano nati presso gli stessi proprietarii. Tali feste consistevano in danze, banchetti ecc., dove ciascuno godeva piena libertà. Una cosa colpiva gli sguardi, cioè, la rassomiglianza dell’ana, dell’at- titudine, del genere, dei modi che ciascuno aveva del suo si- gnore. Non era necessario il domandare a chi apparteneva tale o tal’altro servitore, perchè dal servitore si conosceva il si- gnore e viceversa. siffatta guisa organate che appena il primitivo ambiente potrà modificarle. Il buon senso popolare diede dell 'ibrido al prete eman- cipato, perchè costui lascia trasparire sempre la chierica; Fanfulla invano si camufferà sotto il cappuccio del frate, chè la sua soldatesca andatura scoprirà sempre il bravo di Barletta; come la femmina emancipata dal pudore o la donna galante, nel declino delle sue civetterie, invano vorrà atteggiarsi a Cornelia, tanto indelebile in lei sarà 1’ espressione della sua abiezione. Il Duca di S. Simon, nelle sue Memorie, ricorda che il re pregò la duchessa di Chàtillon di non accedere in Corte, quando la duches- sa di Borgogna avesse sospetti di essere gravida o tale fosse, perchè la duchessa di Chàtillon aveva acquisito, contraffacendo una religiosa del convento , un tic, il quale , raro ed impercettibile fin poco dopo il matri- monio , si era accresciuto a segno che ad ogni mo- mento il suo viso si contraffaceva a spavento, senza che ella se ne accorgesse. I fenomeni di suggestione, che si avverano in certi stati morbosi, sottostanno alla stessa legge della trasmis- sione e trasformazione del movimento espressivo. P. Richer, nei suoi studii. clinici sa IV ist ero-epilessia, fa riflettere che se l’anestesia cutanea è completa, i sensi sono conservati ad un certo grado, e restano come una via aperta, per la quale è possibile d’impressionare il malato; ed in tal caso si possono produrre curiosi fe- nomeni di suggestione. Allorché l’attenzione del catalet- tico è attirata, egli diviene suscettibile di eseguire una serie di atti inconscienti che si producono alla maniera dei riflessi, quasi fatalmente, in seguito all’eccitazione dei differenti sensi. Non è il caso di attribuire il fatto all’imitazione, dipen- dente dalla imagine visiva, avvegnaché i movimenti che sono accompagnati da un rumore caratteristico non hanno bisogno di essere visti per essere rappresentati; è suffi- ciente che il rumore si oda perchè 1’ individuo ripeta l’espressione. Richer, mercè l’influsso della musica, po- tette impressionare a tal punto un catalettico, da fargli prendere tutti gli atteggiamenti secondo i sentimenti varii che esprimeva. Cessata la musica la catalessia rien- trò subito nella sua integrità. Questo fatto è stato ultima- mente confermato da Charcot; laonde la persistenza fre- quente dell’attività sensoriale permette spesso d'impres- sionare il catalettico per suggestione, e suscitare presso di lui degl’impulsi automatici svariati. Bouchut conobbe nel 1848 a Parigi una sartoria, popolata da 400 operaie, dove in meno di tre giorni si dichiararono 1’ un dopo l’altro 115 casi di sincope convulsiva. Ricordo una festa popolare in Casaraicciola, a tempo dei bagni, nella quale si facevano giuochi di corsa ri- schiosi. Una giovane cameriera fu colpita da convulso isterico. Accorsero la sua signora e le figliuole ; que- ste, alla vista delle convulsioni di colei, furono prese dallo stesso attacco, il quale riuscì contagioso su cin- que altre signore. L’anno 1851 a Lione, in una fabbrica di tabacchi, erano raccolte 60 donne; una di queste, al- tercatasi col marito, cadde in convulsioni. Le compagne si fecero attorno per soccorrerla : una più sensibile delle altre fu colpita da convulsioni, dietro di questa un’altra ed un’altra, poi 10, poi 20. Il contagio stava per invadere tutta la sala, se le altre non venivano allon- tanate a viva forza (.Journal des connaissances Med. Chir., An. 1851, 16 Fevr.) Azara diceva: se una per- sona mi cade nell’ipnotismo, io posso mettere contempo- raneamente nel medesimo stato 4 o 5 donne, purché le preghi di fissare attentamente la prima (Sur Vlpnoti- smo, 1860). Ricordo un signore del mio paese, fatto giuoco dei suoi amici, i quali potevano fargli ripetere a loro capriccio qualunque movimento degli arti superiori, e ciò con grande esasperazione dell’infelice, il quale in- vano si provava a sottrarsene ; non riusciva neanco a chiudere gli occhi. Brown-Sèquard, che sapeva imitare il grido iniziale dell’epilessia, dovette rinunciare di ri- peterlo ai suoi assistenti, perchè fra questi si determina- vano degli attacchi. Il Dr. G. Bèard descrive una ne- vrosi, detta dei Saltatori (Sumpers o Juwpings)—fre- quente nel Maine e nel nord di New-Hampshire i quali eseguono immediatamente qualunque ordine venga loro ingiunto. Cosi avendo detto ad uno che, seduto, teneva in mano un coltello di gettarlo, questi lo gettò inconta- nente, ripetendo insieme il comando ed il grido d’allarme come un epilettico; lo stesso gettò via la sua pipa quando venne battuto su una spalla. A due saltatori venne in- giunto di battersi , ed essi si picchiarono di santa ra- gione. Quando il comando vien fatto a voce alta e brusca il saltatore ripete anche il comando, mentre lo esegui- sce. Bèard faceva ripetere a tali infelici anche qualche parola sconosciuta e dei versi interi. Non occorre nean- co che la parola od il suono provenga da una persona; il rumore di un colpo di pistola o di una porta che si chiuda, bastano ad eccitare il saltatore a fare qualcuno dei soliti movimenti. Del pari i saltatori sono capaci di gettarsi nell’acqua e sul fuoco senza reticenza; è peri- coloso quindi di eccitarli quando tengono in mano armi od utensili pericolosi. W. A. Hammond, recentemente, descriveva una nevrosi, frequente in Siberia , specie nei rigidi inverni fra i Jakutsffl (più fra le donne), no- mata Miryachit, consistente nella ripetizione dei movi- menti espressivi senza che vi entri il comando; a dif- ferenza dei Saltatori, i quali non compirebbero apparen- temente un atto, che sia eseguito innanzi a loro, se non vi sieno spinti da un comando. Questo studio fu provo- cato dalla descrizione di un caso dichiaratosi a bordo di una nave americana dopo una traversata fatta nel Pacifico. Uno dei camerieri della nave era obbligato ad imitare ogni atto o fatto che colpisse bruscamente i suoi sensi. Se il capitano batteva in sua presenza le mani, egli subito batteva le proprie nell’ istesso modo ;se istantaneamente si fosse prodotto un rumore, egli subito era indotto ad imitarlo accuratamente, ma con repu- gnanza. Alcuni viaggiatori , niente pietosi (e l’uomo è sempre lieto di far del proprio simile il suo zimbello!), si divertivano a fare dei versi, a grugnire, a battere qualche colpo, a getterò il cappello in aria: e il povero cameriere subito ripeteva , come un’eco fedele, quelle stesse azioni , spesso l’una dopo l’altra. Anche quando egli pregava lo lasciassero in pace e s’irritava, tuttavia ripeteva forzatamente ogni atto ridicolo diretto a lui dai presenti. Qualche volta si chiudeva nella cabina , che era senza finestre ; ma anche là lo si poteva sen- tire a ripetere gli stessi atti che venivano compiti fuora. Come delle nevrosi comuni, così, dal semplice tra- viamento del senso morale salendo alle psicosi, trove- remo che una è la legge, la quale regola il contagio nevrotico. Secondo P. Despine, nello stesso modo che la risonanza di una nota musicale fa vibrare la stessa nota in tutte le tavole d’armonia, le quali, essendo su- scettibili di dare questa nota, si trovano sotto l’influenza di un suono emesso; del pari la manifestazione di un sentimento di una passione eccita il medesimo elemento istintivo, lo mette in attività, lo fa vibrare per cosi dire presso ogni individuo suscettibile , secondo la sua co- stituzione morale, di provare più o meno vivamente il medesimo elemento istintivo. Gli è in base alla legge della trasmissione e trasfor- mazione del movimento espressivo coordinato che noi ci potremo dare ragione di quelle esplosioni di nevrosi e psicosi, che insorgono sotto forme epidemiche special- mente in certi momenti della storia, quando i vecchi indirizzi essendo decaduti, la mente, resa infantile, per il manco d’ogni potere inibitorio della coscienza matura, resta abbandonata a sè contro le vicende delle influenze turbinose che le provengono d’intorno. Nevrosi e psicosi epidemiche. Fra le condizioni multiple che predispongono allo svi- luppo della follia isferica, le quali, in certi casi, sem- brano determinarne l’apparizione imprimendole una fìsonoraia speciale'—è certamente la grande riunione in una stessa località od in una stessa contrada di persone impressionabili, candidati nati all’ isteria (Lagrand du Sanile): spesso maravigliosamente preparate, allo scoppio dei disordini intellettuali, da pratiche mistiche, da pre- ghiere in comune, da macerazione e da digiuni. Il si- stema nervoso ora esaltato, ora animato da questo in- sieme di circostanze, è reso singolarmente atto a subire il controcolpo delle impressioni venute da fuori. Purché in un ambiente simigliante scoppii una scintilla, la follia isterica apparirà sotto la forma più spaventevole e più grave: la follia isterico-epidemica. Allora l’impressio- nabilità, così viva presso le isteriche, mettendovi della sua parte , il delirio assume, presso la maggioranza delle malate, gli stessi andamenti, la stessa forma: con- vulsioni, allucinazioni, demonomania, teomania, ecc. Nei passati secoli, massime nell’età di mezzo, abbiamo avuto frequenti esempli di siffatte epidemie, rivestenti le forme più strane. Nel 1374 si vedevano arrivare d’A- lemagna ad Aix-la-Chapelle truppe di uomini e di donne, prese da un delirio comune : in mezzo le vie e nelle chiese, tenendosi per le mani, esaltate dai loro sensi, danzavano ore intere fino a cadere per terra estenuate (Becker). Pittori fiamminghi impressero sulle tele delle epidemie coreiche che dall’ Alemagna si diffusero nei Paesi Bassi , da Aix-la-Chapelle ad Utrecht , Colonia, Metz (1). 11 flagello della danza, visitò Strasburgo nel 1418, e si propagò di città in città durante due secoli, menando lo spavento dovunque. Nel medesimo tempo ri- corse in Italia , specie nel mezzodì, il Tarantolismo o Gallismo, falsamente attribuito a morsicatura di taranto- la. Alcuni malati presentavano dei turbamenti visivi od auditivi, altri perdevano l'uso della parola, tutti resta- vano insensibili ai mezzi ordinari! di eccitamento. Il flauto e la chitarra potevano procurare loro del sollievo; allora, come svegliati da un sonno magico, aprivano gli occhi, si movevano dapprima lentamente ed a misura, poscia erano trasportati ad una danza passionata. Assicura L. F. Calmeil, che la fine infelice di Giovanna d’Arco, affetta da teomania, non impedì che varie gio- vani delle vicinanze di Parigi, dichiarassero di voler continuare 1’ opera della eroina di Vaucouleurs. (1) Charcot e P. Richer hanno pubblicato neWArl un notevole articolo; Le Demoniache nell’arie nel quale si delinea il pro- gramma di un’opera che avrà per titolo: U Hyslérie dans V ari. Essi si propongono di dimostrare il posto che presero nell’ arte gli accidenti esteriori della grande nevrosi isterica, quando erano considerati, non già come forme di una malattia, ma come un pervertimento dell’anima dovuto alla presenza del demonio nel corpo ed alla sua influenza sull’anima e sul corpo. E come noi rileveremo , attraverso le cronache del V e VI secolo fino alla Rinascenza, i due Chiari nevrologi studiano nelle tele dei pit- tori italiani, spagnuoli e fiamminghi, le linee caratteristiche e le scene delle varie nevrosi e psicosi epidemiche. Quasi contemporaneamente alla catastrofe di G. d’Ar- co, nel paese di Vaud, dominò una epidemia di demo- nomaniaci, i quali furono il terrore della contrada. Ado- ravano il diavolo, da cui alcuni si credevano invasati, e, vero o falso, tenevano a farsi credere antropofagi; e molti dei medesimi affrontarono impavidi le torture ed il rogo. Alcuni teologi sostennero che i demoni! erano pervenuti, nel 1459, ad imporre il loro dominio sui cit- tadini di Artois. E positivo che a quell’ epoca molti abitanti di cotesto paese confessarono, fino in giudizio, che essi assistevano la notte a delle riunioni proibite, dove erano trascinati dai demonii, ingaggiavano la loro fede ad un essere impuro, si abbandonavano alla copula cogli spiriti, dopo avere accettata la moneta dal diavolo e partecipato all’abbondanza dei suoi festini; l’indomani si svegliavano, senza saper da chi erano stati traspor- tati nei loro letti. I pretesi stregoni artesiani denunzia- rono ai tribunali degli innocenti affiliati alle loro società misteriose, mentre dal canto loro dei teologi, non sap- piamo se più sciocchi o malvagi, li esponevano alle tor- ture ed ai roghi, dichiarando gl’infelici apostati od ere- tici ; solo ai ricchi era agevole il riscattarsi. Feroci infatti furono gli eccidi di Arras. Una bolla fulminea d’lnnocenzo Vili dichiarò avere il demonio invaso tutti gli abitanti lungo i bordi del Reno. Dal 1484 al 1500 I’aìta Germania fu invasa dal delirio di demonologia ; basti dire che 100 donne dichiararono di aver commesso uccisioni e di aver coabitato coi demonii, e furono con- dannate al rogo. Dal 1491-94 le monache di Cambrai fu- rono colpite da demonopatia. Lo ossesse scorazzavano come cani la campagna, si slanciavano in aria come uccelli, si arrampicavano agli alberi come gatti, si so- spendevano ai rami, contraffacevano i gridi degli ani- mali, indovinavano le cose occulte e presagivano l’av- venire. Sapete a chi fu attribuita la causa di questa sventura? Il diavolo aveva confessato di essere stato introdotto nel convento da una religiosa, Giovanna Po- thière, con cui egli aveva coabitato 434 volte fin 9.° anno di sua vita. L’infelice fu imprigionata e morì in carcere!. Dal 1504 al 1523 l'istessa epidemia regnò epide- micamente nella Lombardia; più di 1000 persone, in un anno, nel solo Comasco, finirono sul rogo. Dal 1550 al 1565, specialmente nel Brandeburgo, in Olanda, in Italia e più in Germania (in particolar modo nei chiostri e ne- gli asili di educazione), scoppiarono delle epidemie d’i- stero-demonopatia. E degno di nota il fatto che all’an- nunzio della peste cessò l’epidemia. Nel convento di Uvertet, contea di Hoorn, le religiose, obbedendo alla direzione di un prete molto esaltato, dopo 50 giorni di quaresima, senza prendere altro alimento che succo di rape, e di essersi esaurite in pratiche religiose ecces- sive, furono prese da convulsioni e da delirio demoniaco. Si abbandonavano ad atti scandalosissimi , bestemmia- vano, spergiuravano, tenevano discorsi licenziosi, si rifiutavano di assistere alle pratiche religiose, e presen- tavano le più bizzarre contorsioni. Presso le monache di S. Brigida si dichiarò Tistero-demonopatia, dopo un primo attacco che ebbe una monaca costretta a prendere il velo in seguito a contrarietà amorosa. Le suore imi- tavano gridi di animali, belamenti di pecore, avverti- vano il globo isterico fino alla disfagia. Il contagio per- durò nel convento per 10 anni. Epidemie consimili si notarono nel convento di Kintorp, presso Strasburgo. Le suore di Kintorp, dice F. Calmeli, non esercitavano più alcuno imperio sulla loro volontà. Giungevano a mordersi, a percuotere ed a mordere le loro compagne, a fare degli sforzi per gettarsi sugli estranei che avreb- bero voluto ferire. Le si sorprendevano avvinte le ime sulle altre, rotolare sul suolo e fare cento altre azioni non meno disonorevoli. Nel 1554 in un ospizio di tro- vatelli furono prese da convulsioni e da delirio 80 gio- vanetto ebree, iniziate al cattolicismo. Sul finire dell’inverno del 1566-70 i trovatelli dell’o- spizio di Amsterdam, furono colpiti da convulsioni istero- epilettoidi; all’improvviso, come forsennati e privi di coscienza, si contorcevano sopra i cuscini, ingoiavano tutto ciò che veniva sotto le loro mani, si arrampica- vano come gatti sulle case e sui tetti, avendo lo sguardo orrido e spaventevole. Verso il 1574 a Valéry nell’alta Savoia, circa 80 monomaniaci, nello spazio di un anno, furono bruciati. Nel 1577, dominando l’epidemia nel- 1’ alta Linguadoca, perirono sul rogo circa 400 demono- latri, ed altri furono condannati a pene temporali. In questo turno di tempo (1590-94) 30 religiose a Milano ed 80 altre persone nel Brandeburgo furono colpite dal morbo dominante. Nel Lorenese (1580-1595) 900 demo- nolatri furono messi a morte. Fra il 1598 al 1600, nel Giura, la demonolatria ricorse contemporanea alla li- cantropia. I colpiti imaginavano di essere trasformati in becco, in cane, in lupo o lupa, camminavano, con- traffacevano la voce , ripetevano gli atti brutali degli animali nei quali si credevano trasformati. Molti di essi confessavano, giuravano di aver convissuto col diavo- lo , di avere assistito al Sabbato, di aver rubato, av- velenato ed ucciso dei fanciulli, sicché provarono il supplizio del fuoco. Nel 1609 la demonolatria si diffuse straordinariamente in tutto il Labourd (Bassi-Pirenei), colpendo fino i fan- ciulli. Il delirio aveva disquilibrato tutte le menti, le prigioni rigurgitavano di allucinati; i roghi bruciavano dovunque, le cui pire non risparmiavano neanche gli ecclesiastici. Il contagio pare provenisse dalla Navarra, dove la demonolatria infierì per molto tempo accanto alle efferatezze loiolesche. Fra le idee deliranti primeg- giava il pervertimento sessuale. Ad Aix le monache Orsoline furono colpite da istero-demonomania; una di esse, Maddalena di Mandol, ninforaaniaca, accusò di essere stata sedotta dal curato Gaufridi, dichiarato da lei il principe dei maghi di Spagna, di Francia, d’lnghil- terra, di Turchia. L’infelice curato fu bruciato vivo, e dopo di lui salì il rogo una povera cieca, accusata di stregoneria. Nel 1613, nel comune di Araou, vicino a Dax (Acqs), molte donne furono colpite da nevrosi, che ora assumeva l’aspetto d’istero-epilessia, ora si manifestava come fol- lia impulsiva con emissione di latrati, da cui il nome di mal adie de Latra. I racconti delle Orsoline di Aix, e l’avventura di Maddalena di Mandol destarono un de- lirio nel convento di S. Brigida a Lilla; ed è famosa la confessione di suora Maria de Sains, la quale, innan- zi ai giudici, dichiara di aver dato anima e corpo a Bel- zebù, di avere assistito al Sabbato, di aver avuto com- mercio carnale col diavolo, con Gaufridi, e con i bruti; infine di aver cercato di abbandonare al diavolo tutte le suore. Dal 1628 al 1631 la demonopatia regnò fra le Benedettine di Madrid. Famosa rimarrà l’epidemia istero-catalettiforme derno- nopatica che colpi (1632-39) le Orsoline e si riverberò sulle secolari a Loudun, diffondendosi poscia ad Avi- gnone ed a Nimes ecc. Coleste religiose, in preda al più alto pervertimento del senso morale ed affettivo, erano colpite dalle più strane convulsioni; assumevano atteg- giamenti e movimenti impossibili a descriversi, si ab- bandonavano agli atti i più strani ed impudichi, emet- tevano urli, dicevano parole oscene, oppure cadevano nell’ estasi e nella catalessi». Parimente famosa rimarrà l’epidemia istero-dernonopatica estatica del monistero di Louviers (1642). Altre sene videro a Auxonne (1652- 1662). Nel 1570, 85 demonolatri furono bruciati ad Elf- dalem in Svezia. Simile epidemia dominò a La Haye- Dupuis. Fra il 1680 al 1695 la Coreomania (monomania della danza o ballismo) regnò epidemicamente in Ger- mania ed appo noi in Puglia. Nel paese di Galles e nella contea di Cornovaglia, verso il 1760, sullo stipite del metodismo nacqueroìJumpings odi Saltatori (1). Yolney parla degVlschours o Ecumeurs del Cairo, i quali da un del tono più basso si trasportavano gradatamente alle grida le più acute, a cui associavano stravaganze inau- dite. Verso il 1681 l’istero-deraonolatria divenne conta- giosa nelle vicinanze di Tolosa , e dal 1687-1690 il morbo campeggiò nei dintorni di Lione. Dal 1686 al 1707 nel Delfinato, nel Viverais e nelle Cevenne regnò epidemica, fra i Calvinisti, la Teomania estati co-convulsiva. Migliaia di contadini, credendo di obbedire alla volontà dello spirito santo, si fecero schiac- ciare dai soldati, opponendo loro una forsennata resi- stenza. Nel 1700 il latrare {maladie de taire) scoppiò nella contea di Oxford; ed in un convento nelle vici- nanze di Parigi ricorse epidemico il Miagolare. Famosa (1) V. pag. 87. I predicatori consigliavano di esercitarsi ai trasporti e di saltare fino al punto di cadere per terra. A ciò si credevano spinti da impulso divino. rimarrà la teomania estatico-convulsiva che dominò epi- demicamente fra il 1731 al 1741 fra i Giansenisti (appe- lans), la quale seguì la morte del diacono Paris. Il cimitero di S. Mèdard, dove era la tomba del venerato taumaturgo, era il focolaio da cui irradiava il contagio. Nel 1732 nel comune di Landes, presso Bayeux, la demonopatia, complicata al sonnarabolismo, ricorse epi- demicamente. In questo periodo (1700-1740 il Vampirismo dominò epidemico in Polonia, Ungheria, Baviera ecc. Degl’infe- lici in preda alle allucinazioni, credevano che il diavolo possedesse la facoltà di rianimare momentaneamente certi corpi morti, le cui anime potevano uscire dalle tombe, girovagare di notte, far minacce e dare buoni o cattivi consigli ecc. Dal principio adunque del secondo XIV alla metà del secolo XYIII, comesi vede, l’Europa fu afflitta da epi- demie nevra-psicotiche. In questo momento, grazie alla influenza benefica degli Enciclopedisti (dei Voltaire, dei Diderot, dei d’ Alembert ecc.) lo spirito umano, sottra- endosi ai pregìudizii medioevali, entra in una fase nuo- va; sicché alla fine del XVIII secolo le idee di ossessi e di sortilegi, come ricorrenze morbose, vediamo es- sersi dileguate, riaffacciandosi di rado qua e là sotto aspetti assai miti e locali. In fatti fin dal 1774 l'isteria epidemica trovò un alimento nuovo nelle ingegnose invenzioni e nelle pratiche ciarlatanesche degli Spiriti- sti e dei Magnetizzatori. Gassner prima e Mesmer dopo, sotto pretesto di cure meravigliose, riprodussero su va- sta scala le scene dei gridi isterici, le convulsioni esta- tiche. Nel 1848, nella casa dei detenuti del Buon-Pastore ad Amiens, detenuti, infermiere, suore, furono in preda a nevrosi estatico-convulsive. Scene analoghe Josselin notò in Bretagna, ed altre se ne videro in Svezia. In varie revivals o campi-meetings di America e d’lrlanda, specie di assemblee religiose protestanti che si tengono in piena aria o nelle chiese, ricorsero (1860) di frequente delle nevrosi epidemiche simili a quelle notate nei con- venti cattolici. John Chapman così ne riassume i sin- tomi : gridi spaventevoli, caduta a terra, soffocazione, oppressione , respirazione anelante ; tremiti, dolori in certe parti del corpo, scosse, salti, giri, danze; estasi, visioni, chiarovegenza, perdita temporanea della visione; paralisi transitoria di diverse parti del corpo, emiplegia, paraplegia, follia. A Morzines, piccolo comune del- l’Alta Savoia, dove alla metà del secolo XVI aveva in- fierito la stregoneria, dominò nel 1861 un’epidemia d’i- stero-demonopatia. Constans, che la descrive, notò le prime manifestazioni, apparse nel 1857, in due giovàni, da cui progredì la degenerazione a segno che l’epidemia invase tutta la popolazione poverissima, fiacca, oziosa, esaltata, e presso la quale le unioni fra consanguinei erano frequenti. I dott. F. Franzolini e G-. Ghiap de- scrivono un’epidemia d’isterodemonopatia scoppiata a Verzegnis, comune di 1800 anime, su 40 donne fra il 1878-79.— Il dott. Stéphanos (1883) descrive che nella valle di Kior-Kaza (Tracia), abitata da boscaiuoli igno- ranti e superstiziosi, in occasione delle feste di S. Co- stantino, che si celebrano nel maggio per 15 giorni con danze ed orgie, scoppia e si diffonde epidemicamente fra uomini e donne la coreomania con fenomeni identici a quelli dinanzi riferiti. elicine, dove la superstizione è massima (tanto che ul- timamente vi fu arsa viva una infelice accusata di stre- goneria) avvenne (1879-81) che quasi tutte le donne fu- rono attaccate da violenta nevrosi; emettevano ululati indescrivibili, incolpandosi dai malefici certa Horlamoff. Cotesti ossessi portarono le loro querele innanzi al giu- dice di pace. Il dott. P. de Pietra Santa descrive {Jour- nal d'hygiéne, 23-30 marzo, 1882) gli odierni convulsio- narii algerini (Les Aigaoua). Intorno alla tomba di un Marabuto celebre, gl’indigeni vanno a cantare le sue lodi, od a sollecitare, in caso d’infermità, il suo po- tentissimo intervento. Sopraeccitati dai suoni di una musica barbara, essi si abbandonano sulla tomba del santo alle danze le più eccentriche. I movimenti di con- torsione del corpo, lo stato rubicondo del viso, la schiuma ed il sudore che l’innonda, danno a questi ossessi qual- che cosa di spaventevole da ravvicinarli alle convulsio- narie di Loudun edi S. Mèdard. L’ultima epidemia di teomania campeggiò fra le amene pendici dell’ Appen- nino toscano, di cui fu centro Arcidosso, nei quali din- torni, ricorda A. Verga, furono già secoli addietro de- gli allucinati e dei visionarli. Auspice Davide Lazza- retti, la contrada fu esaltata alla fede del nuovo profeta, il quale, nello agosto 1879, discese dal Monte Labro in abiti sacerdotali delia Chiesa da lui fondata, alla testa di oltre 1,000 individui tra fanciulli, vergini di Sion, diaconesse, apostoli , principi che formavano i gradi gerarchici della nuova Chiesa, tutti nel costume del rispettivo grado sventolando bandiere di vario colore e cantando inni sacri. Avendo Lazzaretti opposto resi- stenza alla forza pubblica, e succeduto uno scontro, finì vittima del suo fanatismo. Verga e Lombroso intravidero subito che il Lazzaretti era colpito da monomania reli- giosa. A. Verga studiò il caso e scrisse una splendida monografia: Davide Lazzaretti e la pazzia sensoria. Soltanto gli allucinati o visionari, egli dice, possono avere 1’ audacia e la costanza del Lazzaretti, soltanto essi possono esercitare sul vulgo una grande influenza, por mano senza congrui mezzi ad una riforma sociale e condursi appunto in modo da far perdere la bussola a chi li giudica alla stregua degli altri uomini. Dalla rapida esposizione fatta delle nevrosi e psicosi, ricorrenti sotto forme epidemiche e pandemiche nell’Età di mezzo fino a noi, risulta che due sono stati i fattori per l’irrompere delle medesime, uno consistente nella predisposizione alle crisi nervose, facilissime special- mente nelle donne, l’altro nella trasmissione del movi- mento espressivo od influenza suggestiva. Questa stessa legge, che spiega il contagio delle ne- vrosi e delle psicosi, può esplicare egualmente il devia- mento del senso comune, del senso 7norale. Vivendo noi in mezzo a persone che pensano falsamente, che ragionano male, che agiscono stranamente, il nostro cervello, epperò la psiche, ricevendo incessantemente. senza possa , per forza della legge della trasmissione del movimento espressivo od influenza suggestiva, il controcolpo sregolato delle idee di quelle, finisce per subirne l’influenza: laonde noi pensiamo, agiamo nello stesso modo di esse (I). (1) Vi sono delle nevropatie, le quali, imitate a bella posta sol perchè 1’ uomo intensamente le voglia, o le pensi, o le Fazio. 1 Quando si dice; veggo l’errore, comprendo che tale cosa è un pregiudizio, un danno certo, ma non posso sottrarmene, si è detto tutto intorno alla tirannia del- l’ambiente sull’individuo, sui processi psichici e sulle deliberazioni della mente. Coloro che sono dotati di una costituzione cerebrale e di una educazione psichica solida, a prima giunta possono opporre una certa resistenza all’invadenza del movimento comunicato dal di fuori ; ma anche essi a lungo andare finiscono coll’ esserne contagiati. Vedete quel tribuno che vorrebbe in un momento scon- volgere il mondo; guardate quel terribile conservatore che vorrebbe invece incatenare tutte le coscienze; en- trambi, entrati nell’ambiente convenzionale di una gran- de assemblea (un Parlamento odierno, ad es.), senza ac- corgersene , subiscono una solenne trasformazione, in- dotta dallo ambiente prevalente. Quei due antagonisti, entrati colà col viso dell’arme, possono benissimo uscirne a braccetto con cera bonaria. Coloro invece che hanno una costituzione psichica ru- dimentale o debole sono invasi assai facilmente dal con- tagio, perfettamente come nelle epidemie comuni si con- tano i predisposti ai morbi. Infatxi quali sono i primi ad accogliere le idee le più stravaganti, le novità di qua- lunque genere, se non le donne, i giovanetti, il vulgo? Il senso comune può in questi obnubilarsi, smarrirsi o perdersi con la più grande facilità, come può, per un’in- fluenza contraria, ritornare al retto sentiero; esso subisce influenze buone o cattive da tutto ciò che l’at- tornia, ad un punto che sorprende quando vi si rifletta per la prima volta. tema, s’infiggono a lungo andare nell’ umano organismo, ene prendono reale signoria. Non è raro, ad es., che i simulatori di certe nevrosi o psicosi, col ripetere i modi e gli atti esteriori, finiscono col rimanere davvero presi del cattivo giuoco. Brierre de Boismont infatti afferma che molte pazzie simulate divennero reali, senza che i simulatori se ne accorgessero. Due marinai francesi, prigionieri su nave inglese, dopo aver perdurato sei mesi nel simulare la pazzia, non riebbero la libertà che a prezzo della loro ragione veramente perduta. Parlando del contagio nevropatico o della propaga- zione nervosa, Bertillon riconosceva trattarsi di un im- pulso violento, involontario, atto a riprodurre nei nostri animi e nelle nostre azioni i sentimenti ed i movimenti che noi vediamo sorgere intorno a noi. Sonvi circostanze che facilitano od accrescono codesta propagazione ner- vosa; le une tengono alla razza, le altre al clima, alle persone, al sesso, all’età. Sarcay rifletteva sulla intensità che imprime in queste propagazioni il numero delle per- sone riunite. Parrebbe che nella collettività si perda una parte della propria personalità per risentire, come membro di un corpo vivente, le passioni ed i pregiu- dizii della folla. L’atmosfera, dice Sarcay, è in qualche guisa impregnata delle opinioni correnti; voi subite quasi sempre , senza dubitarne , l’influenza di quell’ambiente vivente; voi siete impressionato della emozione di tutti. Non pure i movimenti passionati subiti sono contagiosi ma tutte le modalità mentali di una collettività. Naturalmente dal più lieve deviamento del senso co- mune, che può incominciare sotto forma di un generoso entusiasmo, sì può percorrere tutta la scala degenerativa, la quale, movendo dall’eretismo nervoso, sale e diventa istero-epilessia, follia, demenza. Un esempio parlante di ciò lo tragghiamo da certi punti più culminanti di quella solenne fermentazione storica che fu la rivolu- zione francese. Accennammo già al risveglio dato dagli Enciclopedi- sti e all’ eco ripercossa dell’lndipendenza d’America. Visibilmente, dice Taine (France conf.emporaine), un fermento nuovo è penetrato nella massa ignorante e grossolana, e le idee novelle fanno il loro effetto. È da molto tempo che queste sono filtrate insensibilmente di strato in strato, e che , dopo di aver guadagnato l’aristocrazia, tutta la parte letterata del terzo Stato, i legali, le scuole, tutta la gioventù, si sono insinuate goccia a goccia, e per mille fessure, nelle classe dei braccianti. I grandi signori, alla loro toiletles. hanno beffeggiato il Cristianesimo, ed affermato i Dritti del- l’Uomo innanzi i loro servi, i loro parucchieri, i lori fornisori e tutta la loro anticamera. I letterati, gli av- vocati, i procuratori hanno ripetuto, con un tono più aspro, le stesse diatribe e le stesse teorie nei caffè, nei restaurants, nelle passeggiate ed in tutti i luoghi pub- blici. Hanno parlato innanzi alle persone del popolo come se non fossero presenti, e, tutta questa eloquen- za, riversata senza precauzione, è schizzata fin nel cervello dell’artigiano , del cantiniere, del commissio- nario, del venditore e del soldato. È sufficiente un anno per cambiare il loro malcontento sordo in passione politica. Colpo su colpo scoppiano i libelli rivoluziona- rii, i quali sono ripetuti ed amplificati nelle assemblee elettorali, dove i nuovi cittadini vanno a declamare ed a riscaldarsi. Il grido unanime, universale e quotidiana gira di eco in eco fin nelle caserme, nei sobborghi, nei mercati, nelle botteghe, nelle soffitte. Nel mese di febbraio 1789, confessa Necker, in nessun luogo vi è più obbidienza, e non si è sicuro neanco delle truppe. Se vi sono per i corpi, soggiunge Taine, delle ma- lattie epidemiche e contagiose, ve ne sono anche per gli spiriti, e tale è allora la malattia rivoluzionaria. Essa si riscontra nello stesso tempo su tutti i punti del territorio, e ciascun punto infettato contribuisce all’infezione degli altri. In tutte le città o borgate li club è un focolaio infiammatorio che disorganizza le parti sane, ciascun centro disorganizzato emette lontana i suoi esempli come miasmi. Da tutte le parti la stessa febbre, ristesse delirio e le stesse convulsioni indicano la presenza dello stesso virus. Siamo aWAssemblea cos/i/uen/e. La sala di Yersaglia si trasforma in una caldaia bollente; da fuori e dalle tribune la folla curiosa e febbricitante mena di conti- nuo tizzi da ardere dentro l’Assemblea, dove sono i rap- presentanti della Nazione. Nella loro presunzione di novizi costoro respingono sdegnosi il regolamento della Camera inglese dei Comuni; non vogliono nulla pren- dere ad imprestito dagli stranieri, e non accordano nessuna autorità all’esperienza. Lasciano il campo li- bero allo slancio spontaneo degl’individui; ogni in- fluenza, anche quella di un deputato, anche quella del loro presidente eletto, è sospetta, sicché ogni 15 giorni ne scelgono uno nuovo. Nulla li contiene o li dirige, nè l’autorità legale di un codice parlamentare, nè l’au- torità morale dei capi parlamentari. Non hanno alcun partito, nè sono organizzati a partito; nè da un lato, nè dall’altro hanno trovato un leader riconosciuto, che scelga il momento, prepari la discussione, rediga la mozione, distribuisca le parti, spinga o freni la truppa. Vi sono troppi talenti medii e troppo pochi talenti su- periori per imporsi. D’altronde 1’ amor proprio di cia- scuno è ancora troppo intiero per subordinarsi. Ognuno di questi legislatori improvvisati è arrivato convinto del suo sistema. Gli è per questo che ciascuno agisce con la propria testa, secondo l’impulso del momento. Essi non discutono nulla nella loro Assemblea, scriveva uno stra- niero: più della metà del tempo passano nelle esclamazioni e negli schiamazzi. Ciascun membro viene a spacciare il resultato delle sue elucubrazioni, in mezzo ai rumori, al suo turno d’iscrizione, senza mai che un argomento venga ad urtare un altro, per modo che la fucilata è interminabile , e mille volte contro uno tutti i colpi cadono nel vuoto. Dal suo canto le tribune, zeppe di novellieri da trivio, di femine da conio, di soldati travestiti in borghese, applaudiscono, minacciano, in- terrompono con un’aria deliberativa; ed i deputati si preoccupano di fare dello effetto più su quelli che sul- l’Assemblea stessa. I deputati, cosi sopraeccitati, non sapevano il mattino ciò che avrebbero fatto la sera, erano in balìa di tutte le sorprese. Quando l’entusiasmo li assaliva, una vertigine correva sui banchi: ogni pru- denza era sconcertata, ogni previsione era scomparsa, ogni obiezione era soffocata. Nella notte del 4 agosto ninno era padrone di sè; l’Assemblea offriva lo spetta- colo di tanti ebbri. Ciò che avrebbe richiesto un anno di cure edi meditazione scriveva altro straniero fu proposto, deliberato, votato per acclamazioni gene- rali. A dir vero, esclama Taine, costoro erano delle isteriche, e da un capo all’altro della Rivoluzione, la sopraeccitazione andò crescendo. Non soltanto essi era- no esaltati, ma avevano bisogno di esaltamento. Ama- vano l'enfasi, la retorica a grande orchestra, i pezzi di eloquenza declamatoria e sentimentale. È inutile dire che l’ambiente del Paese produsse l’Assemblea, l’am- biente dell'Assemblea si riverberò di nuovo sul Paese, subendo al fine tutti la legge dell’autocontagio. L’utopia di G. G. Rousseau di una società fondata sulla fratellanza universale, sanzionata da un contratto sociale, espressione delle volontà libere, commuove ed entusiasma gli animi, i quali vogliono affermarla con una festa. Per il 14 luglio si decreta la Festa della Federazione per tutta la Francia, mentre Parigi acco- glie sul campo di Marte i 14,000 rappresentanti della G. N. delle province, ed i 12,000 dell’ esercito e della marina, circondati da centinaia di migliaia di cittadini d’ogni ceto. Dietro un colpo di cannone scoppia contem- poraneamente in tutta la Francia dal petto di milioni di persone un hurras immenso, che è il giuramento so- lenne, il quale sancisce il patto sociale. L’allegria strari- pa, come è naturale, nel giorno in cui il voto di un se- colo intero viene ad essere raggiunto: è il sogno della felicità ideale, come i libri e le stampe del tempo ave- vano preannunziato. L’anima, scrive Taine, si sente curvata sotto il peso di una deliziosa ebbrezza, all’as- petto di tutto questo popolo tornato ai dolci sentimenti della fratellanza primitiva; ed il francese molto più gaio di prima, più fanciullo che oggidì, si abbandona, senza secondi fini, ai suoi istinti di socievolezza, di simpatia e di espansione. Tutto ciò che l’imaginazione del tempo gli fornisce per aggiungere alla sua emozione, tutta la decorazione classica, oratoria e teatrale di cui dispone, l’impiega ad abbellire la sua festa. Al campo di Marte, nella festa della Federazione, mal- grado la pioggia che cadeva a fiotti, i primi arrivati cominciarono a danzare, altri si associarono ad essi, formando un giro che abbracciava subito una parte del Campo. 300,000 spettatori battevano il tempo con le mani. Nei giorni seguenti anche per le vie si dan- zava, si cantava, si beveva. É inutile di ripetere le stravaganze a cui si abbandonarono tutti e gli atti di violenza che ne seguirono. Il Taine si mostra in vero troppo passionato nel giudicare gli errori, gli esalta- menti, gli straripamenti che eruppero da quel tremendo vulcano che fu la Rivoluzione del 1789. Una rivoluzione che rinnegava di botto tutto un passato (il medio evo), al certo non poteva trovare una generazione preparata a ricevere adeguatamente le idee nuove, le quali, per- correndo cervelli deboli, infantili o guasti, prima che si organizzassero nelle menti, atte a riceverle, proce- dettero deliranti. Quindi ira contro la proprietà, con- tro l’aristocrazia, contro il clero: quindi man bassa su tutto ciò che sapeva di passato. Poscia il timore e la paura del ritorno all’antico destò la monomania dei sospetti; sicché una folla cieca sì scagliò furiosa fin contro innocenti e tranquilli cittadini, che potevano avere relazioni lontane con i nobili ed il clero. L'odio al passato portò il decadimento di ogni principio di autorità: lo scienziato, l’artista, il magistrato, il mili- tare, l'impiegato erano anticaglie, erano dei privilegiati, rappresentanti una società decrepita. Laonde via tutti, scopa nuova; ogni cittadino bastare per tutti, essere ca- pace a tutto. Un senso di amor proprio esaltò gli animi delle masse. La cupidigia e l’ambizione non trovarono confini. L’ultimo sanculotto avvertiva dentro di sé l’a- nima di Bruto, il coraggio di Leonida, il genio di Sci- pione ; insomma egli si sentiva un predestinato, un eroe di Plutarco. Questo disquilibrio delle coscienze, questo esaltamento del sentimento personale, mise capo al delirio di sé che eruppe sotto forme epidemica nella manie de la grandeur. I freniatri di quei tempi ci parlano infatti che dessa era una delle forme prevalenti di psicosi. Le passioni scatenate non trovano mai freno ; appena si discernono quando già si sono fatte mature, ma non si sa mai dove finiscano. Esse sono valanghe che crescono per via finché si rendono in frantumi; sono locomotive fuori di freno che corrono veloci incontro all’abisso; sono la febbre che brucia l’organismo; sono il tarlo che corrode la trama della vita!. Si giunse in ultimo alla Comune, l’acume del delirio, che si estrinsecò nella monomania omicida. L’uomo, divenuto antropofago, vinse le belve più efferate del deserto. Rivoli di sangue umano solcarono il suolo della Francia, divenuta umano macello, infin che alta e ferrea si levò la mano di Cesare, il quale riassunse i freni delle scomposte coscienze, e con la punta della spada decretò le idee dell’epoca, di cui fu ristrumento. A conferma del principio della influenza del contagio morale e della legge di sua propagazione basteranno poclii altri esempi. Il Timor panico è contagioso in grado eminente; esso s'impossessa degli uomini e degli animali (1) in tal guisa, che non vi è forza morale capace d'infrenarlo non che di vincerlo. Lo sanno per prova i vecchi capitani, i quali con estrema diligenza cercano di tenere alto il morale dei loro soldati in tempo di guerra, infondendo negli animi di questi sentimenti di coraggio e di superiorità sul nemico, senza di che non è possibile di entusiasmarli alla lotta. Fintantoché rifulse il Sole di Marengo, di Wagram e di Austerlitz le armate francesi percorsero trionfanti l’Europa, e non vi fu esercito nemico che non siasi dissoluto innanzi a quei raggi potenti di luce e di vita. Tale era il prestigio di un Uomo, personificante lo spirito dell’Epoca, che l’ultimo contadino di Normandia si sentiva un eroe a petto del vecchio ed agguerrito teutone o del feroce cosacco, i quali allibivano al i sem- plice apparire di un fantaccino francese. Ma come una nube per un istante velò quel fulgido Sole, la Grande ar- mata si dileguò come fantasma. Lo spirito militare , alimentato di nuovo in Francia, parve risplendere a Magenta ed a Solferino. Pertanto contemporaneamente in Germania si operava da lunga mano un solenne e potente lavorio di riscossa: poeti, storici, filosofi con i libri, con la voce e con le stampe tenevano desto dalle scuole dell’ultimo villaggio ai collegi militari e civili, e fin negli educandati feminili, l’amore alla patria, 1’ odio allo straniero, la superiorità della razza tedesca. Non vi è chi non abbia letto il bellissimo poema di W. Goethe «Arminio Boroteay>, nel quale si dipinge a caratteri di fuoco l’invasione straniera. A Berlino , (1) È impossibile, mi assicurava un vecchio e distinto gene- rale di cavalleria, disporre del proprio cavallo quando gli altri sono invasi dallo slancio della vittoria o dal panico della rotta: in tale stato gli animali sono infrenabili. nel gennaio 1881, si pubblicò un opuscolo: L'organiz- zazione del nostro esercito risponde alle necessità del momento attuale?». È un opuscolo militare, il quale chiede l’aumento deH’effettivo e l’introduzione nell'e- sercito tedesco di scuole insegnanti un metodo di slancio bellicoso e patriottico più energico ancora del- l’attuale. Sono sopratutto gli strati inferiori della po- polazione che bisognerebbe, secondo l’opuscolo, istruire in questo senso. Nelle scuole primarie si dovrebbero dipingere, con colori di fuoco, all'imaginazione im- pressionabile dei bambini, i grandi fatti degli antichi fino dall’epoca leggendaria, in cui il popolo alemanno comparve la prima volta alla luce della storia. Bisogna che il fanciullo sappia che il tedesco è sempre stato, sui campi di battaglia, un guerriero temuto; che fu il me- desimo che guadagnò come lanzichenecco le battaglie del medio-evo; e che le vittorie sue , da Federico il Grande agli ultimi successori di lui, non furono mai su- perate da alcun popolo. Leone Didon, nel suo libro «.Les Alemands» (Paris 1884), riflette che in Germania tutti, re e imperatore, cancelliere e ministri, uomini di guerra e uomini di lettere, studenti e operai, tutti non pensano che a la- vorare per la patria tedesca. Essi non hanno che una parola di ordine: la patria innanzi tutto , la sua ric- chezza innanzi tutto, il suo primato innanzi tutto. Nes- sun Tedesco, egli afferma, destò il sospetto di soddi- sfare le sue ambizioni colla fortuna o col sangue del paese. Questa virtù sociale non è in Germania un sentimento vago , ma una forza in moto verso una meta grandiosa e precisa. Nessuno vi resta indifferente, nessuna convinzione si sente offesa; questo alto scopo esige il sacrificio di certi diritti locali, la rinunzia dell’autonomia militare o doganale di parecchi stata- relli, ma esso attrae colla sua luce e colla sua forza magnetica tutti i Tedeschi senza distinzione di fede e di razza. Ecco in che cosa consiste la grande unità tedesca. Una forza d’attrazione spinge i Tedeschi gli uni verso gli altri, e lavora lentamente a riunire sotto lo stesso scettro , sotto la stessa costituzione , negli stessi interessi, Stati, popoli e stirpi parlanti lingua tedesca. In nessun paese d’Europa si coltiva con mag- giore cura e perseveranza questo spirito, anima della Patria. In nessun paese gli si consacra tanta sagacità perseverante, e si ha una coscienza più chiara dello scopo da ottenersi da questa pedagogia sociale e pa- triottica, la quale principia dalla Scuola. Una donna di spirito, con cui L. Didon ragionava a Gottinga sull’ingiusta annessione dell’Alsazia-Lorena, lo guardava con occhio meravigliato: pareva che ella non sapesse comprendere lo sdegno della sua coscien- za. Ma, diceva ella, noi eravamo fin dall’ infanzia edu- cati all’idea, non già dell’annessione, ma del ritorno dell’Alsazia alla madre patria: gii Alsaziani erano Te- deschi. Gli è per mezzo di quest’azione insensibile sul cuore, gli è coi ricordi e colle prime ddee dell’età infantile, che viene a formarsi lo spirito nazionale. A misura che il fanciullo cresce e passa dalla Scuola elementare al Ginnasio e dal Ginnasio all’Università, l’azione di- venta più intensa, e alla Università raggiunge la sua totale energia. Studiando T Alma Mater si convinse che fra tutte le istituzioni dell’ Impero, è questa che concorre più efficacemente a formare la patria tedesca. Se la scuola popolare fa il soldato, l’Università ne pre- para i capi. Là si esercita il braccio, qui la mente. Il giovanetto all’Università acquista la vera coscienza della sua razza, entra in relazione coi poeti, cogli scienziati, coi pensatori e con tutte le alte individua- lità , che sono la personificazione più splendida della patria. Qui egli nutre lo spirito studiando la storia dei suoi avi, e raccoglie con entusiasmo dalle labbra dei suoi maestri la profezia dei destini gloriosi della sua razza e della sua nazione. È nell’Università che vive, palpita, cresce, si solleva Tanima della Germania. Mercè questa disposizione naturale e questo Gerrna nismo dell’educazione, il giovane tedesco esce dalle scuole un vero e puro tedesco, e, una volta ch’egli è entrato nella vita pubblica, la patria non tema di ve- derselo sfuggire. Essa lo incorpora nel democratico ordinamento del suo inesorabile militarismo. In questo modo si mantiene e si fa ognor più grande il patriot- tismo tedesco, die penetra ogni cosa, die anima tutte le istituzioni, die raccoglie a poco a poco verso la unità tutti i figli di razza Germanica. Le due correnti alla fine, incontratesi, si provarono sul campo dell’azione. Tremendo fu l'urto del primo scontro, l’eroismo delle armate francesi a Worth e Weis- semburgo : parevano i titani della favola che sfidavano i fulmini di Giove, ma Giove o la forza vinse ! La sorpresa dell’avvenimento colpisce in cotal guisa 1' amor proprio degli spiriti vivaci dei Francesi, che sognavano di fare una corsa trionfale a Berlino, da restarne sgomenti, atterriti, annichiliti, esaltati. Il panico invade gli animi di tutti , e gli eserciti della Grande nazione non combattono ma friggono al semplice apparire dell’ulano tedesco. Chi mai avrebbe detto al grande Napoleone che a Sedan, a Metz, a Bel- fort centinaia di migliaia di uomini si sarebbero dati come branchi di greggi al nemico ? Eppure quei militi erano gli stessi che caddero da eroi a Worth ed a Weissemburgo, prima cioè della sconfitta.—Nè gli ef- fetti della paura si limitarono al semplice esercito: tutta la Francia fu invasa dal timor panico. L. Lunier in seguito ad un’inchiesta rigorosa fatta dopo gli avvenimenti del 1870-71, sul movimento del- l’alienazione in Francia per conoscere l’influenza della grandi commozioni politico-sociali sullo sviluppo delle alienazioni mentali—viene alla conclusione che la pre- disposizione ereditaria, la quale ordinariamente prende una parte grandissima sulla etiologia delle psicosi, nel caso particolare delle alienazioni, scoppiate in Francia dopo gli avvenimenti del 1870-71 e poscia, spiega una parte secondaria. L’inquietezza prodotta dallo avvici- narsi del nemico; la paura e l’angoscia di essere chia- mati sotto le bandiere; la partenza di una persona ca- ra; le fatiche fisiche e morali della guerra, segnatamente nell'assedio di Parigi; le emozioni provate durante una battaglia o un bombardamento; i cangiamenti di posi- zione o di fortuna risultanti dagli avvenimenti; l’an- goscia causata dalle novelle dei rovesci; l’eccitazione politico-sociale ; l’occupazione del paese dal nemico ecC- furono tante cause determinanti, in quel turno di tempo, le alienazioni mentali. Le ime, dice Lunier, non agirono che indirettamente, provocando delle emo- zioni che spesso, in tempi ordinarii, sono cause di fol- lia, ma che, durante il 1870-71, furono più numerose e più accentuate; le altre agirono direttamente sull’in- dividuo, come si avverò nei Dipartimenti minaccia- ti od occupati dal nemico; le altre furono comuni per tutta la Francia. Verosimilmente Garibaldi dovette avere un gran sen- tore di quanto sia funesta la paura e contagioso il pa- nico. Egli, anche con un manipolo di audaci, non at- tese mai l’esito di una battaglia, che iniziò sempre con aspetto di vittoria, assalendo sempre per il primo; im- primendo, in cotal modo, nel cervello dei suoi un mo- vimento di coraggio, che, divenuto espressivo, incusse spavento al timido per quanto numeroso ed agguerrito nemico. Senza dubbio fu un colpo di genio quello del- l’Eroe italiano il l.° di Ottobre a Capua. Quando più incerte , anzi pericolanti erano le sorti della giornata e stremato era l’esercito garibaldino, proclamò su tutta la linea la vittoria; sicché mentre il morale di questo fu esaltato, il panico assali talmente il poderoso eser- cito borbonico che si mise in una rotta infrenabile , pazzesca. Uno degli effetti più terribili della paura è la para- lisi, che non lascia più fuggire né difendersi. Le storie delle battaglie e degli eccidii, le cronache dei tribunali sono piene di stragi paurose, dove il terrore soffocò nelle vittime perfino l’istinto della fuga. Ma come suc- cede che sotto l’impeto di una emozione potente, cessa l’imperio della volontà sui muscoli e manca 1’ energia per schermirsi? Gli è, dice A. Mosso, perchè fra i cen- tri della volontà ed i muscoli vi sono dei legami che possono sciogliersi in certe circostanze. Ma come si effettua questo stato emotivo capace di smontare o me- nomare l’imperio della volontà, donde il facile river- bero degli atti riflessi? —Ciò è determinato dall’espres- sione, massime della faccia, che presentano i primi colpiti dalla paura, appo i quali il movimento cere- brale si è trasformato in movimento espressivo, che con le onde visive, associate o non alle auditive, come lampo contagia la generalità. « L’occhio esamina con tale rapidità la faccia umana, che non si potrà mai colle parole dare una imagine delle minute particola- rità e dei cenni sfuggevoli che noi vediamo comparire e scomparire sul volto nelle emozioni.... Quando di- ciamo ad un amico «devo darti una cattiva notizia» si fa in lui un improvviso cambiamento nel volto, nello sguardo, e nel gesto che ci commuove: ma non vi è arte della parola che valga a ritrarlo, perchè, non si possono misurare gl’impercettibili cambiamenti, che succedono nel moto degli occhi, nella dilatazione della pupilla, nel colorito delle guancie, neH’incresparsi delle labbra, nella dilatazione delle narici, nell’affrettarsi del respiro, nel gesto delle mani, nell’atteggiamento della testa e del tronco». Inoltre l’eccitazione soverchia nei centri nervosi sospende l’armonia degl’intenti.nella con- trazione dei muscoli. La mano trema; si produce un tentennamento continuo, e gli organi del corpo, se- condo la rapidità con cui scattano i muscoli, oscillano, tremolano e vacillano, senza che la volontà possa do- minarli. Infine nel dolore intenso determinato nel caso dalle emozione della paura si cambia l’intona- zione della voce, perchè i nervi che fanno movere i muscoli del laringe, non tendono più regolarmente le corde vocali. Alcuni non sono più capaci di parlare e balbettano. È diffìcile intonar forte e sostenere una nota a pieni polmoni, senza, che la voce tremoli, come non si può gridare lungamente senza che la voce di- venti stridula e rauca (A. Mosso, La paura). Con 1’ istessa legge potremo spiegare cèrti fenomeni sociali che sovente assumono aspetti contagiosi, come il Suicidio, i Crimini, il Nervosismo ecc. Non essendo, nel caso, compito nostro lo studio delle cause molteplici di ordine generale (fìsiche e sociali) o particolari (pre- disposizione ereditaria, costituzione , accidentalità pa- tologiche sopravvenute ecc.), limiteremo le nostre inda- gini al semplice fatto deU’influenza del contagio morale. Suicidio. L’imitazione, ricorda Voltaire, condusse nella medesima famiglia al suicidio del padre e dei suoi due figliuoli con l’istesso genere di morte, e nello stesso anno di vita. Il suicidio , secondo Ebrand, può propa- garsi per imitazione, secondo una specie di contagio morale, resistenza del quale è tanto certa quanto quella del contagio di qualunque altra malattia. All’uopo egli rammenta le epidemie di suicidio avvenute a Lione, dove delle donne , disgustate della vita, si precipitavano in folla nel Rodano; a Marsiglia, dove le giovani si ucci- devano per l’incostanza dei loro amanti: così pure a Rouen, nel 18U6, Ebrand, osservò un gran numero di suicidii. Nessuna meraviglia di ciò che racconta Plutarco, che molte fanciulle di Milesse s’impiccarono seguendo l’e- sempio di una loro compagna, quando la gioventù ma- schile era al campo. L’epidemia cessò appena il magi- strato bandi che i corpi delle suicide sarebbero esposti nudi e colla corda al collo. Tito Livio racconta che ai tempi della carestia in Roma (439 a. G.) molti del popolo annegavano nel Tevere. Famosi nelle storie restano i suicidii fra gli Ebrei quando Tito assediava Gerusalemme; quelli fra Romani nei bassi tempi degl’ Imperatori (1); e delle donne Germane fatte prigioniere, le quali, per sot- trarsi all’ onta di divenire ludibrio dei soldati roma- ni, si strangolavano attorcigliandosi al collo le proprie trecce. Sydenham ricorda che a Mausneld nel 1697 vi fu un’epidemia di suicidio. L’istesso caso fu osservato a Stuttgart nel 1811. C. Livi fu testimone in Siena di tre epidemie di suicidio. NeH’àutunno del 1858 un tale si precipitava da un bastione; pochi giorni dopo 4 altri lo seguirono. Nel gennaio 1862 una povera imbecille si gittava nel pozzo; 3 persone la imitarono. Nell’ estate del 1865, 5 povere ragazze l’una dopo 1’ altra si precipi- tarono dalla finestra a causa di passioni amorose. Per (1) Sydenham ricorda la feroce epidemia di suicidio che si svi- luppò fra Messicani e Peruviani dopo la invasione Spagnuola. In India basta che pochi fanatici si gittino sotto il carro sa- cro di Visnù perchè 1’ entusiasmo od il contagio suicidico in- vada la folla. Morel avverte di usare vigilanza massima nei manicomii appena si avvera un caso di suicidio. ia stessa causa nel 1863 a Basilea molte serve trova- rono la morte nel Reno. Nel 1772, 15 Invalidi si appiccarono successivamente, in uno spazio di tempo assai breve, ad un uncino che si trovava in un passaggio oscurissimo dell’ Ospizio. Tolto l’uncino ed aperto al suo luogo una finestra nel muro i suicidii cessarono tosto. Un soldato si uccise in. una galitta, altri soldati seguirono questo esempio fino a che Napoleone l.° non ordinò si bruciasse la galitta. Un ordine del l.° Console bastò, nel 1802, a far cessare le morti volontarie divenute frequenti nell’armata. Ogni giorno noi vediamo che i suicidii, i quali fanno un certo rumore o presentano delle circostanze bizzarre , sono seguiti da suicidii simili e compiuti nelle identiche cir- costanze. Lo stesso avviene, quasi infallibilmente, quante volte un individuo si precipita dall’ alto di qualche picco, o da alcuni edificii come dalle torri di Notre-Dame , dalla colonna Yandòme, dalla Torre di Londra, dalle torri pendenti di Pisa e di Bologna. In Napoli gli Sviz- zeri solevano mettere fino ai loro giorni precipitandosi dal ponte della Sanità. L’ esempio fu fatale, giacché co- testo luogo fu preferito da molti suicidi. Posta una rin- ghiera al ponte non si è dato più un caso di suicidio dall’alto. Molti inglesi , ad esempio di un cotai Lord, trovarono la morte nei gorghi del Vesuvio. A Milano, è noto, molti annegano nel Naviglio, come a Roma nel Tevere. È risaputo che 1’ impiccamento giudiziario o volontario è stato spesso seguito da suicidii, specialmente da parte delle persone impressionabilissime, per timide che sieno, come i fanciulli. E. Morselli, che ha molto studiato l’argomento, par- lando delle influenze sociali sullo sviluppo del suicidio, dichiara che 1’ esame anche superficiale delle cifre re- lative ai varii paesi d’ Europa, conduce facilmente alla convinzione che la civiltà , od il perfezionamento in- tellettuale, agisce in senso favorevole alle tendenze per il suicidio. I popoli selvaggi e barbari mostrano poca propensione al suicidio. Questo aumentò ai tempi quando in Atene, in Roma , in Cartagine e in Oriente si rag- giunse un grado altissimo di civiltà, accompagnato dalla diminuzione del senso religioso; diminuì durante il Me- dio-evo nell’Europa barbarica e feudale, per ridivenire frequente all’epoca del Rinascimento, e per subire grado grado un continuo progresso nei paesi centrali , dove tre secoli or sono, fu proclamato conlaßiforma il gran principio della libertà di coscienza, che abituò l’indivi- duo ad esercitare le proprie attività con maggiore ìndi- pendenza ed autonomia. Infatti l’autonomia del pensiero da ogni autorità coercitiva ed il suicidio (autocheirià) vanno di pari passo non solo in quanto alla statica, ma anche riguardo alla dinamica delle cifre. Che, cioè, da un lato le popolazioni più civili e colte, e mentalmente libere d’ Europa, offrono un’intensità altissima di morti violente, paragonata a quella delle popolazioni ancora assoggettate al predominio di un’autorità religiosa su- periore, oppure ancora non scevre di vincoli tradizio- nali ad onta del loro elevatissimo benessere materiale ed economico (allude all 'lnghilterra) : dall’altro il movi- mento annuale numerico, durante il nostro secolo, mo- stra un progressivo incremento del suicidio di fronte all’innegabile diminuire delle credenze religiose. Ma, sog- giunge Morselli, non meno del mancante o menomato sentimento religioso influisce la cultura sulla determina- zione al suicidio. Dopo un largo studio comparativo internazionale, egli viene alla conclusione che il suicidio è prevalente colà dove la civiltà é più innanzi. Cosi, ad esempio, egli trova che nell’ Italia superiore e centrale, dove i giornali letterarii e scientifici sono più diffusi, la cifra dei suicidii è superiore di moltissimo a quella che offre l’ltalia meridionale, dove la lettura è meno diffusa. Questo fatto proverebbe che il suicidio aumenta colà dove i bisogni psichici si moltiplicano e si elevano, e dove Tuomo esercita il proprio cervello nei lavori richie- denti un maggior dispendio di energia funzionale. Fu riconosciuta molto rilevante l’azione esercitata dallo ambiente dei grandi centri nella determinazione di certe affezioni psichiche (follia, suicidii, delitti ecc.), a differenza dello ambiente rurale, dove la vita è più uniforme e tranquilla. Ultimamente Tarde, nella Revue philosophique del Ribot, ha ripreso la dottrina, secondo cui Yistinto imi- tativo sarebbe ]a b?PSe di tutte le istituzioni ed azioni sociali. Per quanto tale concetto paia esagerato tuttavia dobbiamo riconoscere che la storia del suicidio, nelle grandi agglomerazioni umane, porge un argomento in favore dell’ opinione del sociologo francese, poiché essa mostra numerosi e quasi quotidiani esempii d’imitazione, o, come suol dirsi, di contagio morale, specialmente dove sono uomini assoggettati alle stesse norme ed alla medesima disciplina (esercito, marina, istituti educativi, carceri, conventi ecc). E un fatto ormai osservato comunemente, rifletteva C. Livi, che in un paese, in una città— nelle grandi città specialmente non avviene un suicidio, il quale dopo qualche giorno non sia seguito da altri. La ragione di questa terribile contagiosità è facile ad intendersi. In cotesti centri sonvi delle persone le quali o per tedio della vita, o per avversità di fortuna, o per malattie fì- siche penosissime, od anco per vera frenosi, covano nell’ animo ilproposito o la inclinazione al suicidio: una predisposizione vi è sempre. Se manca la causa occa- sionale forse cotesta predisposizione non si tradurrà mai in atto ; ma se una causa occasionale sopravviene im- provvisamente, la spinta è data e l’effetto non può man- care. Nel caso in esame il mal esempio appunto diventa la causa impellente; le cause disponenti sono varie se- condo le persone; la impulsiva è una sola (1). Anche Descuret avvertiva quanto deleterio sia il con- tagio morale nella irrompenza del suicidio. I libri, egli dice, che fanno l’apologià, i teatri che tante volte li met- (I) Un giornale di Napoli (il Corriere del mallino, 2 settembre, 1887) riferisce che un giovane ufficiale, figliuolo di un ammira- glio, dietro passione amorosa per una donna galante, rimprove- rato dal padre, si è ucciso con un colpo di pistola ; 5 anni or sono un altro fratello, della stessa età, per la stessa causa, nelle identiche condizioni, con l’istessa arma, aveva tentato il suici- dio.—ll Pungolo di Napoli (16-17, ottobre, 1887) riferisce che un giovane prussiano attaccato al saliscendi d’una finestra delle strisce di mussola, tentò di suicidarsi, preoccupato di un fignolo che gli era sorto sul braccio, del quale, secondo una zingara gli aveva vaticinato, doveva morire. Un anno fa un fratello di lui, non sapendo resistere a grave malattia, si era dato la morte im- piccandosi nella stessa guisa. Fazio. tono in scena , i giornali che sogliono descriverne la triste realtà, i romanzi che ne fanno l’apoteosi, sono cause molto più dirette di questo contagio. La signora di Stael dichiarava di aver provato in gioventù questa malaugurata tendenza: ma in seguito, avendola supe- rata, notò che la lettura del Werther di Goethe aveva prodotto più suicidii in Germania che non tutte le donne di quel paese; nella stessa guisa che i Masnadieri di Schiller invogliarono tanti giovani tedeschi alla vita avventurosa dei fuorbanditi. James Sanderson assicura che il suicidio divenne immensamente frequente in In- ghilterra dopo le apologie fattene dai Donne, dai Blount, dai Gildon. Ludovico De Corqeilles afferma che il sui- cidio è aumentato moltissimo in Francia, dacché si è incominciato a scrivere in suo favore (1). Anche il no- stro compianto Pietro Castiglioni rilevò che la lettura del Jacopo Ortis di Foscolo segnò in Italia il principio dell’aumentarsi del suicidio. Che la stampa spieghi una efficace determinante in- fluenza al suicidio, ciò è confermato dal fatto dello ac- crescimento improvviso e rapido dei suicidii, che se- guono certi casi rumorosi, e dalla uniformità nella scelta dei mezzi. Così il suicidio, che segui il pietoso caso di una colta e distinta fanciulla fiorentina, oriunda estera, che pose fine alle ambasce del disinganno , respirando clorofor- mio, fu imitato immantinente da altre fanciulle del pari tradite dai loro amanti. Yarii casi occorsi in Milano di giovani amanti, che finirono asfissiandosi con l’ossido di carbonio dei carboni accesi, trovò un’eco in tutta Italia, Il suicidio di un geniale ingegnere, che precipitò presso Sorrento da una rupe, fu seguito da due altri. Nel momento che scrivo, un egregio giovane milanese, deformato dal vainolo, si è precipitato da un 5° piano appena dopo lettura dei giornali di Milano, che an- nunziavano cosi la fine di una gentile signorina. Sono a tutti noti un certo picco , presso la bisca di Montecarlo, dove fanno il volo alcuni disgraziati, ed un (1) I suicidii in Francia, durante il 1885, ascesero a 7,576! certo luogo dove altri si scaricano delle revolverate! Il caso di uno sciagurato che mise fine ai suoi giorni sotto le ruote di un treno ferroviario fu seguito subito da molti altri. Cosi potremmo dire dei casi di appiccamento, di annegamento , di avvelenamento ecc. Ricorderemo per ultimo l’epidemia di suicidio che ricorse nell’eser- cito nostro dopo l’eccidio nella caserma di Pizzofalcone. Dietro i varii esempii di attentati ai superiori, che mi- sero capo a quattro fucilazioni, si avverò nell’esercito un’epidemia di suicidii, quale deviazione alle tendenze omicide, determinata dal timore della fucilazione. Il fatto del contagio suicida, a mezzo della stampa, preoccupò tanto gli animi appo noi, per cui, ad inizia- tiva della nostra Società Italiana (V Igiene (anno l.° 1879), la stampa milanese unaniraamente rivolse un caldo invito a tutta la stampa cittadina, affinchè soppri- messe dalla cronaca ogni notizia relativa ai tentati suicidii; promettendo di non accordare quindi innanzi pubblicità ai fatti di simil genere; dichiarandosi altresì disposta di rinunciare alle informazioni che intorno a tale soggetto vengono date dalle varie autorità. Sven- turatamente però la stampa non fu fedele al fatto pro- posito; la cronaca dei suicidii restò aperta, ed i casi di questi si ripetettero secondo la solita legge!. Crimini.—Fu al certo una vera rivoluzione che l’e- tica ed il diritto penale, basati sul libero arbitrio, su- birono dacché le azioni umane furono misurate alla stregua dì fattori molteplici, quali inerenti all’essere individuale (atavismo, inneità, acquisizioni, accidenta- lità patologiche ecc.), quali inerenti allo ambiente ester- no, vuoi di natura fisica, vuoi di natura sociale. L’an- tropologia adunque e la sociologia positiva, combinate insieme , vennero alle soluzioni di ardui problemi mo- rali , che non potettero giammai essere risoluti dalla filosofia tradizionale , la quale , manchevole di sicure nozioni biologiche, si dovette accontentare di studiare l’uomo astratto , fuori di sè , come una espressione di soffio divino dato alla prima creta. Appena i filosofi della rinascenza (Bruno , Telesio, Campanella) lo intravidero nella natura e Vico nella storia. Non è nostro compito 1’ addentrarci nelle generose e feconde dispute in cui gareggiarono le due correnti, 1’ antropologica e la sociologica , ed in cui la patria nostra, come ieri per il diritto classico , vanta oggidì distinti rappresentanti (1). Filippo Turati, dietro le statistiche di Messedaglia, comprovanti una tendenza generale all'aumento della recidiva, esclama: Le carceri preparano la recidiva. Enrico Ferri, anche sulle basi di molti dati raccolti e vagliati nello studio della recidiva, trova che i delin- quenti pazzi o semipazzi, nati incorreggibili, eà abi- tuali sommano appena al 40°/ o di tutta la delinquenza, il 60°[o della quale è fornito dai delinquenti per passione e d'occasione. Rimane assodato dunque che la grande maggioranza o la quasi totalità della delinquenza, è rappresentata; l.° da delinquenti per abitudine acquisita, i quali, scrive Ferri, pur non avendo i caratteri antropologici del delinquente nato , tuttavia, dopo commesso per una disgraziata occasione il primo reato, assai spesso in età giovanile , perseverano nel delitto e ne acquistano T abitudine cronica, perchè la carcere li ha corrotti, Talcoolisrno li ha inebetiti e la società abbandonandoli prima e dopo l'uscita del carcere alla miseria, all'ozio, (1) Mentre scrivo fervo una dotta e feconda discussione fra egregi amici, il Dr. Napoleone Golajannied il Prof. Cesare Lom- broso, in seguito all’importante pubblicazione di Golajanni: La delinquenza della Sicilia e le sue cause— Golajanni, sulle basi dei fatti, afferma che il delitto, essendo un prodotto dei fattori so- ciali, muta e si trasforma, si attenua o aumenta colle trasforma- zioni che i medesimi subiscono e diviene un prodotto essenzial- mente storico. Lombroso, senza negare la parte che i fattori sociali, l’ambiente storico, prendono nella irrompenza del de- litto, troverebbe incompleta la tesi non tenendosi conto dei fattori antropologici,_ i quali, a dir vero, rappresentano le con- dizioni predisponenti, fondamentali per il delinquere, senza di cui i fattori storici riuscirebbero deboli o nulli. Componendo insieme i due elementi (sociologico ed antropologico) la nozione della delinquenza si completa. alle leni azioni, non li ha aiutati nella lotta per il riac- quisto delle condizioni della vita onesta: quando pure non li ricacci quasi forzatamente nel delitto con certi istituti, che dovrebbero essere preventivi, ed invece al- tro non sono che nuova cagione di delitti, quali il do- micilio coatto, 1’ ammonizione, la sorveglianza (Nuovi orizzonti p. 50).—2° dai delinquenti così detti d'oc- casione, che, non nati al delitto, vi cadono per l'incentivo delle tentazioni offerte dalle condizioni personali e del- 1' ambiente sociale e non vi ricadono se queste tenta- zioni scompaiono (55). Turati trova che tutta questa enorme massa di rei deve considerarsi come il prodotto specifico di fattori sociali ed in particolare del mal or- dinamento economico (79). È vana e stolida cosa, egli dice, il perdere interi anni alla discussione teorica d’un articolo di codice, o l’andar cercando ad ogni speciale reato singoli rimedii e sostitutivi, dimenticando che quand’ anco si riesce a diminuire le occasioni di un dato delitto, il virus criminoso sociale eromperà in delitti più o meno affini poiché un reato è il derivativo di un altro reato e lo conferma lo studio della recidiva im- propria che ci svela come i delinquenti passino con grande indifferenza da una ad altra sorta di reati (127). Nè consegue da ciò che come si ha un ambiente ne- vropatico, suicidico ecc., si può avere un ambiente spe- cificamente criminoso che è la carcere, fomite di auto- contagio criminoso. La legge della trasmissione del movimento espressivo o della influenza suggestiva trova anche per i crimini la sua applicazione. I luoghi di pena, come sono og- gidì fatti , lungi dal migliorare lo stato etico del delin- quente lo aggravano. Una volta io credeva alla facilità della riabilitazione dell’uomo e delia donna che cadono nel vizio. Ora, vedendo sulla scranna dei rei un giovinetto condan- nato e menato nell’ambiente della carcere, provo una fitta al cuore, come quando vedo la fanciulla o la moglie commettere il primo fallo. L’esperienza e la ragione mi lasciano pensare che pende una fatalità inesorabile su- gl’infelici messi in quelle vie, avvegnaché sui medesimi operino fattori molteplici della delinquenza o della per- dizione , quali inerenti alla costituzione organica e psi- chica degl’ individui, quali dipendenti dalle condizioni esterne dell’ambiente fisico-sociale. Elementi tutti co- spiranti intorno, che avvinghiano come spira tenace gli sciagurati. La china del precipizio è segnata, il nucleo è divenuto valanga ; sicché , per una tal quale legge di gravità , gl’ infelici inesorabilmente sono trascinati nell’abisso. La lue ha invaso 1’ organismo, non vi è vac- cinazione che possa premunire od arrestare il morbo invadente! C. Lombroso, fin dal 1870 (.L'uomo delin- quente■), rifletteva che principalissima fra le cause dei delitti associati e degli sporadici è la degenza nelle carceri, che non sieno costruite a sistema cellulare. Quasi tutti i malfattori : Maino, La Gala , Lacenaire , Souflard, Harduin furono fuggiaschi dalla galera, e scel- sero i loro complici fra i compagni che vi avevano dato prove di audacia e di ferocia. La prima origine, il fo- mite, da cui irradiano la camorra e la mafia, è sempre la carcere. Il riformatorio è un vero modo di erudire rapidamente gli accoltivi nel crimine, poiché nei gover- nativi vi sono quasi sempre confusi i minorenni, ospi- tati coi corrigendi e spesso coi pretesi pazzi, condannati a custodia. Vengano da classi basse od alte, siano adulti o piccini sono abbandonati a loro stessi alla scuola del vizio e del delitto. Ogni causa, soggiunge Lombroso, che aumenti i contatti reciproci moltiplica sempre la delin- quenza in quell’ età che, non essendo abbastanza tenera per potersi correggere e modellare , è più espansiva , più incline all’imitazione del male, verso cui natural- mente pencola e per le più violenti passioni e perla man- cata educazione e pel minore criterio {Sull'incremento del delitto in Italia, 1879). Come nelle carceri così fuori, l’esempio a delinquere è contagioso. In certi momenti di concitazione popolare, pochi esempii di sangue sono sufficienti a destare un vero contagio omicida : basta ricordare i circhi romani, ai quali prendevano diletto fin le giovanotte; gii eccidii di Siila; le nefandezze dei Borgia; gli eccidii seguiti alle lotte religiose durante tutto il medio evo, di cui è famosa la Notte di S. Bartolomeo ; le giornate di set- terabre o quelle del terrore a Parigi (1); la ferocia delle orde di Ruffo nel 1799 in Napoli; il brigantaggio; infine la guerra stessa può considerarsi una palestra di con- tagio omicida. 11 sangue, esclamava quell’anima candida di C. Livi, chiama sangue! Si è osservato che i ferimenti e gli assassini! sono frequenti tra’macellari, fra quelli cioè che maneggiano il sangue Quando Carlo YI impazzi, il Conte di S. Paolo, governatore di Parigi, assoldò una milizia di 100 beccai. Codesta rea masnada si abbandonò a tal furore omicida, da spaventare non solo la parte avversa, ma coloro stessi che l’avevano formata. Il clamore dato ai fatti immorali e scandalosi d’ogni specie sia dai giornaletti di racconti criminali, di na- tura commoventi e per conseguenza molto attraenti; sia dalla bassa letteratura che sceglie per obbietto dei suoi romanzi gli atti più immorali, reali od imaginarii; sia dalle scene teatrali, nelle quali tutte le cattive passioni sono continuamente messe in rilievo; sia dalle stampe illustrate che eccitano vivamente la imaginazione del popolino contribuisce in una maniera fatale alla ri- produzione dei medesimi fenomeni. L’influenza disastrosa di questo genere di pubblicità ormai è riconosciuta dai penalisti. Quando un grande crimine è commesso, in ispecie se la vittima od il delinquente sono attori importanti, e se il misfatto è contornato da scene drammatiche, capaci di esaltare la impressionabilità del volgo , vi è sempre la possibilità che il crimine possa riprodursi sotto iden- tiche forme e circostanze (2). (1) Lamartine, nei Girondini, narrando le giornate dell’ agosto e settembre 1792, ricorda le orgie di sangue, che assunsero un aspetto di monomania omicida, specialmente fra donne fa- natiche, alla cui testa emergeva un mostro, la Théroigne de. Méricourt, orribile impasto di ninfomania e di tendenze omicide. (2) Noi richiamiamo la maggiore attenzione sulla influenza, che esercitano la stampa ordinaria e più quella illustrata sugli animi di tutti, nel caso di scene immorali, criminose. Il disegno rappresenta un linguaggio naturale, vivamente espressivo, che tutti comprendono, dall’uomo più ignorante all’uomo più colto, Despine, ricordando che l’immensa pubblicità data al crimine del D.r Laporameraie, di Tropman ecc., ha mol- tiplicato quei crimini o crimini analoghi, soggiunge: quando le popolazioni hanno lo spirito occupato dai fatti immorali, criminali, mostruosi, si vede allora prodursi un gran numero di misfatti di ogni specie. Così gli è principalmente quando le popolazioni sono assorbite dai resoconti dei processi criminali i più odiosi ed i più commoventi, come pure all’epoca delle esecuzioni capi- tali , epoca quando i crimini, che hanno dato luogo a questa pena suprema, occupano la maggioranza degli spiriti , che si avvera il maggior numero di crimini . Questo punto merita di essere messo qui in evidenza completa. Le cronache giudiziarie sono riboccanti di questi fatti. Si videro, dopo pubbliche decapitazioni o strangolamenti, dei fanciulli, appo i quali fervida è l’imaginazione e pronti sono gli atti riflessi, ripetere di simili esecuzioni. In Napoli i Tribunali (Vicaria) e le Carceri giudiziarie si trovano nel quartiere della Città il più popoloso. Non è possibile imaginare l’interesse che prende il popolino, ed in ispecie le donne, ai dibat- timenti, ai quali accorre come ad uno spettacolo teatrale, considerando gli avvocati, i magistrati, gli uscieri ecc. degli attori ed il delinquente un protagonista. Ebbene il quartiere della Vicaria è il quartiere dove la camorra ha sua sede , e dove i reati di sangue sono prevalenti. Non meno terribile e funesta nei suoi effetti, ed ugual- mente facile ad apprendersi per suggestione, è la mono- dall’adulto al bambino, il quale può appena balbettare, ma com- prende l’imagine degli oggetti e delie azioni che ha veduto. Il disegno è un linguaggio muto, ma eloquentissimo, che parla direttamente alla imaginazione. Senza interpreti, è compreso da popoli parlanti lingue differentissime ; esso non snatura menomamente il movimento espressivo, e serve perfettamente d’intermediario alla sua trasmissione. Oggidì, che fin gli scato- lini di cerini presentano scene della vita, la pubblicità illustrata è un grandissimo mezzo di diffusione di buoni o di cattivi prin- cipi! morali. La pubblicitàadunque è una potenza di cui non può calcolarsi la estensione e fi efficacia, giacche dai saloni brillanti e dai palagi dorati s’irradia fino nelle capanne e nelle soffitte, per lo più rappresentando scene scandalose ed azioni criminali. mania omicida. Racconta Gali, che un idiota avendo veduto uccidere un maiale, credè di poter uccidere un uo- mo e l’uccise. Lucas ricorda un bambino a 7 anni che strozzò un fratellino, dicendo di avere imitato Pulcinella quando strozzava il diavolo—ll Dott. Bertrand racconta che una dama di altissimo lignaggio volendo curiosare il luogo dove si era consumato un doppio assassinio fu assalita all’istante da monomania omicida. Dopo il fe- roce misfatto consumato da una serva, certa Enrichetta Cornier, in persona di una innocente fanciulletta, di cui parlarono tanto le stampe, il contagio si diffuse al punto che una madre strozzò con le sue mani la propria figliuo- lina. A Dresda certa Guglielmina Strohm aveva assistito, bambina, ad una decapitazione; poscia assistè ad un’altra, La medesima, a pochi giorni di distanza da questa, invita una sua amica a desinare e l’uccide spietatamente. Tropmann e Costa dichiararono di essere stati trasci- nati al delitto dalla lettura l’uno di un romanzo, 1’ altro di un autore greco. Livi racconta che la notizia dell’as- sassinio dell’ arcivescovo di Parigi spinse un prete a ferire il vescovo di Matera, col quale non aveva alcuna ragione di odio. Dufresne avversava soltanto certo De- lauchx; legge il processo di Verger, s’esalta, ed escla- mando: anch'io farò come Verger, uccide quell’infe- lice. A Bergamo, poco dopo il processo Yerzeni, avven- nero altri due casi di strangolamento di donne: altret- tanto accadde a Parigi dopo il processo di Philippe, ed a Firenze dopo quello di Martinati, Nel 1851 a New- York, una donna assassina suo marito; pochi giorni dopo tre altre donne ne ripetono l’esempio. Corridori uccide il preside del Liceo, che lo rimproverava per una giusta mancanza, dopo aver detto: ripeterò il fatto dei pre- side di Catanzaro, vittima anche lui di un motivo simile. E chi non ricorda la mania regicida che, anni addietro (1878-80), ricorse epidemica in Europa, colpendo indi- stintamente tutti i coronati, fino ad avere un’ eco in America sul mite Presidente Garfield, degno emulo di Lincoln, e vittima come questi di un vile assassino?! Chi potrà obliare l’eccidio della sera di Pasqua (1884) nella caserma di Pizzofalcone, che a pochi giorni di di- stanza fu seguito da casi simili nello esercito stesso!? Bouchut, Despine, Moreau de Tours, Livi, Ebrand , Legrand-du-Saulle ed altri, che si sono interessati dell’ar- gomento, si accordano sui danni che la pubblicità novi scientifica apporta alla moralità pubblica, senza di cui, afferma Bouchut, poini de nevrose mentale par imi- tation. In mezzo ai pericoli, da cui è circondata la società nostra, vi è uno che si riproduce ciascun giorno. Dato come pasto a tutti gli oziosi, diviene uno dei loro pas- satempi abituali. Esca al vizio , è pieno di attrazione per la curiosità pubblica; scuola dello scandalo, del cri- mine, del suicidio e della follia, esso favorisce troppo spesso l’esplosione e lo sviluppo di quegl’istinti perversi, i quali, ad un momento dato, sono assai potenti per sof- focare la voce della coscienza, e per precipitare delle anime degradate o delle intelligenze facili a perdersi su questa china fatale che mette capo al bagno, alla cella degli esposti {Morgue), al manicomio. Cotesto pericolo è la pubblicità accordata da tutti i giornali ai lugubri racconti, ai resoconti tragici che riempiono, con una deplorevole premura, la cronaca dei fatti diversi. Se gli archivii della giustizia criminale, se i cartolari della po- lizia vanno incessantemente ingrandendo, non ricercate altrove la cagione. Se l’imitazione contagiosa esiste, e ninno ne saprebbe dubitare a proposito di una folla di atti ordinarli della vita, a più forte ragione la si deve am- mettere nei casi quando le facoltà intellettuali, morali ed affettive sono in giuoco. Ebbene, perchè familia- rizzare i cervelli fragili, le organizzazioni impressio- nabili, i soggetti deboli, cattivi o corrotti, con queste permanenti rappresentazioni di torture, di ferro, di corde e di veleno? Perchè stabilire queste collisioni continue fra 1’ anima pacifica e l’essere cangrenato, 1’ arma del quale ha seminato lo spavento ed il duolo? Che si fac- ciano delle raccolte speciali per i bisogni della scienza, della magistratura e degli avvocati, ciò è evidentemente utile, ma che non si metta nelle mani di tutti questa istrumento di corruzione morale. A tale prezzo vedrete diminuire le cifre, oggidì cosi elevate, del crimine e della morte volontaria (L. du Sanile). Nulla di più facile in certi tempi il vedere verificarsi. un dopo l’altro, un certo numero d'incendii. Forse pel primo o fra i primi vi potette essere un vero colpevole od un piromano, ma in seguito fu il contagio che colpi anche quelli che giammai avevano accennato tale ten- denza. Marc (De la folle considérée dans les rapports avec les questìons medico-judiciaires, Paris, 1840) af- ferma che i molti incendii, avveratisi in Inghilterra, i frequenti e misteriosi incendii che a certe epoche scop- piarono in alcuni distretti francesi (quelli nel 1830 spo- polarono la Normandia), sono riferibili al contagio imi- tativo. Comunità Tutte le comunità (collegi, chiostri, ca- serme ecc.), tutte le piccole raccolte di persone che assumono l’aspetto di caraerille, di caste, dì sodalizii, di consorterie, di corporazioni ecc., partecipano ad un vi- zio comune, che è l’isolamento, Pesclusivismo, l’indivi- dualismo, l’egoismo infine. Tali persone, raggirandosi o vivendo in una limitata ed esclusiva sfera, e sottostando all’iufluenza di una ban- diera o di un principio qualunque, finiscono col subire l’effetto dell' autocontagio suggestivo. Fuori il rapporto della generalità e del movimento storico, a lungo andare perdono il senso comune, il quale è possibile di serbare vivo qualora gli uomini si tengano in continui rapporti colla comunanza e partecipano alla vita attiva, giornalie- ra, universale. Costoro subiscono un lento decadimento psichico che è l’imbecillismo graduato, in mezzo a cui scoppiano, come tremuli guizzi di fiamme morenti, pal- lide idee deliranti. Potremmo qui riferire molti esempii, fra i quali pri- meggerebbero le caste religiose, il militarismo cieco, il burocratismo ecc., ma ci limitiamo ad accennare di volo allo ambiente del manicomio ed a quello degl’istituti di educazione. Si domanda spesso se le persone addette all’assistenza ed alla cura dei folli soffrano mai nulla per effetto del contatto di questi. La vista di tante sofferenze fisiche e morali non può a meno di lasciare tristi impressioni, le quali non solo addolorano l’animo, ma lo plasmano a quelle stesse passioni, cui la nativa indole inclina. Havvi dunque anche nella pazzia il contagio morale, che rende assai pericoloso lo esempio in chi porta nel proprio es- sere fisico-morale certe morbose disposizioni. Special- mente le monomanie istintive, quelle significate da una smania cieca ed inesorabile di fare una cosa, e che sono le più feconde di ed orribili fatti, sono le più contagiose(C.Livi). E noto che, almeno per lo addie- tro, quando i manicomii erano bolgie inumane e veri antri di belve, non pure lo stato psichico dei folli ag- gravava, e rarissima era la reslitutio ad ìntegrum della mente naufragata in queU’autocontagio psicopatico, ma gl’infermieri, i medici assistenti e fino i vari! Direttori finivano col compromettere lo ben dell’intelletto. Oggidì, grazie alla riforma dei frenocomii, non solo i folli si sono messi nelle migliori condizioni di ambienti morali, e le guarigioni sono rese più frequenti e rapide, ma è di molto diminuito il numero degl’infermieri e dei medici, vittime una volta del contagio. Quanto alla influenza funesta che possono spiegare gli ambienti scolastici e gl’istituti educativi, lasciamo la parola al Prof. A. Angiulli (1). «La scuola è insuffi- ciente senza la famiglia ; nella famiglia è il sostrato dell’educazione fisica, intellettiva, morale, estetica, re- ligiosa. In essa s’intessono i primi fili della stoffa men- tale, da cui dipenderanno tutte le attività dell’uomo. In essa dunque si raccoglie tutto il problema pedagogico... L’ educazione della famiglia appartiene, massimamente nei suoi stadii primitivi, alla madre. Dalla madre l’uomo riceve il primo alimento, la prima sensazione, la prima idea, tutta quella serie di elementi fisici e psichici, onde si forma il complesso della sua attività mentale. La madre educa insieme con la mente e col cuore , col precetto e con l’esempio; essa sola è inseparabilmente educatrice dell’intelletto e del sentimento... Sovente si ripete che su i banchi della scuola si decide l’avvenire di un popolo: noi vogliamo dire piuttosto, ch’egli si as- (1) La Pedagogia, lo Sialo e la Famiglia, discorsi di Andrea Angiulli, Napoli, 1886. side sulle ginocchia delle madri. Niente può sostituire la madre, come nessuna scuola può sostituire la famiglia: ed i maggiori mali venuti alla società umana sono deri- vati dall' essersi sconosciuta l’importanza delle madri nell’opera dell’ educazione; sono derivati dall’ aver sot- tratto il fanciullo nella sua età più tenera all’atmosfera benefica della famiglia, per menarlo in un ambiente ar- tificiale creato dai frati e dai preti; sono derivati dal- 1’ oblio della responsabilità morale, che lega i genitori verso i destini dei propri figliuoli. Cotesta abitudine di allontanare il figliuolo durante la sua educazione dal seno della famiglia è, dice il Renan, un fatto immorale, ed è 1’ eredità del sistema introdotto dai gesuiti . che hanno pervertite le idee in fatto di educazione. In ge- nerale l’educazione del collegio è falsa 'perchè si aggira in una società fittizia, contro natura. Quella dei semi- narii è ancora peggiore, perchè aggiunge inevitabilmente alla perversione morale quella delle idee. L’espressione sincera, balda, generosa del giovane è impedita; egli deve reprimere l’evoluzione dell'intelletto, deve piegare gli affetti ad un convenzionalismo spoglio d’ogni simpatia. Guardate i suoi movimenti incerti, impacciati, paurosi; sono il segno della schiavitù dell’animo, è il gesuita che si forma, non l’uomo. Noi ora sogliamo dare il nome di collegiale a qualunque giovane che mostra una grande inesperienza nelle azioni o una grande stravaganza nella manifestazione delle idee e dei sentimenti. li difetto di- cultura morale e di carattere, che si appalesa in così vaste proporzioni nelle classi borghesi e aristocratiche, è un effetto dei collegi e dei nostri seminari Solo dunque nella famiglia è l'educazione di tutto l’uomo; è la repressione dell’ egoismo, la disciplina dell’ ordine , dell’autorità e dell’uguaglianza, la genesi degli affetti generosi, disinteressati, ravviamento alla vita civile. Ci vuole la società dell’uomo e della donna per aversi l’edu- cazione compiuta. Senza la donna l’educazione dell’uomo è impossibile; perciocché ella tempera le attitudini del- l’uomo alla vita comune, e crea l’armonia delle facoltà mentali. Laonde tutta la educazione di un popolo di- pende dall'educazione della donna ». Lanciamo uno sguardo rapido nell’ interno dei cosi detti Educandati nobileschi. Istituiti una volta per le classi aristocratiche, ricche, oggidì sono invasi dalla borghe- sia grassa, la quale , dismesso la sua antica sempli- cità , tiene a scialacquarla da grandi signori. L’ari- stocrazia a sua volta, vedendosi uguagliata per pompa ed eleganza dalla borghesia, fa l’impossibile per ecclis- sarla. Negli educandati le ragazze si avviano non già perchè addiventino compagne fedeli e collaboratrici dei mariti, sibbene si cerca di dar loro lo stampo delle gran- di dame. Epperò la loro mente , da tenerissima età , viene educata ad idee vaghe e convenzionali, a senti- menti indeterminati ed astratti che sotto tinte roman- tiche, iridescenti, esaltano i giovanili spiriti ad un mi- sticismo sensuale, in mezzo a cui pullulano le più stra- ne idee di grandezza. Queste fanciulle, così predispo- ste uscendo dagli Educandati sono abbandonate, alle seduzioni di una società detta elegante e per iro- nia scelta . nella quale ha prevalenza una turba igno- rante, presuntuosa, destituita di ogni senso morale, di- sposta soltanto ai facili amori ed agli scandali di alco- va Assai per tempo perdono la verginità dell’anima, le caste illusioni della vita, e si sentono già scettiche, esauste, decrepite, in mezzo al rigoglio della loro vita giovanile!. La educazione dunque, che tali fanciulle ri- cevono, fa raccapriccio. In esse tutto è contemplato me- no la parte del cuore. Alle medesime non si parla che di moda, di teatri, di saloni, di veglioni, di balli , di svaghi ; niente che valga ad elevare loro lo spirito , niente che miri agli alti ideali dell’umanità. Invece le sante e vere gioie della famiglia , le confortevoli sod- disfazioni dal lavoro, il compiacimento delle nobili a- zioni compiute, sono sostituiti dalla smania per il lus- so, pei volgari godimenti e poi piaceri sensoriali. A conseguire i quali, esigendosi oro e molto oro, le fan- ciulle nel matrimonio non guardano che a trovarlo. Sicché alle medesime poco cale se 1’ uomo , cui si ab- bandonano, non corrisponda alla naturale elezione: pur- ché sia ricco, ciò basta, giacché per esse il coniugio non è un fine bensì un mezzo. Che cosa potremo ri- prometterci da una siffatta ibrida coppia acardiaca ed acefalica, come direbbe Krafft-Ebing ?. Insomma una vera mania di grandezza ha Invaso le classi sociali, avviandole alla perdizione. Special- mente nelle classi superiori, la donna ha imparato a credere che la sua maggiore virtù consista negli splen- dori degli abbigliamenti, nell’arte di eccitare gli sguar- di altrui, nell’ arte di piacere. Ella guadagna le basse lodi di un volgo di ammiratori, e perde la stima di sè medesima, la castità degli affetti, il sentimento del do- vere. Ciò che avanza dei precetti morali è una certa forma che fa mostra bugiarda nei momenti opportuni: ella diventa falsa in tutte le sue espressioni. La let- tura dei romanzi, spesso scandalosi, assorbe tutta la coltura della sua mente, eccitando l’imaginazione e la sentimentalità morbosa. Codesta donna sarà necessaria- mente una cattiva madre, una cattiva educatrice. Ella corrompe 1’ uomo, e la corruzione le ritorna con usura. Avete visto un giornale che si compiace a ritrarre con minute descrizioni i vestiti e le forme di una dama splendente nella veglia della notte passata ? Quella da- ma, leggendo con un sorriso d’ineffabile contentezza 1’ articolo seduttore, crederà da vero essere un suo me- rito la ricchezza esteriore degli ornamenti, e dimen- ticherà le bassezze dell’ anima che questi spesso na- scondono (Angiullij. Quale frutto volete che la società moderna raccolga da cotesti campi seminati a zizzania , da cotesti alberi dalle radici fradicie, da cotesti ambienti contaminati di veleni androgeni corrompitori della mente , del senti- ménto e della fibra organica, quali sono gli Educandati ed i Saloni, i due punti di partenza e di arrivo nei quali move e si completa il ciclo educativo della classe che la fortuna- spesso meccanicamente impone come elemento dirigente ? li Nervosismo —la grande ma- lattia del secolo ecco il frutto! § 5.° Il Nervosismo del secolo Decimonono. Bouchut può dirsi il primo in Francia che diede il nome di Nervosismo a quella sopr accettabili fà del si- stema nervoso, susseguita da facile esauribilità e da diminuita funzionalità del medesimo, da cui l'irrita- ble debility degl’inglesi. Tale affezione, essendosi or- mai diffusa in tutti i paesi civili, può dirsi la Malattia del Secolo. In America Béard, comprendendola sotto il nome di neùr ostenta, ebbe opinione che fosse a preferenza un morbo americano. Il che veniva confermato recente- mente (1885) dal Dr. Comings , il quale, studiando la questione, si è convinto che il popolo della Nuova In- ghilterra specialmente offre una larga proporzione di stati eccessivamente nervosi. E ciò per la vita affret- tata ed affannosa dell’ultimo quarto di secolo, la quale, obbligando tutte le facoltà individuali ad un lavorìo in- cessante ed esagerato, à prodotto in molti il facile esau- rimento. Secondo Comings, il cresciuto numero di mor- bi, non dipendenti da lesioni organiche ed attribuiti per lo più a causa ignota, deve ritenersi prodotto dal nervo- sismo. Essi costituiscono delle fasi di questa alterazione. Una gran parte di tali infermi non è insana, pur ra- sentando l’epilessia e la follia. Il nervosismo dunque sarebbe caratteristico del popolo della Nuova Inghil- terra, il quale porta la fretta anche nelle sue ricrea- zioni. Gli Americani, per tradizionale abitudine, hanno di caratteristico l’irrequietezza , il sopraeccitamento, 1’ eccessiva premura , tanto nella loro vita quotidiana quanto nei tempi anormali, sia nello stato di sanità sia d’infermità, vuoi in patria vuoi fuori. Questo mo- dus vivendi trasparisce in tutte le loro azioni; ed il nervosismo accenna a divenire una proprietà delle co- stituzioni scadute ed a complicare la sintrome di molte vere malattie. « L’ attuale generazione, esclamava appo noi Paolo Mantegazza , stracca senz’ aver lavorato, sfiduciata di tutto senz’ aver provato la benedizione della fede, pro- saica non per odio per la poesia, ma per assoluta igno- ranza di essa, spregiatrice perchè spregievole, verista senza aver mai veduto il vero, senza idealo per man- canza di sensi ad intenderlo e di braccia robuste per conquistarlo, questa nostra generazione ipocrita, iste- rica, viziosa senza passione, scettica senza diritto al dubbio, criminosa senza passione e destinata solo a ser- vire d’intermezzo fra due grandi epoche della storia; ha avuto fra i tanti gusti morbosi anche quello di por- tare i tisici sul palco scenico e nel; romanzo, spargendo una falsa poesia sulla tosse e la sputacchiera. Era giu- sto ! Nel campo deH’amore non sa ispirarsi che alle ete- re ; nel campo del dolore si è innamorata del catar- ro!.. Io dovendo classificare il nostro secolo, in un me- todo tassonomico qualunque, lo chiamerei addirittura il secolo nevràsico, mentre poi in ordine morale lo di- rei tartufo , e in ordine intellettuale poy'nografico. A questo nervosismo della nostra epoca si attaccano poi come problemi secondarli i cresciuti suicidii, la crimi- nalità. le rivoluzioni sociali, la incontentabilità univer- sale, le mille bestemmie lanciate contro la vita e chi ce l’ha data. La vita ferroviaria e telegrafica (—ag- iungasi la teletonica —), che menano moltissimi uo- mini della classo media e della classe alta, rende ogni giorno più frequenti le malattie nervose e mentali ; e son sicuro che non passeranno molti anni, senza che si senta il bisogno d'istituire un’inchiesta sopra il ner- vosismo generale di tutta la società moderna ». Giulio Lafage, in un accurato studio biologico-psichi- co sul Nervosismo au XIX e siècle premesso che il nervosismo d’ordinario è il preludio dell’alienazione mentale, a più o meno breve scadenza, stante l’esage- rato funzionamento della sfera sensorio-psicomotrice : oltre alle conseguenze scaturite dai possibili disquilibrii della irrigazione cerebrale trova la sua principale movenza negli eccessi di natura materiale e morale, Parrebbe che le emozioni d’ ogni natura, l’ardore del guadagno, 1’ amore della gloria, 1’ amore del lusso, 1’ a- more esagerato di un sentimento alle volte nobile , i commovimenti prodotti dalle rivoluzioni quasi perio- Fazio. diche dell’ epoca nostra, imprimono, appo certi indi- vidui, un lavorìo vibratorio cerebrale esagerato, pre- sentando tutti i sintomi di un’iperemia congestiva. Chec- ché ne sia e quali siansi le sue cause, la malattia esiste, e bisognerebbe essere perfettamente cieco per non ve- dere che giammai più grande eccitazione e più gran- de agitazione esistettero appo gl’individui. I cittadi- nifrancesi sono oggidì come altrettanti aghi calamitati, i quali si mettono ad oscillare appena sentono la vi- cinanza d’ una corrente magnetica. E la politica che li ammattisce ( affale) e che, poco a poco, li mena nello stato di nervosismo. Il fatto sta che, se ciò dura qual- che tempo ancora, la Francia è sulla vìa di divenire inabitabile dalle persone sagge. I mutamenti politici eh’essa ha subito, è circa un secolo, hanno esercitato sul temperamento nazionale una terribile influenza. Le alternative consecutive di gloria e di disfatte, di li- bertà e di dispotismo, 1’ hanno disorientata. Per giunta, come si darebbero eccitanti ad un ma- lato, lo stato del quale esige pozioni calmanti, la Fran- cia è stata curata col suffragio universale (Lafage). Si è fatto, cioè, tutto il possibile per consentire al morbo di estendersi e per far penetrare il nervosismo politi- co fin nel cuore della nazione. In effetti oggidì non vi è luogo pubblico ove non s’ incontrino gruppi di tali malati. Altre volte si andava al caffè per sorbire la mezza tazza e per fare la partita. Era una specie di riposo nella giornata di lavoro. Oggi è tutt’ altro :il caffè diviene una specie di tribuna ove gl’ interessi del- la nazione sono discussi con tanta foga come nelle sale del palazzo Borbone e nei gabinetti di redazione dei giornali. « Io non parlo, dice Lafage, bene inteso, dei grandi caffè dei doulevards, ove gli stranieri sono in gran numero, ed ove non sarebbero punto tollerate quelle discussioni atte a far fuggire la clientela , ma dei caffè dei quartieri ove le stesse persone si ritrova- no alla medesima ora, ed ove, nel breve tempo quanto basta a vuotare uno chope, vi menano giù tutto un si- stema politico e tutto un governo , con quella imper- turbabile serietà che è uno dei più grandi sintomi del- la malattia. Io non vorrei dire che la definizione della vertigine critica, così come la dà il Dr. Bouchut, cioè 1’ agitazione del bello e del vero, vi riceva sempre ima formale smentita. Gli è certo che il buon senso vi ri- mane assai malmenato, e la nozione del giusto e del- l’ingiusto n’è spietatamente sbandita. Ciascuno ritorce le cose a verso suo; sopprime, con una parola, quanto gli fa fastidio , e ciarla di politica interna ed estera con l’intimo convincimento che egli non ha più nulla da apprendere dal canto suo, anzi è in grado di am- maestrare il più scaltro. Dessi son quelli che un di chiamarono il sig. Thiers inetto {Foutriquet ) ; che credevano al loro repubblicanismo quanto lo credeva l’ex-Presidente , ed i quali , valicando di un salto le frontiere, indicavano ed indicano tuttavia i mez/.i per mandare a gambe in aria il principe di Bismarck. I pochi infelici, i quali, durante l’assedio di Parigi, offrivano la vittoria, sol che essi fossero alla testa del- l’esercito, erano colpiti da cotesta malattia allo stato acuto. La maggioranza dei ciarloni di birraria si an- novera fra questi. Sono vittime del nervosismo, il quale li offusca, come l’alcoolismo offusca gli übbriachi : ed in vero, non sono essi sempre übbriachi d’agitazione? In mezzo alio esaltamento del nervosismo, scoppia in molti il sentimento esaltato di sè. Ogni distanza fra le persone èv abolita. Non era forse Cromwell un semplice birraio? È incontestabile che soffia loro un desiderio invincibile d’importanza locale, ed un bisogno persi- stente di credersi qualche cosa. Vi ha un rimedio a a ciò? Bouchut l’afferma ; ma è un rimedio che si pro- duce da sè medesimo, per la forza delle cose, il quale è puramente individuale e senza influenza sulla ma- lattia stessa. Cotesto rimedio dapprima è la ricchez- za , che apporta la sazietà ; poscia la vecchiezza, la quale produce l’atrofia cerebrale. Gli è come dire che gl’individui, colpiti da nervosismo, guariscono presto o tardi: presto se essi arricchiscono ; tardi se le per- sone colpite pervengono alla caducità senza aver sod- disfatto i loro desiderii. Nel primo caso abbiamo la storia di tutte le ambizioni, le quali si spegnono quan- do sono soddisfatte; nel secondo abbiamo la fase di tutte le forze che si esauriscono. Ma poiché il nervosismo è ereditario, ed il suffragio universale gli serve da agente attivissimo, la disposizione di alcune persone non ap- porta punto la diminuzione del male; perchè, se i pa- dri reagiscono o muoiono, i figli si emancipano e suc- cedono loro, per modo che la razza parrebbe condan- nata al nervosismo, se non a perpetuità , almeno per molto tempo. Cotesta forma per altro non è la sola che noi pos- siamo registrare; in effetti noi la rinveniamo presso gli uomini di lettere , i quali ricercano nella letteratura della rinomanza, od un mezzo d’ esistenza a grande conforto delle fatiche e delle veglie. Noi la ritroviamo presso i pittori, gli artisti, i giornalisti, i poeti, presso tutte le persone infine il cui cervello è senza posa te- so, così come la corda di un arco, verso uno scopo ar- dentemente bramato per la sete dell1 ambizione. Qua- lunque sia il movente di una consimile iniezione cere- brale, quegl’individui si affaticano, mangiano poco, dor- mono poco, e, dopo di avere continuato fin sotto l’ori- gliere il piano dei loro lavori, si destano al mattino col corpo quasi spezzato, lo spirito agitato , gli occhi stracchi, gridando, come quel lebroso della città d’ Ao- sta : L' insonnia, ahi, signori, V insonnia \. Segue in coteste persone un dimagrimento rapido , una febbre nervosa di tutti i momenti, la dispepsia; i centri ner- vosi vanno incontro a congestioni ed a depressioni, le quali rifiniscono la polpa cerebrale, e l’influsso nervoso nella sua ripartizione normale nelle varie parti del cor- po; il quadro si complica con allucinazioni, sogni e tre- mori. Non sapremmo come meglio definire questo stato che comparandolo ad un’ intossicazione lenta, analoga a quella prodotta dall’ oppio; caratterizzata come quella da fenomeni d’ eccitazione e di depressione cerebrale. Qual rimedio opporre se non il più naturale ed insieme il più generale, il quale consiste a modificare le pas- sioni, le quali hanno prodotto uno stato simile , cosi come le correnti d’idee troppo fìsse e troppo lunga- mente sostenute" che ne hanno favorita l’esplosione? II sistema nervoso, i nervi, in una parola, sarebbero molto più calmi, se ciascuno sapesse contentarsi della con- dizione in cui il caso 1’ ha messo. In Austria-Ungheria dieci nazionalità si schierano in campi opposti e cercano di farsi a vicenda il mag- gior danno possibile. In ogni villaggio dell’lmpero una maggioranza cieca calca il piede sul collo della mino- ranza , la quale non potendo sempre reagire si finge rassegnata, mentre in cuor suo cova la distruzione dello Impero. In Russia il caos è al colmo. Il senso etico è scom- parso affatto dall’organismo di quel favoloso ed informe colosso dai piedi di argilla e dai cento colori ; la cor- ruzione gli serpeggia nelle vene; una febbre alta, con- tinua, lo consuma, interrotta da scatti o parosismi de- liranti, maniacali, che si chiamano : Tzarismo, slavi- Smo, ani isemismo, costituzionalismo, nichilismo ! I popoli Balcani menano vita convulsa , riflesso del resto dell’Europa febbricitante.—La Spagna trae una esistenza che non è vita.—In Inghilterra, nella flemma- tica Albione—che in apparenza pare, come scrive Nor- dau , abbia il suolo al sicuro e integro 1’ organamento dello Stato se si tende l’orecchio a terra odonsi i suoi fremiti e avvertonsi i sordi colpi dei giganti sotterra- nei che martellano le vòlte delle loro prigioni Le stesso doglianze si deplorano in Germania : ba- sterà consultare la recente brillante Conferenza, fatta dal Prof Richard Freiherr v. Krafft-Ebing a Graz: Ueber Nervositàt. Questo terribile flagello della società moderna che ha invaso oggidì tutte le classi sociali, pensatori e brac- cianti, maestri e scolari, le classi altolocate e le disere- date, se non verrà combattuto a tempo con una edu- cazione fisica e morale severa , menerà , al dire di Krafft-Ebing, fra non molto, la società ad una banca- rotta fìsica e morale. Innanzi di esaminare le molte- plici cause del nervosismo moderno , è bene di tener presente che per conservare la forza nervosa è indi- spensabile : a) il dare una sufficiente nutrizione alla sostanza nervosa ; b) ed il serbare un esatto bilancio fra 1’ accumolo ed il dispendio della forza nervosa, equi- valente all’ equa alternativa fra 1’ attività ed il riposo. Il processo psichico, funzione del cervello, è devo- luto all’ attività delle cellule ganglioniche della sostan- za grigia cerebrale, le quali elaborano dai principii del sangue dei prodotti chimici, i quali rappresentano delle forze tensive, che si rendono vive estrinsecandosQSOtto forma di sentimento, di pensiero, di movimento. E poi- ché quanto più complessa è la funzione tanto più gran- de è l’attività dell’organo e per consenso maggiore essendo il consumo di forze , maggiore dovrà essere l’introito dei materiali ne segue che un sangue me- no congruo alla nutrizione ed all’attività delle cellule ganglioniche , dovrà portare un disturbo al normale funzionamento dei centri psichici, e, del pari, dei cen- tri spinali. Gli è appunto un sangue sano, esclama Kratft-Ebing, che manca alla presente generazione. L’ anemia colpi- sce infatti i due estremi della scala sociale: le classi diseredate, le quali, per il manco di mezzi, non poten- do far uso di sostanze plastiche si abbandonano presto ai pessimi eccitanti (acquavite); le classi ricche, in con- seguenza della vita debosciata che menano, avendo in- fralito i poteri fisiologici, ed in ispecie i digerenti, su- biscono il supplizio di Tantalo per T abbondanza che le circonda ma dì cui non possono usufruire. Gli è proprio in coteste classi in cui si avvera un continuo sbilancio fra T introito ed il consumo della forza nervosa, per conservare la quale è condUio sine qua non l’alternativa fra 1’ attività ed il riposo. Il son- no ripara le forze perdute durante il giorno, lasciando accumolare una sufficiente quantità di forze tensive. Aggiungansi alle veglie prolungate le orgie che posso- no accompagnarle, e si vedrà quale disavanzo si effet- tuirà in tutto V organismo. Quanto alle tendenze morali della generalità, ricor- diamo che vi fu tempo nel quale i buoni antenati no- stri, ciascuno per il verso suo , traeva la vita il me- glio che poteva, accontentandosi di ciò che era in grado di produrre. L’ operaio non la sfoggiava da gran si- gnore, l’impiegato subalterno non invidiava il suo di- rettore perchè vestiva meglio di lui ed aveva una ca- sa corredata meglio della sua. Oggidì una sete insazia- bile e sfrenata di oro unico mezzo per procacciarsi tutti i gusti e le basse passioni —ha invaso la gene- ralità. Oro, niente altro che oro, ecco il supremo idea- le, il Nume adorato della società nostra!.— Ma non è a tutti facile il procacciarsi dell’oro; col lavoro me- todico ed onesto non vi si arriva.. Nocturna manu et diurna, il povero cervello è messo a tortura per la ricerca di espedienti , sieno pur disonesti , umilianti (che monta ! ?) pur di procacciarsi questo Monseirjneur ! In cotesta continua tenzione dei centri psichici , in cotesti incessanti sbalzi e sussulti dei nervi cerebrali, il nervosismo mette le sue prime radici. La classe che maggiormente risentirà i tristi effetti di uno stato_ si- mile è quella della piccola borghesia , degli artigiani che vogliono salire, degli aristocratici che discendono, i quali nel tutto insieme formano l’esercito degli spo- stati. Prendiamo ad es. un professionista od un impie- gato, il quale, occupato tutto il giorno nello esercizio del suo ministero, stretto dal bisogno urgente di gua- gnare molto per divertirsi e parere la sera quel che non è*), non ha tempo di riposare nè di dormire. Na- turalmente i nervi, sopraeccitati così , si esauriscono presto. Ecco la necessità di stimolanti d’ogni natura a ciascun momento; liquori, cafìè, cibi piccanti, fumo eccessivo; e poi drammi à sensation, musica d’ operette scollacciate, pose plastiche provocanti, poesie oscene, cluhs o ritrovi convenzionali elaboratori di pessimi co- stumi; infine la preferenza data alla letteratura leggie- ra , che colpisce l’imaginazione esaltata , ed alle gaz- zette libellistiche propalatrici di scene scandalose , di delitti mostruosi, di suicidii drammatici, dì segreti di alcova, di storielle d’isterici, di racconti da pusilli, di spiritosità insipide ed insolenti, di frasi sdolcinate e vuote. Di pari passo 1’ alcoolismo, la sifilide, il meconismo, l’absintìsmo aumentano. La prostituzione si avanza smi- suratamente , c’inviluppa d’ogni intorno invigilata o clandestina che sia, si presenti sotto 1' aspetto il piu abietto della femina da strapazzo od assuma le forme seducenti e smaglianti delle cosidette orizzontali. La cronaca dei suicidii ormai si è resa abituale. La gente Aujourd’ hui on ne veut plus que jouir et reluire. Pelletan. al più avvertirà che si tratta di un infelice, di un an- noiato, di un furfante di meno.. Il numero dei delinquenti e dei folli è cresciuto in guisa che le carceri ed i manicomi! non bastano più.— Parrebbe il mondo quasi popolato da baldracche , da ebeti, da delinquenti, da matti!.. L’ambiente è cosi guasto , le disposizioni morbose còsi pronte che il nervosismo fa capolino fin fra’ bam- bini. Non ha guari il Prof. A. Murri faceva diagnosi d’isterismo in una bambina ; fra gli scolari suoi sor- sero degli Oh, degli Ah: oggi Charcot tratta largamen- te dell’ isterismo maschile frequente in tutte le età e classi sociali *. Sicché egli tien molto allo allontana- mento dei fanciulli dall’ ambiente domestico, se per po- co vi serpeggi l’isterismo. Oggidì nelle grandi città , dice Krafft-Ebing, non esistono più bambini. Quando la educazione morale è trascurata, ed i freni sono ri- lasciati od infranti del tutto; dei romanzi osceni e delle illustrazioni pornografiche corrono per le mani di fan- ciulli e di donzelle; i genitori fanno discorsi licenziosi innanzi ai loro figliuoli, e menano le fanciulle alle soi- rèes dansanles , ove le dame fanno spudorata pompa delle loro pro'caci ed artefatte bellezze, gli è naturale che si raccolga il frutto che si è seminato: una gene- razione, cioè, di fanciulli veccìdi—lniziata cosi presto la carriera (a 15 anni) , costoro tra per l’onanismo , tra per 1’ uso od abuso precoce della venere , tra per un pò di virus celtico che possibilmente scorre nel loro sangue, giungono ai 20 anni con le forze infantili stre- mate. A questa età, gettati negli ambienti esaltati del- la politica, cadono in preda dell’ anarchia psichica, oa- * L’isterismo il quale fino a pochi anni addietro era consi- derato una malattia delle donne, in ispecie di quelle delle città e delle classi alte della società, oggidì è malattia comune agli uomini, ed anche alle classi inferiori della campagna. A convincersi di ciò basterà consultare le statistiche dei rifor- mati al servizio militare per tale infermità. Nel Giornale medico militare (n. 8 a 9) di questo anno (1887) leggo un interessante articolo del Dott. I. Sgobbo ; l’lsterismo nell’uomo e nell’esercito. de sono ribelli ad ogni principio di autorità venga dai genitori, dai maestri oppur dallo Stato. A 25 anni, quantunque esausti e stracchi dai piace- ri pregustati a larga mano, come i bevitori di pessima acquavite, che più bevono e più avvertono lo stimolo della sete, guazzano nel vizio come le bestie nel brago. Attutito essi avendo ogni senso affettivo e morale , incapaci essendo del menomo sforzo intellettuale, man- canti di ogni ideale, tutto fa loro fastidio, tutto essi guardano bieco, e par che abbiano il mondo in gran dispitlo. Nulla suffraga cotesti poveri ebeti. In preda al delirio vanitoso, trovano la società troppo antiqua- ta, bisognosa di riforme poggiate su basi fantastiche ed assurde. Saputelli , senza aver mai studiato, ambi- scono addivenire dei grandi scienziati, dei geniali le- gislatori , degli abili politici ; pretenziosi , senza aver mai lavorato, vorrebbero divenire milionarii. Come se fossero i prediletti della società, essi non conoscono obblighi , non avvertono doveri, non affac- ciano che diritti; nati per l’ozio, credono essere nei compiti degli altri il lavorare per procacciare loro : onori, gloria, pia-ceri. E quando, per quella tale legge di ritorno, che colpisce i parvenus già da un pezzo , tutti quei sogni, concepiti fra 1’ orgia, 1’ acquavite ed il fumo, si dileguano, allora si opera in essi una rea- zione. Non potendo fare il mondo ad imagine loro pen- sano a distruggerlo. Manca il capitale ? guerra al ca- pitale ; non possono conseguire dignità per difetto di studio e di lavoro? guerra al genio , tutti debbono essere eguali , giù le eminenze ; difettano i mezzi per sposare una donna bella e milionaria ? guerra al ma- trimonio, amore libero ecc. ecc. Ma di questo passo, diciamo con Krafft-Ebing, si va al diavolo. Sventurata- mente vi andiamo a grandi passi, perchè la società mo- derna corre precipitosa verso la bancarotta fisica e mo- rale ! Max Nordau, uno dei più coscienziosi e profondi pen- satori odierni, dopo di avere accennato ai grandi ac- quisti conseguiti finora dall’ uomo , lancia un rapido sguardo sullo stato morboso di tutta la società moder- na, di cui noi abbiamo poco innanzi appena fatto rapido cenno. Egli trova che, malgrado i miglioramenti fatti nelle condizioni del benessere, il genere umano è più che mai malcontento, turbato, inquieto. Il mondo incivilito non è che un immenso ospedale, la cui atmosfera è piena di gemiti angosciosi, e sui letti del quale si contorce il male sotto tutte le sue forme. Se tu passi da paese a paese e vai dovunque interrogando ad alta voce: « Sta qui la contentezza? Avete voi qui quiete e felicità? » ti risponderanno dappertutto : « Fuggi! non è qui quel che tu cerchi »—Tendi l’orecchio al di là del confine e da ogni dove il vento ti apporterà il chiasso osceno di dia- tribe e lotte, di rivolte e brutali repressioni. L’antagonismo fra il governo ed il popolo, e i rancori fra i partiti politici, non sono che una forma della univer- sale malattia dei tempi nostri, dappertutto eguale, quan- tunque porti nomi diversi secondi i luoghi : nichilismo, fenianismo, socialismo, antisemitismo, irredendismo. Ma un’altra forma ancor più grave della malattia stessa è la perturbazione e tristezza profonda, che indipenden- temente da ogni nazionalità o da ogni partito , mani- festasi nel cuore di ogni uomo retto e che si trova al- l’alto livello della coltura contemporanea. Ognuno prova uno stizzoso malessere, a cui, quando a fondo non lo si scruta, si attribuiscono mille cause prossime o casuali, ma non mai esatte, talché ciascuno è condotto a criticare acerbamente, a biasimare con crudezza e a condannare assolutamente ogni rivelazione della vita sociale. Que- sta impazienza eccitata ed esacerbata da tutte le este- riori sensazioni è chiamata dagli uni nervosità, da al- tri pessimismo, da altri ancora scetticismo. La raolti- picità delle denominazioni non fa che coprire l’unità del male. E questo male è evidente in tutte le manife- stazioni dello spirito umano. La letteratura e l’arte, la filosofia e le scienze positive hanno il riflesso del pal- lore morboso. In tutte le manifestazioni del pensiero umano dei nostri tempi scorgiamo i medesimi sin- tomi. Sempre e dovunque inquietitudine , malumore , esacerbaziene , che negli uni si arrestano al dolore e allo sdegno verso l’intollerabile realtà e negli altri si determinano nel bisogno di un cambiamento nelle con- dizioni della vita. Indarno , osserva Nordau , si cercherà un quietista politico, che tenga a conservare il presente ; non c’è che spirito di reazione o di rivoluzione, tornare al pas- sato od affrettare l’avvenire. Il presente è tanto odiato dal reazionario quanto dal liberale. La irrequietezza generale e lo sbriciolamento interno hanno svariate e potenti influenze sulla vita dell’indi- viduo- Per chi contempla ed apprende la realtà delle cose la paura manifestasi spaventevole. Gli organi sensorio-psichici sono continuamente ipe- reccitati da cotesto ambiente naturalmente guasto , e da noi stessi con 1’ uso di sostanze inebbrianti e nar- cotiche d’ogni sorta. Si vuole non vedere la realtà, che ci fa soffrire, e si domanda l’allucinazione o l’assopi- mento momentaneo alle sostanze che ce li possono som- ministrare. Come naturale conseguenza di questa istin- tiva inclinazione ad ingannare sè stessi e di fuggire momentaneamente la realtà c’ è la fuga definitiva col suicidio se tuttavia la mente è in grado di scorgere Pintimo sfacelo; oppure l’annientamento passivo, effet- tuato dalla degenerazione lenta che ha subito la fibra, con l’alienazione e la demenza. Oppure, perseverando nella lotta,una sorda esasperazione, conscia talora di sè stessa ed alle volte non sentita sotto forma di un malcon- tento irrequieto e indefinito mantiene ognuno in una eccitabilità rabbiosa e dà alla moderna lotta per 1’ esi- stenza delle forme selvagge, diaboliche, sconosciute alle epoche anteriori ! Il limitarsi alla difesa ha cessato d’essere un metodo di lotta politica; oggi si fa soltanto uso della offesa. Oggi non si vuol vincere un nemico, ma lo si deve anni- chilire, vilipendere, bruttarlo. Non basta di vederlo ca- duto, atterrato,ma gli si deve succhiare il sangue, gli si debbono oscenamente mutilare le membra, finché il seviziatore medesimo rimane spossato dalla ebbrezza selvaggiamente civile!... Y’ha di più: mancano i caratteri. Se pure ve n’è qualche accenno la folla lo soffoca nel nascere. Ogni nostra azione è in contraddizione colle nostre convinzioni, che la pone in ridicolo e la smentisce. Un abisso invincibile si a- pre fra la nostra coscienza, cioè fra ciò che sentiamo di essere la verità, e le istituzioni tradizionali, sotto le quali viviamo e siamo costretti di operare. Ogni parola che diciamo, ogni azione che compiamo è una menzogna di fronte a ciò che riteniamo come verità nell’animo nostro. Così abbiamo l’aria di paro- diare noi stessi, e rappresentiamo una eterna comme- dia che ci stanca benché ad essa abituati , e cotesta commedia esige che noi diamo continue smentite alle nostre cognizioni ed ai nostri convincimenti. Yi hanno momenti di raccoglimento, in cui ci sentiamo saturi di sprezzo contro di noi e contro le costumanze del mon- do. In cento occasioni, assumendo un’aria solenne e maniere gravi, indossiamo abiti, che ci sembrano ve- stiario da matti, e fìngiamo rispetto a persone e istitu- zioni, che ci paiono enormemente assurde, e ci tenia- mo vigliaccamente attaccati ad un convenzionalismo che tutti i nostri sensi dichiarano ingiustificato. Questo eterno conflitto fra i nostri costumi sociali e le nostre convinzioni provoca una tremenda reazione sulla vita intima dell’individuo, che lo spostano dai rapporti reali di sè col mondo sociale e lo rendono triste!. Ciò che ne induce al pessimismo ed allo scetticismo è appunto questo perenne antagonismo fra le nostre convinzioni e tutto quanto vediamo a noi d’intorno; è questa necessità di vivere in mezzo ad istituzioni che già riteniamo menzogne. Tutta la nostra civiltà è solcata da questo grande corrompimento. E noi in questo insoffribile rovinìo perdiamo ogni gioia della vita, ogni brama di progresso. Ecco la cagione del febbrile malessere che in tutti i paesi affligge ogni persona colta. Solo il tempo potrà sciogliere il tormentoso enimma!. Certamente non è dato a noi l’addentrarci nello stu- dio delle cause multiple di ordine sociale, che fomen- tano il nervosismo dell'epoca nostra: ciò èdi pura spet- tanza dei sociologi. Noi ci limitiamo a rilevare che una grande e solenne contribuzione al nervosismo apportano: il decadimento del principio di famiglia col relativo falsato istituto del matrimonio ; ed il cattivo indirizzo educativo. Per la prima parte lasciamo che parli Max-Nordau: « É colpa sopratutto della organizzazione economica dei popoli civilizzati, se il matrimonio, che in origi- ne si pensava fosse la sola forma lecita dell’ amore fra uomo e donna, è divenuto la più grande menzogna della società , poiché solitamente Io si contrae senza tener conto della vocazione. Da esempi d’ ogni giorno e più ancora dalla letteratura amena di tutti gli idiomi, il giovane e la ragazza apprendono che il matrimonio dev’ essere giudicato come cosa ben distinta dall’ a- more, e perciò, quando si danno la mano di sposi, essi fanno, nel fondo della loro anima, o netta o vaga la riserva che quella formalità non debba avere influen- za alcuna sulle relazioni del loro cuore. La nostra or- ganizzazione economica ha la sua base nell’ egoismo ; vede solo l’individuo, mai la specie; a favorire diret- tamente l’individuo volgonsi tutte le sue cure, o la spe- cie èda essa interamente negletta ; nell’ economia dà ormine allo sfruttamento; al presente sacrifica l’avve- nire, e fra tutti i suoi guardiani , i suoi sostenitori , birri e consiglieri non ce n’ è uno che faccia il pala- dino delle generazioni nasciture. Che importa ad una società in siffatto modo organizzata che la procreazio- ne avvenga in condizioni le più sfavorevoli ? La gene- razione vivente non deve pensare che a sé stessa. Quan- do si riesce a menare una vita di maggiori agi possibili, si crede di aver fatto il proprio dovere verso sé stessi, e non si ha più coscienza d’ un altro dovere. La gene- razione ventura pensi per sé, e qualora , per cagione dei padri, cadesse in povertà intellettuale e materiale, tanto peggio per lei. I figli di matrimoni senza amo- re sono creature sventurate ? Che importa , quando i genitori abbiano avuto il loro tornaconto col matrimo- nio? I figli dell’ amore senza matrimonio finiscono male, in forza della condizione della loro madre, e diventa- no vittime dei pregiudizii dominanti ? Che male c’ è , se 1’ autore dei loro giorni ha passato, negli amplessi proibiti, momenti deliziosi? L’umanità scompare dal- l’orizzonte dell’ uomo; la solidarietà, che è per un istin- to primigenio tanto negli uomini quanto negli animali superiori, si insterilisce; i patimenti di un uomo non riescono più a turbare i sollazzi del vicino. E cotesta società non si determinerebbe a mutare una vita, nella quale l’individuo può trovare il suo momentaneo be- nessere, quand’anche sapesse che la razza umana do- vesse finire colla generazione vivente. Per tal guisa, anche l’istinto sessuale è diventato materia da sfrut- tamento egoistico, e siccome esso è il più vigoroso de- gli istinti del nostro organismo, cosi si può sfruttarlo senza tanti riguardi. Ecco perchè 1’ uomo e la donna cercano di trarre il maggior lucro possibile da un atto, sacro alla conservazione e allo sviluppo della specie. Ma si deve proprio movere rampogna all’ uomo inci- vilito, quand’ egli considera il matrimonio un’ istituzio- ne di collocamento e , aspirando ad esso, non scorge altro motivo determinante che il « chi offre di più ? » Egli vede che il mondo apprezza una persona a secon- da dei beni di fortuna che possiede; vede il ricco pren- der parte al convito, mentre Lazzaro, come ai tempi biblici, sta sulla soglia nella polvere; conosce della lot- ta per resistenza gli stimoli e la possanza e sa quanto sia ardua la vittoria; sa pure eh’ egli non può fare as- segnamento che su sè stesso e sulle proprie forze , e che, soccombendo, non avrà confacente soccorso dalla cosa pubblica. E allora, come si può maravigliarsi se egli considera il matrimonio unicamente dal lato del vantaggio tattico, che ne può trarre nella lotta per 1’ e- sistenza ? E perchè dovrebbe egli allora permettere che l’amore lo influenzasse nella scelta dello sposo ? Ma non ne avrebbe forse un miglioramento 1’ umanità ? E che importa a lui l’umanità? Cosa fa per esso que- sta umanità ? Gli dà forse da mangiare, quand’ egli ha fame ? Gli dà forse un’ occupazione, quand’ egli non ha lavoro ? Sazia forse i suoi bambini, quando questi pian- gono per aver del pane ? E se muore, è dessa che prov- vede alla vedova e agli orfani ? No. Dunque, giacché essa non compie tutti questi doveri verso di lui, egli vuole pensare solo a sè stesso, considerare 1’ amore co- me un passatempo piacevole e far sì che il matrimonio aumenti la sua porzione di beni terreni. « Questo modo di pensare conduce, in breve tempo, l’umanità civilizzata alla degenerazione; e la sua vit- tima immediata è la donna. L’ uomo soffre poco in que- sto stato di cose. S’egli non si stima abbastanza forte, o non sente in sè il coraggio di assumere la responsa- bilità di creare una famiglia in mezzo ad una società, che è una nemica ed una sfruttatrice invece d’ essere una tutrice, allora ei rimane scapolo, senza perciò ri- nunciare al primo soddisfacimento dei suoi istinti. Es- sere scapolo non vuol mica dire essere astinente. L’uo- mo non ammogliato ha dalla società il tacito assenso di procurarsi i piaceri delle relazioni femminili dove può e come può: i suoi passatempi egoistici chiamansi successi e lo circondano di una certa gloria poetica , perchè nella società l’amabile vizio di Don Giovanni sveglia un sentimento, che è un miscuglio d’invidia , di simpatia e di segreta ammirazione. Se 1’ uomo si ammoglia senza amore e solo per conseguire mate- riali vantaggi, i nostri costumi gli permettono di cer- care a destra e a sinistra quelle emozioni, ch’egli non ha dalla moglie ; ed anche quando il permesso non è assoluto, questo suo contegno non viene reputato un delitto, che lo escluda dalla comunanza della gente ri- spettabile. Ma ben diversa è la condizione della donna. Fra i popoli civili, la sola via aperta alla donna, il solo suo destino , è il matrimonio. Soltanto al matrimo- nio ella deve chiedere il soddisfacimento di tutti i suoi piccoli e grandi bisogni fisiologi. Se vuole esercitare i diritti concessi alla donna ben complessionata e ses- sualmente matura, se vuole che la maternità sia in lei cosa sacra,/éd anche se vuole soltanto guarentirsi con- tro la miseria materiale, deve maritarsi. considerazione però non è applicabile a quella mino- ranza femminile, formata dalle ragazze ricche. Quan- tunque molte di queste ragazze capiscano la profonda immoralità di un matrimonio senza amore, e alcune di esse spingano fino alla mania il desiderio di unirsi all’uo- mo scelto dal loro cuore, in guisa da non vedere in ogni pretendente che un cacciatore di doti , tuttavia non sfuggono al fatale influsso corruttore, il quale, nel ma- trimonio, colloca al posto destinato all’amore il rozzo egoismo. Troppi sono gli uomini, tanto vili da non ago- gnare che la prebenda matrimoniale. Nulla tralasceran- no per conquistare la giovane ricca , non già perchè 1’ amino, ma perchè vogliono la sua sostanza. Con la massima facilità asseconderanno ogni capriccio della ragazza: se essa chiederà amore, eglino sapranno simu- larlo tanto più esagerato quanto meno lo sentono. La erede, essendo giovane ed inesperta, è probabilissimo dia la sua mano a quello dei pretendenti che è il più indegno, perchè questi ordinariamente è il commediante più abile e perseverante; e troppo tardi si accorgerà di avere sposato, non un uomo a lei affine, ma bensì un avido di danaro; non potendo perciò trovare nel matri- monio l’amore, lo cercherà all’infuori del matrimonio stesso, affrontando tutti i moralisti, che la minacce- ranno del loro disprezzo. « Ma queste ricche ragazze non sono che una piccola minoranza. Le altre, in forza dell’attuale organizzazione sociale, sono costrette a porre tutte le loro speranze nel marito, siccome quegli che, solo, può salvarle dalla vergogna, dalla miseria ed anco dalla inedia. Qual’è la sorte destinata alle ragazze senza marito? La denomi- nazione popolare di zitellona è già una frecciata di di- leggio. Solitamente la solidarietà della famiglia non si estende fino all’età matura dei figli. Morti i genitori, fratelli e sorelle si separano: ognuno va per la propria strada: il rimanere uniti è sentito da tutti come un pe- so, e specialmente dalla ragazza , se ha delicatezza di sentimento; e cosi, essa, non volendo essere un impac- cio al fratello, nè alla sorella maritata, si troverà tanto isolata nel mondo quanto non lo è nel deserto il beduino. Deve far casa da sè? Sarà una casa inospite e deserta. Nessun amico le deve tener compagnia; se no, sarà perseguitata dalle male lingue del vicinato. Le amiche poi sono ben rare e non sempre sincere; nè andrà cer- tamente a cercarle fra le sue compagne di destino, per- chè in una casa, che ha già tante e fin troppe malin- conie ed amarezze, esse ve ne apporterebbero delle al- tre. Gli intelletti superiori daranno addirittura il con- siglio eh’ essa deve non darsi pensiero dei pettegolezzi delle femmine e far tesoro delle simpatie che sveglia. Ma quegli che parla cosi da saggio, perch’egli ha ca- rattere forte e indipendente , in virtù di quale diritto può esigere che una povera e debole ragazza rinunzì per tutta la vita all’ approvazione e al rispetto de’ suoi pari? La riputazione è un bene assolutamente essen- ziale; e tanto nella vita intima quanto nella esteriore dell’individuo ha influenza grandissima l’opinione de’ suoi simili. E su questo bene non deve proprio aver di- ritto alcuno la ragazza rimasta nubile? In questo caso, si può presagire ch’essa passerà i suoi giorni fra gente a lei straniera; più schiava che nel matrimonio; più espo- sta alla calunnia che la donna maritata; e con tormen- tosa trepidanza volgerà instancabilmente il pensiero alla propria riputazione, che la società vuole pura senza offrirle il suo premio naturale, il marito. Lo sca- polo-batté i caffè e le trattorie; frequenta il club, che bene o male fa le veci della famiglia; va a spasso da solo; da solo viaggia ed ha mille risorse per deludere la freddezza e il vuoto della sua casa, che non alberga amore di moglie e di figli. Orbene, tutti questi conforti non esistono per la vecchia zitella, la quale, fatta tri- ste da questa sua vita monca, trascinerà inesorabilmente i suoi giorni prigioniera solitaria. Se ha qualche bene di fortuna , difficilmente questo aumenterà , probabil- mente anzi diminuirà o svanirà, perchè essa, per edu- cazione e per abitudini, è meno abile dell’uomo ad am- mistrare, cioè a difendere una sostanza contro i nu- merosi suoi insidiatori. Ma se ella nulla possiede , la sua sorte tanto si fa fosca che diventa sconsolatamente buja. Alla donna non sono accessibili che poche pro- fessioni indipendenti, e poco rimuneratrici. La ragazza del popolo non istruita, se fa la serva, campa, ma non riesce mai ad essere indipendente ed autonoma, e su- bisce quindi umiliazioni d’ogni specie. Se si dedica al lavoro manuale libero, morirà certo di fame, e se fa la giornaliera guadagnerà press’a poco la metà di quanto guadagna V uomo, quantunque entrambi abbiano quasi gli stessi bisogni naturali. Le ragazze del ceto medio so- gliono dedicarsi all’insegnamento, il quale però in nove Fazio casi su dieci diventa per loro una schiavitù , come è quella della governante di fanciulli: in alcuni paesi pos- sono, ma in piccolo numero , aspirare a qualche pub- blico impiego subalterno; tuttavia, una giovane istruita e dignitosa non stima mai che un tale impiego si con- faccia alla sua missione, alle sue qualità e alle sue at- titudini; ed animata da questo sentimento potrà sop- portare dignitosamente anche la povertà. Dal resto, le ragazze che raggiungono quella meta possono ancora chiamarsi fortunate. Le altre vivono povere, misere, in- cresciose a sè e agli altri, avvilite dalla coscienza della propria inutilità, impotenti a procurare una gioia alla loro gioventù, a guadagnarsi il necessario pane quoti- diano ed assicurarsi il sostentamento perla vecchiaia. E per soprappiù, la ragazza, che vegeta in solitudine tanto crudele, deve avere perennemente e sovrumana- mente una straordinaria fermezza di carattere; esigiamo insomma che questa donna afflitta, malcontenta di sè, che patisce la fame e il freddo, e trema pensando alla sua vecchiaia, sia un’ eroina . Ma la prostituzione sta in agguato e le tende insidie. Non può fare un passo nella sua vita solitaria e sconsolata, senza che la ten- tazione la instighi in mille guise. L’uomo, che non ha il coraggio di obbligarsi a darle un durevole so- stentamento , ha però l’ardire di chiederle in dono 1’ amore, senza obbligarsi a ricambio alcuno : il suo infame egoismo le tende ostinate insidie, che sono tan- to più pericolose in quanto che hanno, come alleati se- greti, i più potenti istinti della donna. Ed essa dovreb- be, non solo sopportare pazientemente la miseria e la solitudine, non solo lottare contro un avversario for- midabile, risoluto, ostinato, quale è l’uomo acceso da passione carnale, ma dovrebbe altresì vincere le proprie inclinazioni e i propri istinti sani e naturali, ribellan- tisi contro le menzogne e le ipocrisie sociali. Per usci- re senza macchia da angustie siffatte ci vuole un eroi- smo, del quale neppur uno su mille uomini sarebbe ca- pace. E il premio di tutti questi sforzi ? Nessuno. La zitellona che, come una santa, visse in mezzo a mille triboli, non trova un compenso neppure nell’intimo sentimento di avere, colle amare e penose sue priva- zioni, obbedito ad una grande legge della natura ed esaudito un imperativo categorico; anzi, più invecchia e più sente un’ intima voce che dice : « Perchè ho io lottato ? A chi ho io giovato ? Merita forse la società che, per far omaggio alle sue massime balorde ed egoi- stiche, si debba sacrificare la felicità propria? Non sa- rebbe stato mille volte meglio ch’io non avessi oppo- sto resistenza e mi fossi lasciata vincere? » Se a tan- te giovani una sorte simile incute spavento, e se, sen- za badar tanto a inclinazioni e ad affinità elettiva, spo- sano il primo che sull’ orizzonte si affaccia come pre- tendente, non hanno forse ragione ? Vi sono cento pro- babilità contro una che lo stato matrimoniale, comun- que esso avvenga , sia sempre più piacevole di quello che la odierna società serba alla vecchia zitella. Na- turalmente, la menzogna, commessa dalla ragazza che si marita senz’amore, non rimane invendicata. Pel ma- rito non sarà una sposa fedele e nemmeno una mas- saia che faccia il dover suo. In forza del suo inappaga- to istinto d’amore, essa non sarà mai sorda alla voce dei suo cuore; l’emozione più piccola, ed anche più vaga, le sembrerà la tanto invocata rivelazione dell’ amore e si getterà nelle braccia del primo uomo , che avrà saputo occupare, per un minuto, la sua mente legge- ra; ma presto si avvedrà d’ essersi ingannata, e allora andrà guardando di nuovo all’ intorno per trovare il desiderato vero, e tante volte porrà il piede su que- sta perigliosa china, che alla fine cadrà vergognosa- mente nella scostumatezza. Sarà ancora fortunata se, arrestandosi alla leziosaggine, non arriverà all’adulterio platonico o reale; o meglio , se la coscienza della sua vita non pur anche completa, se il bisogno di scoprire l’uomo affine, destinato a far piena naturalmente la sua esistenza, si manifesteranno soltanto con quella specie di civetteria, che spinge ad azzimarsi con lusso, a cor- rere ai balli e alle veglie , a cercare avidamente ogni occasione di avvicinamento con uomini estranei , ad esercitare la propria forza d’ attrazione e a provare quella degli uomini. Piena di sè, essa non può che cu- rare il proprio interesse e domandare alla vita che dei piaceri personali. Il suo egoismo non le permette di vi- vere al fianco del marito, di apprezzarlo e di immede- simarsi in esso . La casa , in tutto ciò che personal- mente non la concerne, è per lei cosa indifferente. Scia- acqua senza riguardo le fatiche dello sposo , perchè essa lo ha impalmato unicamente perchè ella potesse vivere senza fastidi e a tutto suo agio. D’ altra parte, è cosa crudele, ma umana , il punirlo , perché egli fu così poco avveduto di sposarla, senza prima essersi as- sicurato dell’amore di lei. In tal modo si crea un cir- colo vizioso, il quale non rinserra che tristi cose. L’or- ganizzazione egoistica della società fa della lotta per 1’ esistenza una cosa inutile, crudele e snaturata, e per- ciò tanto 1’ uomo quanto la donna cercano nel matri- monio non l’amore, ma soltanto un collocamento ma- teriale ; l’uomo ha per ìscopo la dote ; e la ragazza senza dote , timorosa che la si lasci in asso, accalap- pia il primo che capita e che possa mantenerla, e, do- po le nozze, essa diventa un animale superfluo, senza valore alcuno pel suo padrone, anzi una causa per lui di grandi spese. «Molti uomini, che potrebbero benissimo mantenere una moglie, spaventati dall’ esempio di cotesti mairi- monii, ricusano di ammogliarsi, e cosi altrettante donne vengono condannate allo stato di zitellone. E mentre scemano generalmente le probabilità di trovare marito, cresce la smania di maritarsi e conseguentemente, va sempre dileguandosi la ragione dell’ amore. In sif- fatte circostanze, lo scoraggiamento a contrarre matri- monio si fa sempre più grande anche in coloro che pur aspirerebbero ad esso. E cosi l’uomo e la donna diventano nemici, che gareggiano a chi sappia essere maggiormente furbo per sfruttare il rivale. Nè l’uno nè l’altro è felice, nè 1’ uno nè l’altro è tranquillo. I soli che, giubilando, si fregano le mani sono il padre con- fessore e il grande negoziante di mode, perchè questo stato di cose apporta ad entrambi numerosi clienti e la classe delle donne galanti. Reclutate queste spesso nei bassi fondi della società, e viventi in un ambiente artificiale e corrotto, sono in- capaci di delicati affetti, di nobili idealità, di generose azioni. L’egoismo e la vanità sono sposati in esse con ligami indissolubili: sono ciniche , epperò indifferenti alle pene come alle gioie della vita. Bisognose di sol- leticare la loro insaziabile vanità, tutta la loro attività è volta a creare intrighi, a destare pettegolezzi, a tra- mare insidie, a sollevare scandali. Ormai è precetto giu- ridico: quando in un dramma giudiziario non appare a prima giunta il movente del reato, il magistrato, pensa à cercher la fewme\...—Abili ad accendere in altrui le più ardenti passioni, sono incapaci di sentire il menomo affetto si tratti pure per una loro creatura, cui nega- no il diritto alla paternità. Preferiscono amori facili , vaghi, contrastati, di controbando ed a breve scaden- za. Si coricano sotto l’incubo dell’impressione del mo- mento, si destano senza avvertirne le tracce, o pur bur- landosi degl’ ingenui che lor prestarono fede. Le loro parole, le loro frasi, le loro dichiarazioni, i loro giura- menti sono stereotipati, e li ripetono meccanicamente ad ogni nuovo loro adoratore, cambiando solo l’indirizzo. Nel meglio dell’entusiasmo di un simulato amore, quasi per distrazione, spiccano delle stoccate, insufficienti sem- pre a ricolmare la loro insaziabile sete di oro, cui non danno alcun valore, perchè acquistato con tanta age- volezza. Esse non amano perchè non sentono affetto: pre- se da erotomanìa, esercitano il cicisbeismo!... La simu- lazione può dirsi formi tutto il loro essere morale: esse non intendono che cosa sia senso di onore, di pudore, di castità, di virtù, di dignità, di responsabilità. All’ oc- chio loro coteste son delle anticaglie, miranti soltanto a tener schiava la donna, sicché, informate ad un senso volgare di emancipazione, le calpestano con un cinismo ributtante!... Negano la sera ciò che hanno affermato il mattino; sono pronte alle lagrime come al riso; s’inteneriscono per la più lieve sciocchezza mentre sogghignano per un fatto pietoso; capaci per un momento di un’azione generosa, sono pronte a commettere delle indegnità; pro- dighe fino all’eccesso per un capriccio futilissimo, sono di un’avarizia la più gretta nelle emergenze gravi; so- vente, incapaci di appropriarsi dei tesori, rasentano la Corte di Assisie per un furto da burla; audaci fino alla temerità, sono esseri assai vili; superbe, ritrose, resi- stenti innanzi ad nn uomo di spirito e ad un Adone, si abbandonano facilmente nelle braccia del primo av- venturiero che capiti. Schifiltose e pudiche per un non- nulla , trasmodano agevolmente negli atti più invere- condi, fino a tatuare la loro cute coi nomi dei loro amanti traditi ! Tutto ciò che abbaglia e che impres- siona l’iraaginazione le commove, le affascina, le con- quide, come avviene nei selvaggi, nei fanciulli, nei po- veri di spirito. La loro mente è fiacca, i loro orizzonti spirituali sono labili e limitatissimi, le loro aspirazioni vaghe ed illimitate: in esse non prevale che l’astuzia, la vanità, la simulazione. Di umano non hanno che la combinazione della plastica, il resto è mostruoso. Ora- zio comprese cotesti protei nel famoso mito della Sirena: turpiter atrum Desinai in piscem mulier formosa superne! Hugo le rivelò nel tipo di Giosiana, Zola le fotografò in Nanà. Di queste crittogame, ditali sciagurate dal cer- vello di spugna e dal cuore di sughero, apparizioni co- stanti di tempi corrotti , oggidì è ingombra la società nostra. I grandi saloni, i clubs, i circoli prefettizii, i gabinetti particolari dei grandi funzionami dello Stato, le antisale delle Ambasciate e delle Camere dei Depu- tati, le Corti di Assisie nei dibattimenti clamorosi , i veglioni, i teatri nelle serate di gala o di spettacoli ru- morosi, le stazioni di ferrovia e dei bagni, le bische, i grandi alberghi, i parchi ombrosi, gli sports, le rassegne militari—insomma in tutte le occasioni ed in tutti i luo- ghi, nei quali occorrono delle novità chiassose evi è folla curiosa, vedrete comparire coteste locuste, circon- date da mistero puerile.—A vederle in sulle prime si di- rebbe sieno delle dame austere: infatti posano con sussie- guo ed incedono con sostenutezza, vestono con lusso, e spendono a larga mano... A sentirle la prima volta par- rebbero delle Gornelie: si scandalizzano per una frase men che corretta; si offendono par un calembour o per una furtiva occhiata; non degnano che eccezionalmente della loro stretta di mano; la semplice vista di una dan- zatrice, magari di un’ artista da teatro, le disturba. Esse si reputano dame oneste, dì altà società. Infatti sono delle blasonate scadenti; delle mogli di vecchi funzio- narii ; delle figlinole o sorelle di genitori o fratelli sna- turati; delle amanti tradite!.. Sovente biascicano frasi sconnesse di lingue estere, sgambettano e canticchiano con grazia; delle volte si atteggiano a emissario in de- licati negozii; si mostrano sempre agitate e preoccupate. Vestono sfarzose quando la generalità veste semplice; fan pompa di semplicità quando la èliguette esige del lusso: appaiono in un luogo come meteore e si dilegua- no come nubi, avvegnaché la luce, l’analisi, la critica molto le molesti. Sono infine delle commedianti discrete da casotto. Scansano tutto ciò che può fare loro sug- gezione e dove non possono brillare. Ignoranti come sono, hanno a fastidio la società di persone colte e di donne oneste , e sdegnano tutto ciò che esiga riflessio- ne, castigatezza, misura. Il mondo da esse preferito è quello dei collegiali o dei giovanetti inesperti, dei vec- chi libertini, dei goffi provinciali, dei ricchi Nababbi, ai quali non par vero di poter adorare queste figure , spesso dai visi di Margherita ma dall’anima di Mefisto- fele ! Tali sirene, tra gli sguardi languidi ,le pose sdulcinate, i sospiri cadenzati, le frasi monche e mie- late, gli studiati abbandoni ed i volontari deliquii, men- tre raggirano nelle loro spire gl’incauti, spiano il lato debole del loro essere per inocularvi certo virus , ca- pace d’inaridire le sorgenti dell’anima, la vigoria della fibra, la vena della ricchezza!. Se per poco la gente non avverte o si studia di non avvertire la presenza delle medesime, fanno del chiasso, magari dello scandalo, pur di richiamare V attenzione dei gonzi. A tal punto, smessa la maschera e sorvo- lando su tutti i riguardi di civiltà sfidano con la mas- sima impudenza l’opinione pubblica. Disprezzate dalle persone onorate, si studiano di penetrare nei santuari! domestici e vi apportano il pomo della discordia. Esse sono felici se, nella loro lunga lista di vittime, posso- no annoverare delle persone altolocate, e contare: sui- cidi!, duelli, morti, follie, fallimenti ! Quali saranno le conseguenze di coleste false posi- zioni e di cotesto indirizzo educativo della donna, pri- missimo e potente fattore dei costumi e della pubblica morale? Che cosa scaturirà da cotesti elementi negativi, 152 di cui è infetto il nostro ambiente morale*—In primo luogo lo snaturamento della donna ; in secondo l’infra- zione dei legami domestici e la demolizione della base fondamentale della società civile, quel’ è la famiglia; in fine un fomite potentissimo per l’invadente Nervosismo che segna un primo grado di degenerazione fisica e di decadimento morale dell’uomo!. Ma fermiamoci all’altro argomento dell’ indirizzo edu- cativo. È da qualche tempo che maestri, direttori di ginna- si e di licei, medici e sociologi in Europa, negli Stati Uniti di America, e perfino in Australia— nei paesi cioè influenzati dalla civiltà moderna grillano all’allarme per il pericolo di cui è minacciata la so- cietà nostra, dacché alle intelligenze dei giovanetti fu imposto un programma di studii troppo vasto , troppo enciclopedico, sproporzionato alla capacità funzionale dell’organo dello spirito e di tutto il loro organismo che si trova nella fase di sviluppo. H. Spencer notò siffatti inconvenienti fin dal 1861. Quando noi pensiamo, egli diceva, alla detestabile di- sciplina delle scuole, noi siamo sorpresi non già ch’essa produca dei mali estremi, ma che possa essere soppor- tata. I resultati di questo ètonnant règime, come fin dal 1883 l’ebbe a chiamare John Forbes, è la debolezza, il pallore, il difetto di animazione, una salute general- mente cattiva. L’esercizio prolungato del cervello e l’as- senza d’ogni esercizio corporale non solamente turbano le funzioni ma menano alla deformità. Spencer, dopo di aver numerate le malattie varie che seguono al pessimo indirizzo delle scuole, rileva che un gran numero di scolari, non potendo resistervi , abbandona le scuole. L’intelligenza della novella generazione è troppo so- praccarica di lavoro. Ed è sorprendente come i pre- posti alla cosa pubblica dimentichino che in tutte le funzioni della vita vi ha un dato ordine ed una data misura , nelle quali le facoltà si sviluppano. Se i corsi di studii segnano quest’ordine e questa misura va be- riissimo. Ma se le facoltà superiori sono sopraccaricate, perchè incessantemente si presentano loro delle cono- scenze più complesse e più astratte di quelle che esse possono assimilare; o se per un eccesso di coltura , l’intelligenza è forzata ad uno sviluppo più grande che non deve praticarsi ad una certa età, il vantaggio anor- male ottenuto sarà inevitabilmente seguito da uno svan- taggio equivalente ed anche più che equivalente. Perchè la natura è un contabile esatto. Se voi le domandate più ch’ella non debba spendere da una parte, ella ri- stabilisce l’equilibrio facendo una deduzione dall’altra. Se voi le lasciate seguire da sò le sue vie, limitandovi soltanto a fornirle i materiali semplici delle crescenza corporale ed intellettuale, nella proporzione che ciascuna età esige, essa produrrà col- tempo un individuo, lo sviluppo del quale sarà più o meno armonioso. Se voi insistete per ottenere una crescenza anormale sopra un punto, essa cederà, dopo un po' di esitanza; ma mentre ella farà il lavoro che voi le preponete, negli- gerà qualunque altro lavoro importante. Non bisogna obliare mai che le forze vitali, a ciascuna epoca della vita, sono limitate, e ciò essendo non si può aspettare che una certa somma di resultati. Se l’eccessiva atti- vità cerebrale non sorpassa che moderatamente il grado di attività normale, non si avrà che una reazione mo- derata nello sviluppo del corpo; ma quando l’eccesso del lavoro mentale è più grande, gl’inconvenienti che ne risultano sono molto più gravi, riflettendosi non pure sul perfetto accrescimento del corpo, ma sulla buona struttura del cervello stesso (H. Spencer, Bel- l'educazione intelleituode, morale e fisica.) Non ha guari, nel 1884, Nussbaum di Monaco deplo- rava l’educazione odierna che si dà nei ginnasi e nei li- cei in Germania, dichiarando che lo stare a lungo seduto nella scuola e sopra tutto rapprendere troppe cose af- fatica enormemente il corpo e lo spirito dei giovanetti Egli nota che la classe media, quella che fornisce il mag- gior contigente alla istruzione, sistanca orribilmente con rapprendere troppo. Principalmente ne soffre la chiara percezione delle cose. Le conseguenze di un lavoro ec- cessivo dei giovanetti, egli assicura, nelle scuole tedesche si potrebbero riassumere nei seguenti: iperestesia cere- brale, miopia, anemia, cera smorta e priva di splendore, incurvamento della colonna vertebrale, cefalea, epistassi. La semplice ginnastica non riesce a nulla , converrà limitare l’istruzione e diminuire le ore d’insegnamento. Rossbach a Wiirtzburg critica anche acerbamente l'at- tuale metodo scolastico, affermando che se non si op- pone un argine contro l'insipiente legge scolastica, la Germania avrà una gioventù piena di miopi, di car- diopatici, di neuropatici, ecc. Da accurate statistiche, raccolte nei ginnasi e licei di Germania, risulta la progressiva degenerazione fì- sica e la demolizione morale della gioventù per effetto dell’indirizzo scolastico falsato * Quei poveri cervelli infantili e giovanili, nel meglio del loro organico svol- gimento sono sballottolati fra due correnti che si con- tendono il campo : l’antica che reclama la grama filo- sofia, lo studio del latino e del greco ; la nuova che esige matematica, scienze naturali, lingue ecc. Nella incertezza quale dei due indirizzi debba prevalere si fa loro seguire l’uno e l’altro. Che cosa avviene ? Le cellule ganglioniche, tanto de- licate nei cervelli infantili, tese oltre l’indice di loro capacità funzionale, ed irrorate continuamente di sangue iperemico, finiscono col subire un alteramente profondo nella loro costituzione molecolare e degenerano. Un giorno i giovanetti abbandonavano i collegi con limi- tata coltura, ma correvano baldi, pieni di vita giova- nile e di entusiasmo all’Università; oggidì essi, lasciando i banchi dei licei, avvertono la stanchezza ed il fastidio dei cervelli gonfii di un eclettismo vacuo ! In Francia la questione du Surmenage intellecluel et de la Sédentnriiè dans les òcoles è stato argomento di serii studii di chiari scienziati e di discussioni nelle * È da qualche tempo che i casi d’isterismo, di suicidio, di li- pemania, d’imbecillismo giovanile sonsi resi frequenti negli istituti educativi tedeschi, secondo assicurano illustri scrittori, fra quali i surriferiti. Anche da noi varii giovanetti tentarono di suicidarsi non potendo conseguire la licenza liceale. Accademie di Medicina e di Scienze morali e'politiche di Parigi— Gustavo Lagneau, fra i primi, raccolse in una dotta Memoria quanto da egregi pensatori si era detto al riguardo. Egli ricorda che Vittorio de Laprade, dopo 14 anni di assistenza a Parigi agli esami univer- sitarii , protestava energicamente contro l’odierna edu- cazione omicida. . . Fin dal 1844 , Thiers avendo consultato i piu dotti professori, questi gli avevano dichiarato che si vogliono fare entrare troppe conoscenze nella testa dei fanciulli. Il loro spirito piega evidentemente sotto il fardello. I nostri fanciulli, diceva Duruy nel 1864, hanno mia giornata di lavoro più lunga dell’operaio adulto: l’op- posto di ciò che dovrebbe essere. Laprade, soggiungeva, che istitutori pubblici o privati , professori dell inse- gnamento universitario o del libero, laici o religiosi, interrogati sul riguardo, ritengono che la gioventù dei nostri licei, seminarii, collegi è sopraccaricata di la- voro eccessivo con gran detrimento del loro corpo e del loro spirito; che la coltura delle forze fisiche è nulla ed insufficiente in tutte le case di educazione in Francia ; che l’esagerazione dei programmi d’esame è tanto fu- nesta agli buoni studii quanto alla buona igiene dell’a- dolescenza. Addizionando le ore di classi e di studii risul- ta che le 11 ore, durante le quali il corpo del fanciullo de- ve petrificarsi per obbedire alla regola , non sono che la più piccole media della sua schiavitù di ciascun giorno. Le punizioni per l’accrescimento degli studii (pensums l’impedimento dello svago, le punizioni inflitte all’infin- gardaggine, alla pigrizia, alla mancanza di sagacia e di memoria aumentano di una o due ore la parte dell’ i- nerzia muscolare. Per l’ordinario noi non teniamo conto del numero dei fanciulli che escono dal collegio rifiniti e malsani, bensì dei candidati ricevuti al baccellerato ed alle di- verse scuole. Noi non vogliamo comprendere, diceva G. Simon, la necessità di fare 1’ educazione del corpo come quella dello spirito , e di dare al corpo umano le cure intelligenti che prodighiamo agli animali frut- tiferi. Si direbbe che l’igiene dei nostri canili e delle nostre stalle c’importa più della nostra, e che noi siamo indifferenti ai due grandi elementi della felicità, la sa- lute e la forza. Gli alunni interni dispongono appena di due ore di ricreazione. Il resto del giorno lo passano nelle scuole con perfetta inerzia muscolare e la notte in una camerata, ove non vi è sufficiente cubatura di aria. Sicché al corpo non è dato nessuno esercizio. Se dei ministri di P. L, se dei rettori dell'Università, se dei membri dell’lstituto han creduto un dovere il protestare contro l’estensione esagerata delle conoscenze che si esigono dai giovani, e l’insufflcienza degli eser- cizi corporali nei licei e nelle scuole superiori: nume- rosi medici hanno parimente insistito sulla morbosità dei nostri scolari costretti a cotesto eccessivo lavoro intellettuale, a cotesta immobilità antifisiologica, o, più esattemente, a questa sedentarietà.ll fanciullo, esclamava Fonssagrives, lavora troppo presto, lavora troppo, la- vora male, lavora in cattive condizioni igieniche. Al congresso degl’igienisti alemanni, tenuto a Nu- remberg, il Dott. Finkelnburg dì Berlino, il 25 settembre 1877, studiando l’influenza dell’organizzazione pedago- gica attuale sulla generazione in via di sviluppo, mo- strava che, secondo documenti statistici prussiani rac- colti durante 5 anni, su 17, 246, giovani, presentatisi al volontariato e conseguentemente avendo acquistato una certa istruzione superiore, 80 almeno p. lUO erano iraproprii al servizio militare; mentre che fra gli altri coscritti in media 45 a 50 Op) solamente avevano dovuto essere dichiarati improprii, sia temporaneamente, sia completamente. In Danimarca il Dott. Hertel su 28,114 scolari (16,889 giovani ed 11,225 ragazze) ha trovato che 29 0(0 dei primi e 41 oio delle seconde erano col- piti di anemia, di scrofola, di nevrosi ecc., oltre a nu- merose affezioni oculari. In Svezia 1’ inchiesta di A. Key, sopra oltre 11,('00 allievi delle scuole superiori, ha mostrato che se 55 Op) sono perfettamente sani, 45 oio sono malaticci. Il numero dei malati, di 37,6 o[o nella classe inferiore, si eleva progressivamente a 58,5 Op) nella classe superiore. Se gli allievi delle scuole commerciali e professionali presentano il 60 0(0 di fanciulli sani, nella sezione uma- nità la proporzione si abbassa in ragione che si sale verso le classi superiori. E ciò senza tener conto di tutti quei fanciulli malati ritirati dai loro parenti per morbi acuti o cronici. Nel nostro Tattato d'igiene abbiamo largamente svol- to 1’ argomento delle affezioni oculari contratte nella scuola: e per la cattiva distribuzione della luce (sia per eccesso che per difetto o direzione), e per lo studio ecces- sivamente prolungato su carta e caratteri cattivi, e per la sedentarietà, e per lo ingombro, e per i contagi. Basta ricordare che a Parigi le varie commissioni , composte da Gavarret, Gariel, M. Perrin, Panas, Javal, Bertrand ecc. hanno conformemente concluso che in fuo- ri di ogni predisposizione ereditaria, la miopia è il più sovente la conseguenza delle condizioni del lavoro nelle scuole, e si produce spesso dopo il primo anno del sog- giorno alla scuola—Miopia di cui la frequenza si accre- sce proporzionatamente alle esigenze della istruzione pubblica. In tutti i tempi si è constatata la debole muscola- tura nei giovanetti sedentari! dei licei e delle scuole superiori; appo i medesimi sono frequenti le affezioni della colonna vertebrale; gl’incurvamenti rachidiani esa- gerati, le inclinazioni laterali del bacino, le deviazione della colonna vertebrale, gl’incurvamenti o le depressioni degli archi costali, lo spostamento delle scapole o delle clavicole ecc. 11 Dr. Guillaume di Neufchàtel sopra 350 giovani ri- scontrò 62 casi di deviazione della colonna vertebrale, e sopra 381 ragazze 156 casi a gradi più o meno pronun- ziati. Su 731 scolari ne conobbe 218 che correvano il pericolo di avere una grave deformità per tutta la vita. Secondo i medici americani coteste deformazioni , ra- rissime da 30 a 40 anni , dopo che la educazione ha ricevuto un così grande e generale impulso , sono di- venute numerosissime. Riunendo le osservazioni dei medici specialisti, Klopsch e Eulenburg mostrano che le scoliosi , molto più frequenti presso le ragazze che presso i giovani, si manifestano dai 6 ai 14 anni. Yirchow è di avviso che la scoliosi comune è una malattia che sì sviluppa durante gli anni di scuola. In Svizzera ed in Russia, dove si osserva spesso la tumefazione del corpo tiroide, si è constatato che tale affezione è comunissima fra gli scolari. Non discorriamo dalle affezioni varie degli organi to- racici ed addominali , causate dalla sedentarietà delle scuole e dallo ingombro che generalmente si avvera nelle comunità, da cui i disordini digestivi, la cattiva sanguificazione, le anomalie della nutrizione (anemia, scrofola, scorbuto, tisi ec.). Bruca rilevò che la temperatura cerebrale si eleva anche per un lieve lavoro cerebrale, niente affaticante, come la lettura ad alta voce. Quale meraviglia se con un lavoro cerebrale eccessivo ne seguano la cefalea, l'iperemia, l’epistassi? Guillaume sopra 731 scolari del collegio municipale di Neufchàtel trovò 296 che soffri- vano cefalea ricorrente, e 155 epistassi. Becker, sopra 3,568 giovani e ragazze delle scuole di Darmstadt e di Bessungen, trovò 974 o 27,3 % che soffrivano cefalea. Crichton Browne elevava a 46,1 % gli scolari sofferenti cefalea. Menno Huizinga non solamente trova presso gli scolari la frequenza della cefalea , ma riflette che la tensione dello spirito troppo prolungata, 1’ emulazione sopraeccitata possono apportare un colpo al sistema nervoso, alle funzioni cerebrali. Secondo i D.ri Crichton Browne, Donkin, Caton, Gib- bon, Fr. Wilcocks, G. Goodhart, molti scolari o molti allievi-professori, in seguito all’eccessivo lavoro intel- lettuale e sopratutto della preoccupazione che cagio- nano gli esami, indipendentemente dalle cefalee più o meno costanti, vanno soggetti all’insonnie ed alla neu- rostenia più o meno durevole. Secondo Hovvie , il ra- pido accrescimento delle affezioni nervose da una tren- tina di anni tiene al sistema di educazione attualmente seguito. Secondo W. Barrettßouè, medico all’ospedale dei bam- bini a Bristol, un numero considerevole di malattie ner- vose è dovuto all 'over pressure at school. Grever, War- ner, Sturges,Donkin, Abercrombie, Ashby, Wilcocks, Shelly, Rouè. Dawtrey Drewith, medici inglesi, credono dovere attribuire al lavoro scolastico la frequenza della corea. In Inghilterra le malattie cerebrali le più gravi so- no state attribuite all 'over pressure scolastica. In fatti do- po l’applicazione dell’ education act la protesta dei me- dici trovò eco nella Camera dei Lord e dei Comuni. I dot- tori Crichton Browne e Rabagliati hanno segnalato un accrescimento considerevole nella proporzione dei de- cessi dovuto all' idrocefalite , alla cerebrite presso gli scolari. Gli sforzi intellettuali immoderati, rifletteva Po- tain , prolungati senza misura, la mancanza di sonno che non lascia all’organo il tempo del riposo necessa- rio, sono fra le cause che preparano o determinano gli stati congestivi od infìammatoni del cervello e special- mente la peri encefalite cronaca diffusa. Nella discussione alla Camera dei Lord il Presidente della Commission of Lunacy (conte di Schaftesbury) attribuì allo eccessivo lavoro intellettuale il gran nu- mero delle psicosi di cui sono afflitti molti professori. Nello stesso tempo Roberto Edes di Boston riferi- sce che su 19 infermi àeìVAdam nervine Asylum 9 erano stati professori ; su 10 colpiti da esaurimento nervoso (nervous exhaustion) 7 sono stati professori. Il New- Jorh medicai Journal, riferendo che dal 1880 al 1881, 8 medichesse sarebbero entrate nei frenocomii d’ln- ghilterra, si affretta a segnalare i disastrosi effetti de- gli studii medici sulle facoltà intellettuali delle donne. Molto spesso quando lo sforzo cerebrale non deter- mina un vero stato patologico, apporta un torpore più o meno durevole, un disturbo funzionale di una estre- ma gravezza per l’avvenire dell’individuo. In seguito allo sforzo cerebrale , rifletteva R. Mac- pherson di Glascow, spesso gli scolari cominciano ad essere stracchi, a cadere in un cattivo stato di salute, che resta sconosciuto ai parenti e ai maestri. Il con- gegno educativo {educational miti) è continuato. Il cer- vello sforzato , spossato , inebetisce. Una vita man- cata , ecco il risultato, l’inevitabile resultato dell’in- vito prematuro ed eccessivo fatto alle più alte funzio- ni dell’organismo umano. Ecco, diceva Daily, la conseguenza della 'prematura- zione, dell’ adattamento, cioè, precoce degl’individui a delle funzioni per le quali essi non sono punto maturi. Io ho visto dei Pico della Mirandola, soggiungeva Fonssagrives, che sbalordirono a 10 anni per il loro sa- pere enciclopedico, dei quali più tardi l’inettezza dello spirito fu la critica vivente al sistema precoce che li aveva formati. Sentite come si esprime la Commissione medica con- sultata dal Feld Maresciallo Barone di Manteuffel sul- le scuole pubbliche di Alsazia, e Lorena, composta dai dottori Boeckel, Jolly, Kusmaul, Neubauer ed altri; « La scuola affatica, sopraeccita ed indebolisce i cer- velli con lavori di memoria prematuri, troppo difficili o troppo lungamente sostenuti... Molto spesso dei gio- vani a 20 anni, la testa dei quali è stata durante dieci anni, ed anco più, rimpinzata (bourrèe) di conoscenze letterarie e scientifiche, non sono capaci più tardi co- me pratici di dare una risposta giusta e precisa alle domande le più semplici, le quali, ogni uomo che ha del bnon senso ed una buona educazione elementare afferra istantaneamente e risolve sul colpo. L’erudizione ha, per cosi dire, spento in essi l’intelligenza naturale ed tarofizzato il vigore intellettuale ». L’istruzione intensiva, lo eccesso prematuro delle co- noscenze sembrano sopratutto annichilire 1’ iniziativa individuale, la forza della volontà, l’energia morale, la fermezza del carattere. « Non si accede nelle scuole che menano ai primi gradini, diceva Laprade , che in seguito a quegli sforzi del cervello distruttori del- -I’energia dei corpo, in una età quando la vitalità fì- sica dev’ essere innanzi tutto coltivata come la condizio- ne necessaria di tutte le forze morali ! » In qual guisa in una gioventù, così isquallidita, estenuata, susciterete voi degli spiriti risoluti, fieri, decisi a bastare ad essi stes- si, capaci di esercitare senza indebolire i loro diritti e iloro doveri; in una parola, dei cittadini come ne abbi- sogna un paese che vuole essere libero ? Tutto ciò che è dato alla gioventù per la vigoria del corpo , giova altresì alla vigoria morale. Da un temperamento bene equilibrato dipende la giustezza e la fermezza della ra- gione ». Si potrebbe oggidì ripetere ciò che felicemente Alfre- do Cavrer diceva della scuola di S. Paolo in Londra , dove gli allievi, come quegli dei nostri licei; si danno poco agli esercizii fisici: « Il sistema della scuola di S. Paolo tonde a dare il sapere senza il potere..., inspirando i gusti intellettuali, esso manca a sviluppare 1’ energia morale. Si é spesso sorpreso di vedere i nostri scolari di S. Paolo infiac- chire nella loro carriera all’ università, dopo aver dato qui, sui banchi delle scuole, le più brillanti speranze. Si nota presso i nostri fanciulli di S. Paolo un difetto di fermezza e di energia di carattere. Senza parlare dell’ energia fisica, compagna frequente della forza mo- rale, io credo che un carattere virile, vigoroso, si ac- quista assai più sui campi erbosi con ì giuochi gin- nastici anzi che nella sala della classe ». Secondo Menno Huizinga, di Harlingue, ciascun modo d’insegnamento avendo per scopo lo sviluppo del sa- pere più che del potere , costituisce un danno per la salute del sistema nervoso degli scolari e degli studiosi. La eccessiva tensione di spirito, richiesta dagli studii e dagli esami, mena spesso al debilitamento dell’energia. Dujardin-Beaumetz, nella seduta del 14 settembre 1886 àsW Accademia di Medicina di Parigi, plaudendo alla Co- municazione Aì'Ldignedin, si fermò specialmente sui danni che l’eccessivo lavoro intellettuale apporta nell’educazio- ne delle ragazze. Le ragazze, egli dice, confinate in uno spazio ristretto, non avendo per sala di ricreazione che la distanza la quale passa dalla casa al luogo dove si tro- vano i corsi, private di ginnastica e di movimento, si trovano nel maggior numero dei casi in condizioni igie- niche assai inferiori a quelle dei ragazzi. Lo sviluppo considerevole che ha preso l’insegna- mento primario superiore , specialmente nelle grandi città, ha spinto un grandissimo numero di giovanotte ad intraprendere tale carriera. Ogni dipartimento possiede una scuola normale d’isti- tutrici dove le allieve, dopo tre anni, entrano nelle va- rie scuole della Città. Un concorso dei più difficili ha luogo ciascun anno, e sopra 4 a 500 candidate, 25 appena ogni anno entrano a cotesta scuola. L’età che si richiede è fra i 15 ai 18 anni. Alla fine del 1“ anno, ciascuna allieva, se non l’ha, deve conseguire il brevetto elemen- tare; alla fine del 2° quello di scuola materna; al 3° il brevetto superiore e quello di tagliatura e di ginnastica. A ciò conseguire si esige un lavoro intellettuale ecces- sivo ed un’ occupazione continua dalle 6 ant. alle £ pom., appena intermezzata da 1 % a 2 ore nel corso Fazio. della giornata, cioè a dire 13 a 13 1/2 di tensione cere- brale o psichica! Quanta e quale distanza da quella regola giudiziosa, reclamata dagli Stati Uniti per 1’ educazione della gio- ventù; regola che ripartisce la giornata in tre periodi di otto ore ciascuno fra lavorio, libertà e riposo. Nelle Scuole femminili superiori la mente delle giovanotte si sopraccarica di tale e tanto lavoro, da fare esclamare ad alcuni distinti igienisti tedeschi, fra i quali Krafft-E- -bing: tali scuole sono divertiate il semenzaio dell’iste- rismo ! La maggior parte della gioventù, che si presenta a coteste scuole, appartiene alle classi poco fortunate e vi- venti in mezzo a condizioni insalubri. Al difetto di aria o di vitto viene ad aggiungersi uno eccesso di la- voro intellettuale, che priva la giovane di una parte delle sue notti. Aggiunto a ciò che la giovane si trova nel periodo di formazione, e non si sarà sorpreso di trovare presso un gran numero di esse deH’anernia, della clorosi e di una certa eccitabilità del sistema nervoso. Basta di aver subito degli esami, e di conoscere l’in- fluenza che questi producono sull’uomo, per intendere come cotesta influenza deve essere più accentuata presso le giovani, il sistema nervoso delle quali è molto più impressionabile. A tali disturbi nervosi e nutritivi, bi- sogna aggiungere le deformazioni scolastiche, sulle quali Daily ha richiamata l’attenzione. Costui ha esaminato le giovani al riguardo , e può affermare che quasi tutte, se non tutte, presentano una deformazione speciale delle clavicole , per modo che quella del lato dritto è più saliente dell’altra del lato sinistro. La miopia scolastica vi è anche più pronunziata che nelle scuole maschili. Nel primo anno, malgrado un nutrimento eccellente e superiore a quello che le giovani hanno in casa loro, malgrado una regolarità nelle ore di lavoro, l’acclima- tamento alla scuola si fa lentamente. Ed uno degli ef- fetti deH'acclimatamento è la soppressione delle ricor- renze mensili : il che si nota in più della metà delle allieve. Tutte poi vanno incontro ad uno stato più o meno pronunziato di cloroanemia e di eretismo nervoso. Negli anni consecutivi lo stato di salute migliora, ina certamente gli effetti dello sforzo intellettuale sono tali , da far reclamare la riduzione del programma di cotesto insegnamento. G. Lagneau ricorda che Alfonso de Candolle ha se- gnalato nella Svizzera francese (cantoni di Ginevra e di Neuchàtel) la grande proporzione delle giovani, le quali , destinate alla professione d’istitutrici , entrano negli stabilimenti di alienati. Lo stesso Conte di Schafte- sbury, presidente della Commission of Lunacy, faceva riflettere alla Camera dei Lordi , che nel 1882, su 183 persone , appartenenti allo insegnamento , ammesse ne- gli asili d’lnghilterra e della contea di Galles, vi erano 145 donne su 30 uomini. A Brigthon il Dott. Withers Moore, aprendo il Congresso (1886) annuale della Bri- tish medicai associa/ion, nel discorso inaugurale, ri- levò l'influenza dannosa che spiegavano sulla salute delle donne gli studii superiori. Il nostro sistema universitario, affermò Peter, è uni- laterale. Dell’organismo umano non si considera che il lato intellettuale , e si neglige il fisico. Alla diminu- zione dei programmi la più grande resistenza , secon- do lui, viene da quei professori che consacrano la loro vita a studii speciali, dei quali soltanto si preoccupano, perchè ciascuno emerga e prevalga nei programmi. Un membro dell’lstituto di Francia diceva: Ogni commis- sione di professori nominata per rivedere i program- mi, lungi dal diminuirli li accresce. Brouardel deplora che oggidì nei fanciulli manca la possibilità dì fermare lungamente la loro attenzione so- pra uno stesso argomento. Essi sfiorano varii argomenti apprestati loro, ma ad essi è impedito di fare lo sforzo necessario per approfondirne uno. Si deplora oggidì che il tempo del lavoro personale è troppo breve. Invano il maestro si scalmana e dispera per lo allievo, il quale non è in grado d’immagazzinare le semplici osserva- zioni presentategli. Allo scolaro non si lascia il tempo di studiare da sè. Uno scolare diligente accoglie molto volentieri ciò che gli sì presenta, egli cerca di trarne profitto, ma è incapace, comunque intelligente, di fare lo sforzo necessario per dedurre lui stesso le conclu- sioni dei fatti che studia. , k Stando cosi le cose, esclama Brouardel, che ne sarà dei giovani parigini ? Quasi sempre il loro spirito resta superficiale, raramente essi posseggono una perseveran- za sufficiente da permettere loro di compiere un lungo e coscienzioso lavoro. Giulio Rochard trova che bisogna una buona volta finirla con questa istruzione da catalogo, che sfiora tutto ed approfondisce niente, con questa educazione enciclo- pedica che sopraccarica la memoria senza sviluppare l’intelligenza, e che non lascia dopo essa che una fatica spesso irreparabile ed un disgusto insormontabile per il lavoro intellettuale. Peter considera l’eccessivo lavoro intellettuale (sur- menage) quale pericolo sociale. L’eccessivo lavoro in- tellettuale , egli dice , è una delle forme del lavoro eccessivo a cui sono sottomessi i popoli inciviliti e specialmente i francesi. Noi siamo degli affaticati sopra tutto dal 1871; si sa perchè noi siamo degli affaticati volontari, degli affaticati patriottici, lottanti per l’esi- stenza! Egli chiama l’eccessivo lavoro intellettuale e la se- dentarietà scolastica {la claustration forcée) uno stato patologico grave. Cotesta fatica intellettuale dipende dacché non viene rispettata la legge della equa propor- zione fra Pofferta e la richiesta, quanto dire nei pro- grammi degli studii la domanda è superiore all’offerta di cui è capace un candidato. Nella grande massa delle intelligenze, quelle che do- minano sono le attitudini medie: da questa parte sono i deboli di spirito, al di là sono gli spiriti superiori. Pare che i programmi scolastici sieno stati fatti per questi ultimi. Ma, questi, sorpasseranno sempre i programmi, perchè studiano non solamente senza fatica ma con piacere e per loro piacere; perchè essi obbediscono ad una tendenza, e, meglio ancora, ad un bisogno della loro intelligenza: la sete del sapere. Gli altri, deboli di spi- rito, non affronteranno mai quei programmi, mentre che gli spiriti medii non li affronteranno che con pena, e a rischio di restare per sempre degli infonditi {four- bus) dì cervello. Sono questi giovani affaticati del cervello, affaticati involontariamente, le vittime nei nostri licei, nei nostri pensionati, nelle nostre scuole superiori, dei programmi sopraccaricati, cui mira in un modo speciale il ragiona- mento patologico di Peter. L’affaticamento è il funzionamento eccessivo, esage- rato; esso ha per conseguenza e per espressione la fa- tica. La fatica volgare , banale, e la fatica muscolare, la quale si esprime fisiologicamente e patologicamente con la stanchezza e l’impotenza funzionale. La cosi detta courbature è la sensazione dolorifica per lo esaurimento e l’ingombro. Esaurimento più o meno momentaneo della fibra muscolare vivente; ingombro più o meno persi- stente di questa fibra muscolare vivente , per la fibra muscolare morta, cioè la creatina, la creatinina, lino- site, l’acido lattico, cadaveri o prodotti cadaverici della fibra muscolare, logorata, ossidata, distrutta. Ciò che è vero della fibra muscolare dicasi della cerebrale preposta al pensiero. Questa qui come quella si spossa e s’ingom- bra di leucina e di colesterina per il funzionamento ec- cessivo. La cellula cerebrale come la fibra muscolare si spossano per lo eccessivo lavoro. Il senso penoso di stanchezza cerebrale {courbature cèrebrale) si manifesta con la cefalalgia, e con l’impo- tenza o l’inattitudine intellettuale. La cefalalgia , questo grido primordiale della soffe- renza dell’organo affaticato, quando è negletta, scono- sciuta , dispreggiata può dunque menare a disastri pa- tologici. La cefalalgia, fenomeno subiettivo che sfugge al controllo, ha di caratteristico che si produce appena rincomincia la pruova della funzione sia con la lettura, sia con lo studio. Segue l’impotenza funzionale, le idee si obnubilano, la comprensione cessa, sia transitoria- mente sia per sempre. Alla cefalalgia può associarsi 1’ epistassi e la febbre dello eccesso intellettuale, laptomaìnemia, la ìeucomai- nemia, descritte da Peter fin dal 1869 sotto il nome di autotifizzazìone. « Gli è al momento quando giungono gli esami dell’Hótel de Ville, frutto della manìa dei bre- vetti vera calamità sociale —la quale si è impadronita delle giovani, che si manifestano quei casi di febbre ti- foide. Il Peter deplora le conseguenze dell’aria confinata e viziata sui pulmoni e sulla sanguificazione; le nevro cardiache e l’atrofia muscolare in conseguenza della se- dentarietà; infine tutti i segni della degenerazione co- stituzionale. Nella redazione dei programmi università- rii, egli conchiude, non si è tenuto conto delle attitudini naturali medie. L’affaticamento e l’esaurimento cere- brale, con tutte le sue conseguenze morbose , ne sono stati il resultato; bisogna riformare cotesti programmi. Nella igiene scolastica non si è tenuto conto dei bisogni superori ed affatto materiali dell’organismo: bisogna ri- formare questa igiene. Simili fatti furono deplorati anche in Italia dai prof. S. Tom masi, Angiulli ed altri. Nella tornata del 28 no- vembre 1886 della Camere dei Deputati, i Prof. Bovio e Cardarelli vi richiamarono l’attenzione del Parlamento e del Governo. Bovio, facendo un esame critico magistrale su tutto l’indirizzo scolastico, si fermò sulla quistione dei programmi e sullo spauracchio che gli esami producono agli studenti. Non trovi più uno, egli esclama, che ne- gli esami dica: Io penso cosi. Tutti traducono in parole scorrette un pensiero altrui, che in quelle parole non è più un pensiero. I giovani son persuasi che alla mente supplirà la malizia. « E la malizia parrà sapienza e la sa- pienza ingenuità. Con questo esercizio il tipo simpatico dello studente degrada, non più il coraggio, la baldanza la poesia, il disinteresse, ma l’intrigo, la dissimula- zione, l’equivoco positivismo del giorno. So che la na- tura, a breve andare riafferra i suoi dritti e rifa la gio- vinezza ; ma il fatto è che questo indirizzo delle cose tende a rubarci la giovinezza ». Bovio mentre è convinto che mai sotto questa guar- datura di cielo il nostro genio possa pulire notti lunghe, pertanto non può dissimilare un fatto che l’addo- lora, che cioè, da più anni in Italia si avverte un rista- gno intellettuale, e che alla nostra presente produzione intellettuale manca la nostra impronta, manca la no- stra potenza individuativa. Una pagina nostra, tutta nostra, midollo delle nostre ossa e sostanza del no- stro cervello Bovio non la vede —Egli, dopo d’avere lar- gamente ricordato le cause del decadimento, trova nelle discipline il doppio peccato : il cumulo e V empirismo. Troppe e senza legame tra loro in modo che l’intelletto non le annoda, e la memoria sotto esse In terra cade e se brulla e la soma. « Gl’ingegni n'escono storditi, e chi si rivolge indietro a riguardare non si somiglia al naufrago che toccala riva, ma a chi dopo lungo cammino per terre paludose arriva ad un villaggio ignoto. Quegli Atenei che una volta ritraevano tutti i caratteri della gioventù accor- rente, ed erano asili di gloria, di entusiasmi e di spe- ranze, oggi sono plumbei come i tribunali, le chiese e le agenzie dei pubblicani, direi quasi come...i Parlamenti. Ora io non nego la necessità di una coltura generale , onde l’uomo arriva a conoscersi ed a stimarsi come uomo; respingo due gravi peccati che lo snaturano : il cumulo e 1’ empirismo. Semplificare e connettere, questo è il gran compito che s’impone ai preposti alla scuola pubblica. Semplificare e connettere con un pro- cesso induttivo inavvertito, ecco in che si parrà il genio di un ministro della P. I. » Cardarelli, deplorando anche egli i danni che derivano dal cattivo indirizzo scolastico , rileva due ordini di danni: uno morale, l’altro fisico. Il giovane, egli riflette, entra nel ginnasio col fermo convincimento che pur sforzandosi nello studio non riuscirà a seguire il pro- gramma governativo. E tale sconforto e diffidenza lo accompagnano fino al giorno dell’esame di licenza li- ceale, dopo cui, se la sorte gliela fa strappare, si volge indietro al doloroso passo, e guarda con orrore il liceo, la scuola, il preside, i maestri, e perfino i libri ! Voi, egli esclama, avete costretto il giovane ad uno studio senza attrattive, voi gli avete creato con la vastità del programma e delle materie una vera indigestione cerebrale , dovevate attendervi il diniego e la nausea. Quanto ai danni fìsici Cardarelli ricorda che anche in Germania, dopo che si è fatto tanto per elevare i programmi , da pedagoghi ed igienisti si emette un grido contro i danni derivanti dal lavoro eccessivo ai giovanetti nel ginnasio, ed agli effetti di questo Ue- berbundung Io mi stanco, soggiunge, di vedere dei 'padri di famiglia che mi portaro i loro figli con do- lori di lesta, con palpiti di cuore, con epistassi, ma- gri, sofferenti! Infine osserva che lo spavento degli esami è tale che fin le madri, cotanto premurose della salute dei loro figliuoli, quando questi debbono esporsi agli esami di licenza, riescono anco crudeli con essi perchè studino e studino, pur vedendoli infermicci, sparuti ! Concludendo : dalla lunga esposizione di osservazioni parziali , raccolte da autorità preclare di tutti i paesi civili, risulta che gran danno arrecano alla sana cul- tura nazionale ed alla civiltà i programmi inducenti nei giovanetti un eccessivo lavoro intellettuale. Ma io resto spaventato nel vedere che quelle osserva- zioni parziali diventano dei veri irrefutabili, perchè tro- vano una solenne conferma nella statistica. E questi li rilevo dai preziosi documenti, i quali ultimamente mi favoriva queirindefesso e dotto mio amico, che è il Prof. Luigi Podio, Direttore della Statistica generale del Re- gno (Statistica dell' istruzione secondaria e superiore per Vanno scolastico 1884-85, Roma 1887). L’insegnamento secondario classico s’impartisce nei ginnasi e nei licei. Nel 1884-85 s’iscrissero 59,773 alunni, dei quali 46,0b5 nei ginnasi e 13,768 nei licei. Alla chiusura dell’anno scolastico la scolaresca era ri- dotta a 55, 078 , cioè 42,657 nei ginnasi e 12,421 nei licei; mancarono cioè 4,695 alunni, 3,348 alunni ginna- siali e 1,347 liceali = 7,28 o[o G. e 9.78 o[o L. Si noti la cifra rilevante dei mancanti, e che la pro- porzione dei medesimi nei ginnasiali è assai più rile- vante che nei liceali. Nei ginnasi e nei licei si danno esami di ammis- sione, esami di promozione da una classe ad un’altra, ed esami di licenza alla fine del corso. Nei ginnasi e nei licei governativi e pareggiati si possono promuo- vere gli alunni ad una classe superiore senza gli espe- rimenti degli esami. Secondo disposizioni vigenti pre- cedentemente, per conseguire la promozione era suffi- ciente che gli alunni ottenessero nel periodo degli studii percorsi non meno di 7/10 in ciascuna materia , oltre all’aver serbato lodevole condotta. Con Decreto del 23 ottobre 1884 tale media annuale si elevò a %o nell’ i- taliano e latino , e non meno di 8/10 in ciascun’altra materia. Nelle prime quattro classi dei ginnasi erano presenti alla fine dell’ anno scolastico 36,266 alunni , dei quali 1,259 furono promossi senza esame alle classi superiori, 27,451 vi furono promossi in seguito all’esperimento degli esami, e 6,978 non furono promossi! Gli altri 578 non si presentarono agli esami onon vi furono ammessi. Nelle due prime classi dei licei si trovaron o alla fine dell’anno scolastico 9,218 alunni; di questi ne furono promossi 7,049 e 1,846 non furono promossi. Dei 7,049 promossi, 243 meritarono la promozione sen- za l’esperimento degli esami e 6,806 li superarono feli- cemente. I restanti 323 non si presentarono agli esami o ne furono esclusi. Nei ginnasi e nei licei adunque , considerati insieme, dei 45,484 frequentanti le prime classi, ottennero la pro- mozione ad una classe superiore 35,759 alunni, dei quali appena 1, 502 merli'arano la promozione senza l'espe- rimento degli esami ! a 8,824 l’esito di questi non fu favorevole, e 901 o, non sostennero esami o non vi fu- rono ammessi. Laonde la media procentuale dei frequentanti pro- mossi darebbe il 78,62 alle classi superiori (3,30 senza esami e 75,32 per esami), 19,40 furono respinti e 1.98 non sostennero esami. NeH’aimo scolastico 1884-85 i candidati alla licenza ginnasiale furono 6,882, dei quali ottennero la licenza 4,590, cioè 1,909 mediante un solo esame e 2,681 me- diante riparazione. I candidati alla licenza liceale furono 5,107, dei quali 3,155 ottennero la licenza, 1,057 con un solo esame e 2,098 in seguito a riparazione. Fissando l’attenzione sullo stupendo quadro statistico degli alunni iscritti nei ginnasi nell’anno scolastico 1879-80 (op. cit p. XXIII) trovo una cifra di 37,915 a- lunni. Ritenendo verosimile che sieno questi gli stessi che pur abbreviando qualche anno di corso tanto nel ginnasio quanto nel liceo —si sieno esposti agli e- sarai finali della licenza nell’anno scolastico 1884-85, tro- verei la cifra degli alunni assottigliata al punto da dare 5,107 candidati alla licenza, di cui ottennero il diplo- ma 3,155: di questi 1,057 a primo scrutinio e 2,098 in seguito a riparazione ! Che cosa se n’è fatta della numerosa falange dei 37,915 alunni, che iniziarono i corsi al ginnasio il 1879-80? L’esiguità del numero degli alunni che vantarono la promozione ai corsi superiori senza subire gli esperi- menti degli esami, rimpetto al gran numero di quelli che dovettero subire una o più volte la prova di ripa- razione; la defezione continua dei frequentanti i corsi superiori; la cifra meschina di coloro che pervennero a conseguire la licenza—pur facendola da puritani, cioè al- lontanando ogni sospetto di favoritismo—noi avremo un resultato desolante, il quale lascia pensare non solo alla poca bontà del nostro indirizzo scolastico, ma ai pericoli ai quali sono esposte le nostre giovanili intelligenze, per effetto dello sforzo cui è assoggettato il loro organo dello spirito ed il loro organismo, il quale si trova coartato in quella fase di sviluppo, che maggiori cure e maggiori ri- guardi dovrebbe avere ! CONCLUSIONE Linee dì una profilassi psichica. Dal fin qui detto chiaro emerge che il nostro perce- pire spirituale sta in determinati ed indissolubili rap- porti col mondo delle cose poste fuori di noi. Noi non possiamo sentire a nostro beneplacito , ma siamo co- stretti a sentire secondo una data norma matematica. Noi siamo uno specchio, nel quale si riflette e prende espressione il mondo esteriore’, e lo sviluppo della no- stra vita psichica dipende indubitatamente dalla inte- grità e dall’attività dei nostri sensi. Come attraverso i sensi inferiori percepiamo le nozioni di consistenza, di peso, di resistenza, di calore, di sapore, di odore dei corpi, attraverso i sensi superiori non pure avvertiamo i semplici suoni e le scene della natura esteriore, ma tutti i 1 fenomeni sotto cui si manifesta il mondo sociale, in •(iezzo al quale si va elaborando la nostra vita psichi- ca. E come l’aria, l’acqua, il suolo, gli alimenti pos- sono riuscire elementi efficienti di vita, e contaminati ffie sieno compromettono l’integrità del nostro essere fisico, del pari gli ambienti morali, a seconda che sono nfluenzati da elementi positivi o negativi , determine- ranno nell’organo del pensiero organizzazioni e correnti Lpositive o negative. E nella stessa guisa che un virus, inficiando l’organismo di uno o più individui, può dar luogo ai contagi ed alle epidemie o pandemie ricorrenti, certi principii morali insani dominanti, colpendo spe- cialmente gli spiriti predisposti, primitivi, infantili, o fiacchi, possono del pari essere causa di contagi e di epi- demie morali, assai più tenaci e disastrose delle comuni epidemie. Quelli,inficiando l’organo del pensiero, lasciano organizzate nei centri nervosi viziose abitudini acquisi- te, le quali, mentre espandono continuamente fuori—nel mondo sociale presente i loro influssi malefìci si tra- mandano immutate nelle novelle generazioni. Queste do- vranno fare sforzi lenti e penosi per produrre deviamen- ti e modificazioni alle dominanti sinistre correnti psichi- che, seppure non ne restino vittime* come si può notare nella storia delle famiglie edei popoli, i quali, dopo un lungo periodo di dominanti correnti morali negative , dalla testa che erano oggi si trovano alla coda della ci- viltà. Potrebbe infatti ora la Spagna riprendere la corsa per raggiungere la mèta cui e pervenuto l’uomo degli Stati Uniti di America ? Ebbene tanta differenza fu niente altro che 1’ effetto di ambienti morali negativo 1’ uno, positivo l’altro: uno si chiamò damma, S. Uffizio, In- quisizione, l’altro: libero esame. Guai a quei popoli che, anche per unistante, si sof- fermino e lascino che altri li avanzi nella corsa ve- loce ed impetuosa della civiltà. I nuovi popoli assumono tutto il retaggio sfuggito per sempre ai primi; se ne im- possessano, lo elaborano e lo fanno proprio. Invano quei si proveranno a ritorglierlo , avvegnaché si trovino finaoco di aver perduta la capacità, l’attitudine di comprenderlo, di possederlo. Sia per la legge delle trasmissioni ereditarie, sia per quella dello ambiente, i giovani popoli prevarranno inesorabilmente sui véce! tanto nel senso antropotecnico che psicologico. Perot chè, mentre in quelli si effettua un lavorio progres sivo di miglioramento o di perfezionamento, in questi ir vece si avvera un lavorio regressivo o di decadimento con la differenza che il miglioramento procede in sens aritmetico ed il decadimento in senso geometrico. Riconosciuto adunque cotesto indiscutibile rapporto d reciprocanza che lega l'individuo all’ambiente morale una immensa responsabilità grava sulle classi dirigenti < sugli educatori dei popoli. Dal miglioramento morale d questi dipende l’avvenire ed il perfezionamento dell’r inanità; sono le generazioni presenti che hanno Tot bligo di preparare gli ambienti positivi, in mezzo a quali si deve elaborare il cervello dei popoli a venire e son colpe loro se le nuove generazioni degenerane e decadono. Se gli uomini che sono alla testa delle cose non si fa- cessero velo alla mente , übbriacata dal potere , e se- guissero passo passo le evoluzioni spontanee selettive dello spirito umano, espressioni del lavorìo storico ce rebro-psichico dell’ umanità, e lo assecondassero, senza frapporre incagli al suo naturale corso, si eviterebbero certamente quelle esplosioni che sono le rivoluzioni rilevatrici di necessità , di bisogni imperiosi fisiologi- ci dell’ organismo sociale , contro cui indarno la rea- zione in tutti i tempi osò opporre i suoi dardi spun- tati. Di talché la marcia dell’umanità potrebbe seguire un corso evolutivo. Stabiliti gli anzidetti principi!, cessa qui il compito del biologo, ed incomincia l’opera del sociologo, del pe- dagogo, dell uomo di Stato, nel preparare indirizzi edu- cativi e legislativi conformi al modo di essere dell’or- ganismo sociale cui sono preposti ; in quella che alla letteratura ed alle belle arti e soprattutto alla stampa quotidiana ed illustrata—quella cioè che più da vicino parla alle masse—è affidata l’alta missione di educare la coscienza pubblica alle grandi idealità. Oggidì—non vi è chi noi veda -un soffio scettico, una sete di facili e cospicui guadagni, una tendenza al con- seguimento di soddisfazioni puramente materiali, uno .pirite eccessivamente positivo , epperò egoistico , in- firma l’ambiente morale della società odierna. Ciò evi- dentemente è una reazione al trascendentalismo pas- sito, sotto di cui si va elaborando una società nuova, la ’uale, nata alla vita reale, viene a reclamare i suoi di- 'itti. È una società che vive agitata, convulsa, perchè è i una di quelle grandi fasi storiche , nelle quali tra n passato sfatato ed un avvenire potenziale arde at- tivo ed informe il fermento del presente. Si ripete da tutti che il nostro è un secolo neyrosico. Verissimo. All’indeterminatezza dei fini, si aggiunge lo -postamento di un cardine fondamentale della società he è la famiglia, e la sete del sapere. Ridotto il matri- lonio ad un puro contratto di beni materiali, si è fal- ato l’istituto del coniugio, il quale lungi dall’essere espressione della, selezione naturale di due "\olontd Omogenee, di un’ attrazione spontanea , riesce di con- sueto un ligame convenzionale, ibrido, di elementi ete- rogenei nel senso antropologico e psicologico, in eterno conflitto fra loro. A rimetterlo sulla sua base è mestieri Rie il matrimonio sia informato al principio della sele- zione naturale. In cotal guisa si sarà eliminato uno ìegli elementi attivi del nervosismo moderno. A vincere la sete ardente del sapere, l’uomo si è gel- ato ciecamente nel vortice delle conoscenze, senza pon- derare la capacita della sua mente, senza valutale gli «effetti dello sforzo. Poco curante delle leggi regolatrici «lella vita organica , mirò unicamente all’ esaltamento ‘Sella mente, epperò sforzando esageratamente e di con- tinuo le attività dell’organo del pensiero ne compro- mise l’integrità, turbando insiememente l’equilibrio del- l’intero organismo, trovandosi tutti gli organi e le fun- zioni in indissolubile rapporto di dipendenza e di reci- procanza. , ~ Parrebbe ormai tempo che l’allarme, sollevato da tutte parti dei paesi civili, richiami l’attenzione dei preposti alla pubblica istruzione sulle gravi conseguenze mor- bose dello eccessivo lavoro intellettuale e della sedenta- rietà nelle scuole, licei, istituti speciali, ed università; e sulla necessità di semplificare l’insegnamento e di ri- durre le materie dei programmi attuali. Senza di ciò 174 il Nervosismo , il quale già segna un primo grado «i degenerazione fisica e di decadimento morale dell’uom< non tarderà molto ad assumere un vero aspetto di dr generazione e di decadimento delle razze incivilite vantaggio delle semi-barbare che potrebbero prendere- o forse sono destinate a prendere—la preminenza! L’ir dirizzo pedagogico adunque dovrà informarsi alle leg£ della biologia, facendo procedere il principio didattic in armonia e paralellamente alla evoluzione dell’interi organismo. Ogni sforzo, superiore all’indice di sua capacità firn zionale, rifinisce ed altera l'organo del pensiero e com promette in sieraemente l’integrità di tutti gli altri 01 gani e dell’intero organismo. E indispensabile quindi 1°) Ridurre gli attuali programmi, semplificandoli > coordinandoli in modo che il capitale intellettuale, eh si vuole impartire, penetri nell’organo del pensiero cor. un processo fisio-psichico induttivo. Talché la menti dei giovanetti, lungi dal rimanere esausta e stordita dall’ingombro delle idee comunicate, le assimili inav- vertitamente, per naturale corso evolutivo , in mode che 1’ apprensione si affettili di consenso con la ri- flessione. Senza di ciò si avrà una coltura estesa in apparenza,, ma- senza basi, ma labile, superficiale, improduttiva. 2°) Accrescere la durata del sonno , specialmente per i fanciulli. 3°) Diminuire il tempo consacrato agli studii ed alle classi, cioè la vita sedentaria, ed aumentare pro- porzionatamente il tempo delle ricreazioni e degli eser- cizio i quali si alternino con gli studii. 4°) Sottomettere indistintamente gli allievi agli eser- cizi ginnastici quotidiani, proporzionati alla loro età, ed al loro stato di salute. s°) I luoghi di educazione sieno posti in siti sa- lubri, debitamente aerati, illuminati, riscaldati, e suf- ficientemente spaziosi, dovendo rispondere ai varii bi- sogni della classe, del riposo, e degli esercizii ginna- stici. 6°) Infine il materiale scolastico (banchi, stampe, carta dei libri ecc.) risponda alle più scrupolose esi- li enze sanitarie. | L’antico principio mens sana in carpare sano trova r;n riscontro solenne nei principii della biologia. Non è 'possibile avere intelletto chiaro, resistente,produttivo, in dn corpo malaticcio. È impossibile ottenere la funziona- lità di un organo quando se n’ è logorata la compage organica, quando non gli si dà il tempo di espellere ; prodotti impuri residuali della sua iperfunzionalità, S di rinfrancarsi con elementi nuovi e sani. ( È strano: l’uomo, tanto diligente nel trarre profitto da 'tutte le qualità positive fisiologiche e psichiche degli nimali per migliorare le vecchie razze e crearne delle Ìuove, di sé è oblivioso; e mentre tanti sforzi fa per sseguire il capitale moneta dimentica che il primo ca- ttale è la salute, senza di che e mente e moneta—man- cando di base non avranno valore ! Napoli, “Dicembre, 1887. INDICE Al lettore vr L’ambiente sensorio-psichico — 11 mondo esterno — fattività £ dei sensi — lo sviluppo della nostra vita psichica . . ' Cenestesi ' Sensazione gustativa V Sensazione olfattiva ? Sensazione tattile Sensazione auditiva—Azione biologica e psichica dei suoni, fisiopsicologia della Musica 1 Sensazione visiva—L’aspetto ed il sentimento della natura esterna, e le produzioni della mente 2^ Ambiente psichico {Ambiente morale, sociale, clima storico). k). Legge delle influenze sensorio-psichiche ...... Il Contagi sensorio-psichici 8- Nevrosi e psicosi epidemiche 8‘ Timor panico 10' Suicida 10 Crimini 11F Comunità (Manicomii ed Educandati) ,12; Il Nervosismo del secolo XIX 128 Decadimento del principio di famiglia e del relativo isti- tuto del matrimonio 141 Danni derivati dall’eccessivo lavoro intellettuale appo i giovanetti nella fase di loro sviluppo 152 Conclusione. — Linee di una profilassi psichica .... 170 L’AMBIENTE SENSORIO-PSICHICO E LE LINEE DI UNA PROFILASSI PSICHICA DEL Dott. EUGENIO E AZIO i\APOLI ENRICO DETKEN, LIBRAIO-EDITORE Piazza del Plebiscito 1888 Napoli ENRICO DETKEN Edìtore RASSEGNA CRITICA Di Opere Filosofiche, Scientifiche e Letterarie DIRETTA DAL Prof. A. ANGIULLI Un fase, al mese. Abbonamento annuo L. 8,00. Chiedere programma e N.° di Saggio Gratis. NUOVA BIBLIOTECA UTILE ■ a Lira Una al volume Volumi pubblicati. ~,a L '.i* Storia popolare della filosofia, traduz. italiana del 131 OIIIICI . Prof A. Tari Brown traduz. italiana del Prof. Pratesi. Carrara Zanotti. Elemc"'i di Scienza sodale- r'i 1 Suono e base fisica della musica, Iraduz. ilal. del Prof. CpOOK.. A della Valle, Magnetismo ed elettricità, Iraduz. ilal. del Prof. A. della Valle. Cruveilhier. Igiene’ lra(Ulz-itaL del Prof- DElia- Gialle 1 dell’Africa, traduz. ilal. del Prof. G. Ferrière Darwinismo » traduzione italiana del Comm. C. M * Geologia Storica, traduzione italiana del Prof. G. Ueißie. Guiscardi. T Storia dell’aria , traduzione italiana del Comm. C. Dal- -uevi. dono. Margollè * fenomca‘ del mare, traduz. ilal. del Prof. R. Noel. Voltaire e Rousseau , traduzione italiana del Prof. A. Le migrazioni degli animali, traduz. ital. OVVfeKj . del Prof. R. Ferrino. Origine del linguaggio, traduz. ital. del Prof. A. Tari, Zurcher e Margollè. IScSti Napoli ENRICO DETKEN Editore Rappplli fluirviVi,a e Nalura- Sludii sui temì DUI 1 CUI • più importanti del moderno na- turalismo. Un voi. in-8 picc. . . . .L. 4,00 T ipofo (a R \ la Fisiologia degli istinti. I. Gl’istinti LilOctlcl i-J • J del senso. Un voi. in-8 picc.. » 4,00 T nmknADA (C* \ Considerazioni sul processo Passannan- OoU J te. ua yoi, in-16 . . . » 1,00 A/To rvrvirvr“~mi (P \ Influenza del Magnetismo sulla vita i.V±agglOi cllil animale. Un voi. in-8 picc. » 4,00 Ziino (G.) La fisio patologia del delitto. Un voi. in-8 gr. Kerbaker (M.) He'mes- SaBsio mi,o,ogiCo-Un,f i^ p *l* Il grande ipnotismo ela suggestione ipnotica nei campili, rapporti col diritto penale e civile. 1 volume in-8 A » 3,50 Trattalo clinico-pratico sulle malattie men- ivi ai 11 -LilJlllgT tali, tradotto dal tedesco dai Dottori S. Tondini e G. Amadei. 2 voi. in-8. . . . » 16,00 Tornimi. Le epilessie. Un voi. con 1 tav. . • » 3,00 Aforìorvh'a a Note anatomiche ed antropologiche Vai aglia OOH va. SOpra co cranii e 42 encefali di donne criminali italiane. 1 voi. in-8 con 1 tav. . » 5,00 Napoli ENRICO DETKEN Editore FAZIO Prof. EUGENIO TRATTATO D’ IGIENE (ATAVISMO E MESOLOGIA) Un voi. in-81 grande, 2a ediz. Napoli 1887. L. 24, HAMMOND Prof. W. TRATTATO DELLE MALATTIE SISTEMA NERVOSO COMPRENDENTE LE MALATTIE DEL CERVELLO, DEL MIDOLLO SPINALE E DEI LORO INVOLUCRI, LE MALATTIE CEREBRO- SPINALI , LE MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO PERIFERICO, LE MALATTIE TOSSICHE DEL SISTEMA NERVOSO,' ED ALCUNI DISORDINI NERVOSI RECEN- TEMENTE STUDIATI. TRADOTTO DAL Doti. A. RUBINO Un voi. in-8° grande. Nnpoli 1887. L. 22